Fuori è sempre terribile. Protetti dal guscio, dal
ventre, da solide pareti o mura, dentro si è immersi in una
costante rassicurazione, ma fuori è terribile.
All’esterno
tutto ci minaccia, l’oscura materia diversa da noi ci
assedia, incessanti sono le incursioni, le aggressioni, i tentativi di
invadere il nostro spazio.
Fuori è
terribile quando il mondo si presenta nella sua placida veste
ordinaria, l’innocuo quotidiano dietro cui è
sempre celato il nemico, l’avversario mascherato, il diverso,
la mostruosità dell’altro. Ci sono film della
vecchia fantascienza paranoide che sono stati capaci di raccontare la
pericolosità celata sotto l’abito normale in
tranquille cittadine della provincia americana (L’invasione
degli Ultracorpi di Don Siegel) e in villaggi della campagna
inglese (Il villaggio dei dannati di Wolf Rilla
– più il remake di John Carpenter – dal
romanzo I figli dell’invasione di John
Wyndham). Terre natie di una moltitudine di orrori
contemporanei.
Va ancora peggio poi quando si gioca
a carte scoperte, quando il fuori è dichiaratamente sotto il
segno del pericolo, dell’angoscia che ne deriva, del terrore
che scatena, del malessere che ci assale. In questo caso fuori
è ancora più terribile. È quello che
vive (e rivive ogni volta che qualcuno ne rilegge la storia) la donna Sola
con la sua anima, come recita il titolo di una micro prosa di
Thomas Bailey Aldrich (1836 – 1907), un grumo di parole a
misura di Twitter che Adolfo Bioy Casares, Jorge Luis Borges e Silvina
Ocampo decisero di inserire nella loro raccolta Antologia
della letteratura fantastica, una selezione pubblicata il
giorno della vigilia di Natale del 1940 e concepita tre anni prima:
“Una sera del 1937 parlavamo di letteratura fantastica,
discutevamo i racconti che ci sembravano migliori; uno di noi disse che
se li avessimo riuniti [...], avremmo ottenuto un buon
libro”, ricorda nella sua prefazione Bioy Casares.
Settantancinque racconti, non tutti concepiti come tali, talvolta i
brani sono degli estratti da romanzi, presentati secondo il semplice
ordine alfabetico, ignorando classificazioni in base al genere (o ai
sotto generi), agli autori, ai periodi storici e alla geografia
culturale. Firme celebri o di nessuna notorietà al di fuori
di una ristretta cerchia di studiosi e di appassionati. Qualche nome
per farsi un’idea della mappa disegnata dai tre curatori
(nonché autori inclusi nel volume):
Jean-Marie-Philippe-Auguste-Mathias de Villiers De
L’isle-Adam, Rodolfo Wilcock, Edgar Allan Poe, James Joyce,
Giovanni Papini, Richard Francis Burton, Emanuel Swedenborg, Akutagawa
Ryûnosuke, Julio Cortázar, Hsueh-Chin Tsao. Tra
questi Thomas Bailey Aldrich, scrittore americano, autore di un congruo
numero di prose e versi, che continua in Italia ad essere noto solo per
quelle poche righe incluse dai tre argentini nel loro best del
fantastico. Queste:
Una donna sta seduta sola in casa. Sa che nel mondo non c’è più nessuno: tutti gli altri esseri umani sono morti. Bussano alla porta.
Lo si è appena detto: fuori è terribile.
L’umano è terribile, ma il resto è
ancora peggio, per quanto si possa nutrire scarsa stima e simpatia per
i propri simili. Qui siamo di fronte alla sparizione
dell’umanità e dunque alla presenza fuori di
qualcosa di diverso, di ignoto ma che compie un gesto semplicissimo,
umano, molto umano: bussare alla porta. Quale creatura chiede di essere
ricevuta? Che aspetto avrà? Le sue intenzioni sono di natura
benigna? Nel secolo trascorso dalla scomparsa di Aldrich le risposte
ipotetiche – già numerose ai tempi della messa a
punto dell’Antologia – si sono
moltiplicate in modo esponenziale.
Potrebbe trattarsi di un
essere semi-umano, modificato, un mutante, creatura deforme frutto
della follia umana, ad esempio di una catastrofe eco-nucleare.
