Da quel capolavoro assoluto che è Filles
de Kilimanjaro (1968) di Miles Davis scegliamo Mademoiselle
Mabry. È l'ultima composizione dell'album,
nonché la più lunga: 16 minuti e 36
secondi.
Gli echi arcani che avevano caratterizzato
i dischi precedenti, in particolare Sorcerer (1967)
e Nefertiti (1968), trovano qui un loro definitivo
stato dell'arte e della creatività.
Opera seminale
e carica di mistero, Filles de Kilimanjaro vive
quello stato di confine posto tra l’inizio della nuova
stagione “elettrica” e di cosiddetto jazz-rock che
Miles stava inventando e la fine di un mondo. Come ben si sa, l'arte ed
i suoi figli (e il nostro è stato un figlio indimenticabile)
vivono in questi momenti di nascita non ancora avvenuta dei momenti
fenomenali: sono le fasi in cui l’enigma della creazione non
è stato ancora del tutto risolto. La magia unica che si crea
in questi momenti, se ben sfruttata, ricorda l'inizio di una lunga
estate. Il disco non a caso è inciso tra il 19 e il 21
giugno 1968, mentre M. Mabry e Frelon Brun
sono incise il 24 settembre a New York. Frelon Brun
(Brown Hornett) e M. Mabry
diventeranno il primo e l'ultimo brano dell'album. Tra loro, Tout
De Suite, Petits Machine (Little
Stuff), Filles de Kilimanjaro.
Nella
session di giugno al piano elettrico c’è Herbie
Hancock, al basso Ron Carter, nella session di settembre per la prima
volta ci sono Chick Corea al piano elettrico e Dave Holland al basso.
Nella
definizione dell’album, cosa che purtroppo spesso oggi non
c’è più, i brani con Corea e Holland lo
aprono e lo chiudono, e sono anche i pezzi se si vuole con un atmosfera
meno sfumata, meno sognante, pur mantenendo il particolare carattere
magico di tutto il disco. L’atmosfera magica dell'incisione
è forse unica in tutta la produzione, non certo limitata in
quantità e soprattutto qualità, di Davis, ma il
clima di attesa di Filles è unico.
Crediamo
che ciò dipenda dalla padronanza assoluta che ormai Miles
aveva acquisito nel governare completamente la sua musica.
Un
particolare proprio sulla copertina dell’Lp ce lo conferma:
sopra il titolo per la prima volta appare a mo’ di occhiello:
“Directions in music by Miles Davis”, quasi a
rafforzare la sua regia dietro l’intera opera creativa.
Inoltre, nelle belle note di copertina Ralph J. Gleason ci racconta:
“Ogni volta che lo ascolto diventa come una nuova colonna
sonora per un nuovo film che si proietta nella mia mente. Talvolta vedo
il complesso su un palcoscenico, con Miles che scuote lo strumento in
attesa di suonare o che ha appena terminato di suonare e sta lasciando
il palco. Talvolta lo vedo durante un concerto in una grande sala e
tutti i musicisti sono in abito di circostanza. Una volta, ascoltando
il disco lo vidi come un concerto per batteria con
l’orchestra che circondava Tony Williams e Miles di fronte
che dirigeva con brevi gesti e suonava la sua parte”.
Miles
è arrivato alla creazione di un jazz classico.
Idea
e improvvisazione si sposano in maniera totale, con Filles
è iniziata l’epoca d’oro della
creatività davisiana. Qui nasce la grande stagione che si
chiuderà nel 1975 con Agharta e Pangea.
La presenza di Gil Evans è comunque
importante nella composizione di Filles, anche se
originariamente non riportata.
Come nota Ian Carr nella sua
splendida biografia critica: “Tutti i
brani di Filles de Kilimanjaro sono attribuiti a
Miles Davis, ma è certo che Gil Evans contribuì a
comporne almeno uno (Petits Machins).
Anni dopo, ricordando il suo lavoro per gli album di Miles, Evans
avrebbe affermato: “L'ultimo disco a cui davvero ho
collaborato è stato Filles de Kilimanjaro. Avrebbero
dovuto citarmi in quella occasione” (Carr, 1982).
Forse
Miles in quel momento era troppo preso dall’idea di creare
una sua Directions in music per riconoscere la
presenza dell'amico Gil, ma in qualche modo la sua presenza si avverte.
L'idea cioè di una musica su
cui lui avesse il pieno controllo, una creazione in cui parti composte
e improvvisate fossero pienamente controllate. Un po’ come
era stato nei dischi nati nel periodo di collaborazione con Gil Evans,
anche se lì c’era una scrittura ben determinata a
fare da base alla tromba di Miles.
Riemergeva anche quello
spirito che aveva caratterizzato Kind of Blue, e
che in quella occasione aveva portato alla scoperta del jazz modale,
come sistema per modulare più liberamente l'improvvisazione,
e di cui un brano come So What ne incarna per
così dire l’anima. Questa volta
l’intento di Miles è ancora più
ambizioso perché comporta un controllo totale sulla sua
musica.
