May I? è una ballad cantata con fare da navigato crooner da Kevin Ayers. Un pezzo, scritto alla fine degli anni Sessanta, che è diventato col tempo praticamente un obbligato: non c’è quasi concerto del “nostro”, oggi residente nel sud della Francia, che non includa questo motivetto ammaliante, romantico e sornione. Tratta dal suo secondo album Shooting At The Moon (1970), l’opera più eclettica del repertorio ayersiano, May I? la si può ascoltare e “vedere” anche su YouTube grazie a un filmato d’archivo che vede Ayers accompagnato dalla sua band dell’epoca: Mike Oldfield (basso), David Bedford (fisarmonica e tastiere), Lol Coxhill (sax soprano) e Mike Fincher (batteria). Di questo pezzo ne esistono innumerevoli versioni, ma vale la pena citare quella in francese (Puis Je?), apparsa per la prima volta sulla raccolta di inediti e rarità Odd Ditties (1976), e quella, anch’essa rintracciabile su YouTube, con Ollie Halsall alla chitarra che reinterpreta alla grande l’intermezzo solistico jazzato che in origine era appannaggio del “bald soprano”. La canzone, tanto per chiarire, parla di un tentativo di approccio con una ragazza seduta in un caffè, presumibilmente parigino. Tutto molto poetico e quasi… ingenuo, infantile. Quello che alla fine emerge non è tanto la liason (assolutamente immaginata e immaginaria) con la ragazza, ma la gioia di vivere del protagonista alle prese con uno scenario mitico: il piccolo caffè, il sole, il gioco degli sguardi, la bellezza femminile e forse un po’ di malinconia. L’unica cosa importante è la “compagnia di un sorriso”, canta Ayers nel ritornello, niente di più. In questo senso May I? rappresenta un po’ l’archetipo del cosmo cultural/musicale ayersiano fatto sì, almeno agli inizi, anche di improvvisazioni, psichedelica, dadaismo e avanguardia, ma che ben presto vira verso orizzonti meno trasgressivi dove regna un misto tra malinconia esistenziale e un sense of humour tipicamente britannico. Un filone quest’ultimo che come un tracciante ha illuminato tutto il percorso artistico del chansonnier di Herne Bay. Pensiamo, solo per fare qualche esempio, a un altro piccolo capolavoro che è Am I Really Marcel (dall’album Falling Up del 1988), sintesi filosofica sulla fatica del vivere quotidiano, o, per arrivare quasi ai giorni nostri, all’ultima avventura discografica di Ayers, The Unfairground (2007). Anche qui ballad esemplari raccontano con sempre più amarezza, la voce intanto si è fatta più roca e graffiante, un mondo dove la bellezza e la spensieratezza evocata da May I? sono quasi spariti. Come in Cold Shoulder (con contributo elettronico di Robert Wyatt) o in Wide Awake, entrambe incentrate sulle difficoltà di capire la realtà e sulla paura di non trovare punti di riferimento. Questa dimensione cantautoriale di Ayers è forse stata sottovalutata dalla critica, più interessata a descriverlo come un eterno dandy, pigro e indolente, perso nei paradisi lisergici dei suoi rifugi maiorchini. Uno stereotipo duro a morire. Ma, tornando a bomba, per capire il personaggio e il suo approccio alla forma canzone, ecco uno stralcio da una recente intervista realizzata dal sottoscritto per l’inserto de il Manifesto, Alias/Ultrasuoni in occasione dell’uscita di The Unfairground. “Le parole vengono sempre prima della musica perché fondamentalmente sono uno scrittore, prima di essere un musicista, tendo sempre a modellare lo spartito intorno alle liriche e non viceversa. Attualmente, però, trovo più facile scrivere le musiche. Credo che ciò sia dovuto al fatto di aver in un certo senso esaurito le cose da dire e di non voler, a questo punto, correre il rischio di ripetermi. Ci sono tantissime cose su cui scrivere – la mia visione del mondo, degli altri, di me stesso, ecc. – ma si tratta di un numero finito di esperienze. Come è finito il numero di parole che si utilizzano per raccontarle o descriverle. Questa è una delle ragioni per cui credo che, oggi, la musica, ma tutta l’arte in generale e le scienze umane, siano arrivate a una sorta di punto morto. L’unica area innovativa dove nascono nuove idee è quella della tecnologia dove apparentemente si può ancora lavorare su un numero infinito di possibilità. Con questo non voglio dire che la mente umana non possa più sviluppare idee innovative ma, visto che non sono previste visite di alieni da altri pianeti e che viviamo in un mondo con una bomba sempre pronta a partire, siamo probabilmente obbligati a rimanere in questa situazione per lungo tempo ancora. L’epoca d’oro del pensiero, di quando ci si interrogava su morale, religione, filosofia e tutte quelle cose sembra totalmente sparita su per il culo della generazione del computer”. Leggendo questa risposta si potrebbe pensare a un intellettuale prestato alla musica. E, in fondo, è proprio così. La verità è che Ayers esprime lo spaesamento di un’intera generazione di fronte al mutamento dei tempi e delle cose e all’imbarbarimento di una società “dormiente” senza anima e passioni. E che, anche a causa delle nuove tecnologie, vive sempre più ripiegata su se stessa. E May I? Beh, riascoltata oggi, assomiglia sempre di più a un inno… un inno all’innocenza perduta.
May I? (words&music Kevin Ayers)
I just came in off the street Looking for somewhere to eat
I find a small cafe I see a girl and then I say
May I sit and stare at you for a while? I'd like the company of your smile
You don't have to say a thing
You're the song without the sing The sunlight in your hair You look so good just sitting there
May I sit and stare at you for a while? I'd like the company of your smile
× ASCOLTI
× Kevin Ayers, Shooting At The Moon, Harvest, 1970, ristampa cd Emi, 2003.