…ma alla fine di ogni perorazione
si sentiva stridere la rabbia
e rombare il tuono della dannazione.
Alan Lomax
È ancora il
1941.
Il 22 agosto Alan Lomax “… al crocevia tra l’America democratica di Roosevelt e il feudalesimo brutale del Sud razzista” (A. Portelli in Prefazione a Lomax A., 2005) porta ancora una volta testimonianza, ancora una volta testimone lui stesso - Can you hear me brother Lomax? - segnando e consegnando un ulteriore documento della musica del popolo, del popolo del Blues.
L’Inferno esiste! Non solo esiste ma
L’Inferno è un posto e non una condizione!
(Mi hai sentito fratello Lomax?)
L’Inferno è un posto, non una condizione!
Be’ sapete, negli ultimi tempi da queste parti,
Si riesce a malapena a sopravvivere,
Sapete di essere in una situazione infernale.
La situazione nelle vostre case: niente soldi in banca,
Non vi potete permettere un vestito elegante né un vestito da sera.
Né calze a rete e sandali col tacco!
Vivete in una condizione d’Inferno…
La vostra situazione è brutta, ma questo non è l’Inferno!
Condizioni e circostanze sono esponenti dell’Inferno, non l’Inferno.
L’Inferno è molto più in giù, lungo la strada delle condizioni e circostanze.
Condizioni e circostanze sono soltanto fermate, in cui le persone infernali
Salgono a bordo del treno che porta all’Inferno!
Sapete, c’è chi crede che l’Inferno sia soltanto una condizione esteriore,
È là fuori, da qualche parte:
Quando ne siete stufi lo prendete e lo spostate;
Se vi stufate di nuovo lo prendete e lo spostate di nuovo.
Ma l’Inferno esiste!
Proprio come il Paradiso è un posto, l’Inferno è un posto!
Proprio come il Paradiso è in alto, l’Inferno è in basso!
Proprio come Dio regna lassù, il Diavolo regna di sotto!
La voce registrata è quella del Reverendo Ribbins, giunto da Memphis, chiamato dai partecipanti per celebrare la funzione, il raduno si svolge a Maple Springs, nel Mississippi. Si scatena in un urlo che cattura il canto che ripercorre la parabola del ricco e del povero contenuta nel Vangelo di Luca. Fisicità del corpo, della vocalità, nonché della parola stessa con tutto il suo peso letteralmente fisico di tono, gravità come grave.
Lo sento chiamare:
“Oh-oo, Abra-aamo!
Abbi pietà di me!
Ooo-oo-oo-oooh!
Manda quaggiù Lazzaro,
Fagli intingere un dito nell’acqua,
Perché soffro la sete in questa valle”.
Sento Abramo che dice:
“C’è troppa malvagità là sotto,
Non posso mandarlo”.
E il ricco: “Sai cosa vorrei che facessi?
Manda Lazzaro a casa di mio padre,
Dove vivono i miei cinque fratelli,
Per dirgli di dare ascolto a Mosè e ai profeti”. AMEN!
Il sermone non risulta breve, ma ogni verso, ogni parola, ha
la brevità di ciò che incide, cattura, seduce ed
esorta. Fino ad immettere in una sorta di tangibile visualizzazione di
quel luogo abissale e che, seppure nella sua ipotetica, possibile o
certa natura di luogo, contiene in sé tutto il dramma della
caduta.
La caduta è un qualcosa di ancestrale
già collegato con l’umano stesso in quanto tale.
Una situazione costante dello stato umano. Intesa come stato abituale
di ogni istante in tutti i campi, intesa come discesa traumatica.
Significa spostarsi da un livello più alto a uno
più basso però traumaticamente. E se cadere
significa scendere e farsi male, dover affrontare un trauma, sia
fisicamente che spiritualmente – dell’elemento
umano in quanto tale – la caduta è anche nel senso
proprio di violento trauma – ascendente o discendente
– tutto ciò che è umano è in
un certo senso sempre e comunque un non riuscire mai a permanere fino
in fondo e di conseguenza cadere. Come se l’essere umano
fosse sempre in continua e perpetua caduta in e da una ipotetica
età dell’oro, sorta di tensione, spinta eterna,
caduta che allontana sempre più (?). Non mai caduta
assoluta, quindi non precipitazione, ma continuo cadere,
c’è una caduta che qualche altra volta
può avere una sorta di reazione. Un continuo cadere e
contraddire la stessa caduta in nome di una risalita contraddetta a sua
volta. Una scala. Passaggio/urto di gradini. Il senso di caduta, mai
neutra, è sempre sofferenza, perdita di stabilità
quindi trauma sia di caduta in quanto tale sia in quanto perdita di una
conquista, e l’Abisso già contiene la caduta
etimologica, cioè racchiusa nella parola.
Io posso capire Abramo…
Sapete che c’è un grande abisso!
Grande abisso!
Grande abisso!
Grande abisso! PAROLA DI DIO!
È ora il
2009.