Dice bene ancora Gleason quando afferma:
“È questo ciò che ha indotto Dannie
Rifkin, da tempo studioso di musica improvvisata ed ascoltatore della
musica di Miles Davis a dire che la musica improvvisata non dovrebbe
essere registrata, ma ascoltata una sola volta nel momento in cui viene
eseguita. Ma la caratteristica di Miles Davis è quella di
saper superare i concetti di Rifkin e di dare alla sua musica quelle
speciali qualità che la fanno sembrare nuova ad ogni
ascolto”.
In
tal senso si è parlato di Miles come colui che
più di ogni altro jazzista ha aspirato alla creazione di un
jazz-classico, di una musica cioè in grado di resistere nel
tempo.
Ci rendiamo conto che la parola classico a Miles non
sarebbe piaciuta perché ispirata alla cultura bianca a lui
comunque in qualche modo invisa, perciò vorremmo dire
più correttamente:
un classicismo profondamente
nero.
Ecco, Miles insieme a Duke Ellington, cui ha
dedicato quella meraviglia che è Get Up With It
(1974), e a qualcun altro (Charlie Parker/Jimi Hendrix), ha contribuito
alla creazione di un classicismo profondamente nero e legato ovviamente
alla cultura nera afroamericana.
L'intuizione che
aveva generato Birth Of The Cool (le tracce
dell’album vennero registrate tra il 1949 e il 1950, ma il
disco venne pubblicato nel 1957) all'inizio della sua
attività, inizia a trovare una concretizzazione definitiva
proprio nel periodo che inizia con Filles de Kilimanjaro.
È
il periodo in cui Miles ha raggiunto una padronanza totale sulla sua
musica, è il Miles della piena maturità che di
lì a poco creerà uno dei capolavori assoluti
della musica del Novecento: Bitches Brew (1970).
Miles
nella sua autobiografia riconosce che il breve matrimonio con Betty
Mabry, che tra l’altro è la donna presente nella
copertina dell'album, fu foriero di vari cambiamenti nella sua vita.
“Betty
influenzò molto la mia vita personale, così come
quella musicale. Mi fece conoscere la musica di Jimi Hendrix
– nonché Jimi in persona – e un sacco di
musicisti rock neri” (Davis/Troupe, 2007).
Mademoiselle
Mabry parte dall'inciso di apertura della hendrixiana The
Wind Cries Mary – anch'essa dedicata ad una donna.
Il piano elettrico di Corea parte poi in una serie di schemi armonici
su un tempo continuamente diverso, in azioni di relax alternate ad
altre scattanti. Forse è la camminata di una donna
particolarmente sinuosa che sembra materializzarsi nello spazio sonoro,
ma è un passo imprendibile indeterminato eppur presente.
La
serie armonica intessuta da Corea rimane, poi, come base su cui si
dipanano i singoli assoli.
I lievi cambiamenti di ritmo in
perfetta sincronia con la batteria di Tony Williams creano la ricca
tessitura del brano. Essa sembra portarci in vari territori per poi
concludersi in un divertente e rassicurante riff.
Miles fa il
primo assolo ed è proprio il caso di dirlo caldo, intenso ci
immerge in un atmosfera estiva. Tale atmosfera continua per tutto il
pezzo, la cui intensità e complessità sta proprio
nel fatto che ha una sua indefinibilità.
Esso è circolare e labirintico al tempo stesso.
Miles, come un novello Dioniso, accenna, propone, scompare,
riappare, la sua tromba si muove in uno spazio sonoro ormai
completamente cosmico. Prosegue la linea dell’assolo con
Wayne Shorter, l'atmosfera si fa più jazzistica e meno
stralunata dell'impronta che aveva dato Miles, con Wayne Betty Mabry la
si vede proprio al massimo della sua sensualità. Betty
avanza, ci sussurra dolcemente e poi scompare avvolta dal piano
elettrico di Chick. Ciò che fa per tutto il pezzo Tony
Williams, poi, ha dell’incredibile, sembra avere oltre alla
consueta batteria una serie infinita di timpani che tira fuori da non
si sa dove.
L'alternarsi di suoni ai piatti e al
charleston con quelli ai vari tamburi costituisce di per sé
un tessuto sonoro. Anche il basso di Dave Holland ha degli inserimenti
sempre puntuali e ficcanti.
Ritorna, infine, il piano
elettrico di Corea e ripercorre con una nuova tensione la serie di
accordi aggiungendo anche qualche dissonanza, ma trionfa l'armonia.
Così riappare anche la tromba di Miles ed il calore estivo
diviene più intenso, pieno.
La musica si
ricompone, saltella e scompare nel nulla.
× ASCOLTI
× Davis M., Sorcerer, Columbia 1967, ristampa cd Columbia Legacy, 2008.× LETTURE
× Carr I., Miles Davis: A Biography, New York, Morrow, 1982, Miles Davis, una biografia critica, Arcana Editrice, Milano, 1982.