UMANO NON UMANO
è un film del 1969 diretto da Mario Schifano
SINOSSI
Riprese di uno sciopero e immagini rubate alla televisione si alternano con materiali eterogenei: Mick Jagger che canta Street Fighting Man, Keith Richard che gioca con un sintetizzatore, sequenze di tenerezza e di violenza nella vita di una coppia. Tra psichedelia, pittorismi, citazioni di ogni arte possibile (dai classici, su cui scorrono le parole di Maurizio Calvesi, alla Land Art), Schifano cerca di confrontare il “non umano” del capitalismo con i fermenti rivoluzionari del terzo mondo. Senza articolare un discorso, indugiando in datati proclami rivoluzionari, ma azzeccando spesso trovate felici (la festa senza sonoro, con i personaggi che sembrano boccheggiare). E resta prezioso e imperdibile l’incontro con il poeta Sandro Penna che legge i suoi versi: vecchio e malato, umile e fiero, il suo male di vivere rispecchia – quasi in positivo – quello di Schifano, ingordo divoratore di immagini. Carmelo Bene appare non accreditato.
da Il Mereghetti. Dizionario dei film 2011,
di Paolo Mereghetti, Dalai Editore, Milano, 2010.
UMANO
NON UMANO
regia di Mario Schifano
di Erika Dagnino
Qui è la camera dov’era
mamma…io…
poesie non ne scrivo più da
dieci anni
(Sandro Penna, in Umano non Umano,
di Mario Schifano, 1969)
La lunga lampada dal soffitto, un corpo di luce che dà quasi l’impressione di non illuminare; quadri appesi, numerosi accatastati sul letto.
Sandro Penna appoggiato con il gomito alla sponda del letto.
Armadio, toilette, comodini di vecchia data.
Di fronte all’occhio di Mario Schifano.
Mostrando diversi quadri degli artisti di Piazza del Popolo.
Che condividono lo spazio della camera con quadri figurativi e altri.
Nel periodo in cui faceva, come lui stesso definisce poco oltre, questa specie di commercio, ma, al quarto piano, così non ci viene più nessuno (ibidem).
Immediato e sorgivo, aggettivazioni e sensazioni primarie di fronte a Sandro Penna che, vedendolo nel film di Mario Schifano, sono ulteriormente confermate e amplificate: si ha infatti la percezione di trovarsi di fronte a uno spaccato emozionale prima ancora che poetico, slegando arbitrariamente le due sensazioni dell’essere umano e del poeta, operazione che, forse, non si dovrebbe compiere ma si fa per pura convenzione. C’è una sorta di vibrazione interiore, prescindendo da quello che può essere poi un risultato da valutare; la sua, così definita, povertà culturale non è antitetica a questo impulso, anzi senza questo impulso – legato proprio alla sua storia e personalità – la sua persona creativa non si manifesterebbe. Non si vuole pensare a scientifiche posizioni di genere che lo nominano, per citare un soggetto erotico rappresentato da quello che diceva Penna. Lui aveva invece un’ulteriore dimensione che pur passando attraverso l’operazione intellettiva, si contraddistingueva per sorgività e naturalità. L’antitesi primigenia tra concetto e poesia sembra essere incarnata in Penna.
Poesie non ne scrivo più da dieci anni (ibidem).
Momento poetico per eccellenza appare, cellula della pellicola, come un verso, o per meglio dire esso è: verso per eccellenza.
“Ci troviamo così di fronte al confluire in quella che forse è la grande domanda: potrebbe esistere un poeta senza poesia? Un poeta che tacesse sarebbe sempre un poeta? Sì. La poesia, è imprescindibile quanto mai vera, costringe all’espressione, in qualche modo a evidenziarla, a tirarla fuori, e se non si scrive più si continua però ad essere poeta. Continua l’emozione di poeta. E potrebbe essere proprio lo stesso stato emozionale del poeta a detenere il potere: decretando la cessazione – temporanea o permanente – dell’atto di scrittura, di espressione scritta o orale. Benché permarrebbe nel pensiero e come pensiero e nello spazio fisicamente non solo cranico del poeta stesso.
C’è sempre – forse preesistente – qualcosa che può imputridire dentro, quasi senso stesso di permanenza interna e di sensazioni e immagini che è un effetto di blocco che non può uscire e sbatte internamente, contro, ma non necessariamente contro, le pareti della stessa interiorità, sorta di costrizione. Non è mai una semplice questione di dire «tu comunichi le cose più pratiche», ma di cose importanti che restano dentro e c’è qualcosa che impedisce che escano, una sorta di liquido che urta da una parete all’altra. È importante – ma non avviene il contrario – che comunque la poesia abbia sempre l’ultima parola.” (Il Poeta in La Caduta, inedito dell’autrice).
Un set, quello di Umano non Umano, in questo episodio specifico, che trasmette il senso dell’esercito – legato strettamente alla multiformità – dei quadri, evocandone quasi un corpo animico. Quadri, posizionati in verticale, in orizzontale, quadri di tipi diversi. Un esercito che non è propriamente alla stregua della Battaglia – William Hogarth The Battle of The Pictures, opera che evoca moltissimo tra l’altro la dimensione fantastica – ma in cui regna lo stesso senso di visibile e non visibile, quadri ciascuno con un proprio soggetto. Di cui si vede tutto, un piccolo angolino o nulla. Sistemazione che mima i ranghi di un esercito. Ovviamente qui non è lo stesso tipo di allineamento, ma l’associazione si è naturalmente generata.
Viene da chiedersi, senza insinuazione preconcetta, se nonostante la sua purezza Penna insieme a Schifano avesse creato un ambiente – pur sempre un set televisivo, filmico – che evidenziasse completamente se stesso, ma che rappresentandolo sfuggisse, almeno in parte, al lato più prettamente naturalistico.
“È un’evocazione di non solidità e di solidità al tempo stesso.
Le figure, spesso geometriche ma comunque solide, diventano le componenti di una figura complessiva, senza contorni precisi, ma disegno di una geometricità essenziale, fine e contenuto del tutto.
Clava come composizione asimmetrica,
catena come successione,
scatola come solido e volume,
cerchio come scoprirsi e nascondersi di piani di sfondo.
Tutti oggetti la cui individualità nasce per smarrirsi, sfumare, ma forse alla fine esaltarsi nel singolo, parziale, apparire.
Ma che cos’ha intorno a sé il giocoliere?
Nulla, direi. Qualunque sia la scenografia il moto del giocoliere la esclude ed esclude il mondo” (Il Giocoliere in La caduta).