Il 4 ottobre al Marjorie Eliot’s apartment in West
Harlem, NYC. Come ogni domenica nella sua casa scaturisce
l’evento: la musica: il concerto nel suo farsi: nella
condivisione spaziale corporea, di uno spazio come contenitore, che si
fa anche apertura verso l’oltre, risuonano le note di All
The Things You Are e le improvvisazioni di musicisti
contemporanei chi from the corner chi from
Italy come annuncia energicamente la stessa Marjorie Eliot,
elemento magnetico nel gesto e nel verbo, – anche in questo
caso la comunità si intreccia al carisma di una guida
– e diversi corpi individualmente intesi sono legati
tra loro seppur nell’individuale, venendosi a sostanziare la
dialettica tra individualità e ulteriorità nello
spazio non inteso come limitato confine entro cui essere, ma anche come
luogo che oltrepassa e si fa oltrepassare, mentre
l’ulteriorizzazione di tutto questo ha proprio la musica come
vettore, anche e soprattutto geografico, anche e soprattutto temporale.
Un allargamento che ha come base queste
pareti.
La stratificazione, la storia di queste
persone, viene inoltre
a ribadire il continuo manifestarsi di una sorta di
circolarità, conferma di contenimento come atto del
contenere, del circoscrivere come spazialità
dell’individuo, quindi lo spazio come contenitore, nel senso
che la comunità si fa circoscrizione individuale e
all’interno e dall’interno di questo gruppo
dispiega l’apertura verso il volo. Dove
l’individuale è anche specularmene rispecchiato
dall’individuo nei confronti dell’individuo stesso;
ideale ma anche fisico passaggio di comunicazione e condivisione che
sfocia poi nell’altro, che si fa anche spazio aperto, senza
perdersi poiché dominante è appunto la
circolarità.
La musica consegnando anche
la misura del travalicamento
sembra essere uno sciame che poi vola in cielo. Sul piano fisico la
musica si pone come una sorta di fase nello spazio, persino come
superspazio inteso oltre la casa.
Quello a cui si partecipa
è un vero e proprio
evento mobile. Partecipare che è segmentato senza essere
frammentato, figura geometrica composta da persone, con emissione
immissione di altri, figura sufficientemente elastica, composita che
sembra ricomporsi. Individualità come memoria, di tutto
quello che si rivendica come individuale, al momento il senso della
memoria come ritorno di qualcuno a se stesso, condivisione nel senso
che in questa situazione la memoria è segno
di individualità e anche di coralità. La memoria
per definizione è qualcosa che è successo o
qualcuno che c’è stato, quindi sì il
contenuto di ciascuno come rivendicazione di individualità
ma condivisione di tutti i partecipanti dello stato memoriale
tout court, effetto di partecipazione e di
individuazione. Nel senso di fatto, cioè che ciascuno nella
sua individualità può avere un fenomeno analogo,
nel senso di quello che viene innescato, un’emozione non
limitatamente né necessariamente conoscitiva, ma
partecipativa. Nella relazione di questa partecipazione memoriale
innescata indotta anche dalla musica, induzione e sviluppo di un
elemento memoriale, come innescamento della memoria intesa come fatto
individuale e stato partecipativo. Una collettività ma anche
un insieme come insieme di individualità. In questo senso
partecipazione, collettivo nel senso di tutti, individualizzato
perchè tutti partecipano alla stessa situazione.
La
musica si configura anche come evocazione e religione.
Elemento
evocativo traducibile in movimento nelle varie
posizioni e gestualità dei singoli.
Elemento
religioso nel senso di re-ligio,
che lega e spinge a una partecipazione unitaria, tra l’uno e
l'altro. La musica dunque come funzione anche unitiva della situazione
in quanto tale. La musica in quanto sciame che esce rendendosi
portatrice di un oltre che sembra poi ritornare nel singolo individuo e
nel luogo tutto. L’opposto della spersonalizzazione, anzi un
ritorno alla propria individualità, dove la partecipazione
dando un’ulteriore partecipazione all’individuo
stesso, non è perdita
dell’individualità, ma ritorno
all’individuo. Fenomeno opposto dell’alienazione,
non espropriazione dell’individuo ma riconduzione
all’individuo – e alla comunità. Con la
musica che è il tratto di collegamento.
Se si
materializza, il silenzio è un silenzio
attivo – il silenzio dell’ascolto è
comunque sempre forma di silenzio attivo – ed è
verso il silenzio altrui. La partecipazione a più gradi e a
misure diverse si manifesta sia a livello di suono che di gesto. Un
linguaggio completo: voce, gesto, silenzio, respiro. Tutta
l’integralità del corpo.
Si
pone anche il discorso della sonorità intesa
come interpretazione
dell’interiorità dell’individuo
– di cui in qualche modo si fa carico. Dimensione che passa
appunto dall’elemento evocativo da un lato, ma anche come
sottolineatura dall’altro, come se l’individuo
stesso vi riconoscesse – e riconosce – qualcosa di
suo. La musica pur provenendo dall’esterno
interpreta qui qualcosa di individuale diventando –
già tessuta da lui/lei – produzione
dell’individuo stesso.
Viene
così ribadita la realtà nel senso
globale. Il senso reale molto concreto.
Collettivo, corale
anzi – corale dà un
senso di maggiore sintonia, è una convergenza.
La
coralità data dal vivere in comune
qualcosa.
Time and again I’ve longed for adventure
Something to make my heart beat much faster
What did I long for, I never really knew.
× ASCOLTI
× Alan Lomax, , The Alan Lomax Collection: The Land Where the Blues Began, Rounder Records, 2002.× LETTURE
× AA.VV., Nuova Poesia Americana, New York, a cura di L. Ballerini, G. Rizzo, P. Vangelisti, Mondadori, Milano, 2009.