L’umanità in senso stretto è sparita
“nel mondo non c’è più
nessuno”, chi bussa è fatto di materia infetta,
pustolosa, di carne che si disfa, di organi abnormi o ridotti a pallide
e oscene imitazioni dei nostri: deformazione dell’umano.
“Bussano alla porta” degli zombi, la variante del
mutante che ha invaso un po’ tutti gli spazi del nostro
vivere quotidiano, privilegiando i luoghi del consumo dai drugstore
agli ipermercati. Figure che ci inquietano ancor prima di disgustarci
perché ci strappano a morsi la certezza che
c’è una vita e chissà dopo, ma niente
tra il prima e il dopo, mentre loro sono proprio lì nel
mezzo del cammino e neppure ci odiano, semplicemente ci bramano.
Fuori
è terribile.
Una donna sta seduta sola in casa. Sa che nel mondo non c’è più nessuno: tutti gli altri esseri umani sono morti. Bussano alla porta.
L’umanità è sparita, la
condizione di sopravvissuta è una condanna che nessuno si
augura, anche quando qualche nostro simile si aggira ancora tra
sentieri di montagna, autostrade abbandonate, quando ci si trascina
lungo la strada accompagnati da un cielo perennemente grigio, come
anche la nuova apocalittica fantascienza racconta in La
strada sulla carta (Cormac McCarthy) e sul grande schermo
(John Hillcoat), dove mantiene il titolo originale, The Road.
Soli
al mondo contro il nemico che ci attende all’esterno che
cerca di penetrare all’interno, nel nostro guscio, un
semplice bussare alla porta, potrebbe trattarsi di creature che hanno
preceduto e accompagnato l’umanità, un popolo di
antichi, abominevoli orrori preumani, o deviazioni, corruzioni della
materia. Creature delle tenebre, qualcuno le definisce infernali, o la
loro progenie sulla Terra, frutto di copule proibite. Le schiere del
nemico schierate dall’altro lato della porta si ingrossano
sempre di più, provengono dalla viscere della Terra, oppure
non sono di questa Terra, arrivano dallo spazio, alieni senza
pietà che beffardamente bussano alla porta
dell’ultimo essere umano ancora vivo, non massacrato,
smembrato, vivisezionato, assorbito, smaterializzato dalla
volontà di sterminio che li ha condotti in questo periferico
pianeta di una galassia di media grandezza. Ci arrivano per
volontà o per caso, ma il risultato non cambia, sono predator
metà carne metà macchina, o vegetali intelligenti
come i trifidi, ancora da un romanzo di Wyndham: Il giorno
dei trifidi; oppure chissà come sono,
semplicemente ci guardano dalle torri, come in un racconto di James
Ballard, Le torri d’osservazione (Ballard,
2003). Un carosello di forme d’invasione e un punto fermo: le
vittime, noi.
Fuori ci sono licantropi, orchi, vampiri, morti viventi,
alieni, diavoli, e creature senza nome.
Fuori ci sono
semplicemente animali, tutti regrediti allo stadio
di natura, anche i più domestici di un tempo e potrebbe
bastare. Non è più possibile vivere fuori dove il
caos ribadisce la sua sovranità e le creature che lo
incarnano si aggirano dandosi il cambio della guardia intorno alla casa
abitata dall’ultimo essere umano vivente. L’assedio
è totale, condotto da esseri immaginari, sempre possibili.
Fu proprio Borges a confezionare anni dopo un catalogo di
mostruosità assortite, Il libro degli esseri
immaginari, dove alloggiano fianco a fianco, il simurg, le
norne, il crocota e il leucrocota, i silfi, il nesnas e
l’unicorno, l’ippogrifo, la fenice, il drago,
satiri e la sfinge: zoologia fantastica per eruditi e in parte di
dominio popolare (al prezzo di un’ulteriore trasfigurazione).
Fuori.
Una donna sta seduta sola in casa. Sa che nel mondo non c’è più nessuno: tutti gli altri esseri umani sono morti. Bussano alla porta.
È terribile: tutti morti. Fuori ci sono solo figure
spettrali, fantasmi, evocazioni di entità da luoghi che non
è possibile immaginare senza essere stretti dalla morsa del
panico, della paura, dell’angoscia. Ectoplasmi che vengono a
reclamarci, che esigono anche la vita dell’ultima donna
rimasta in vita e il motivo rimane ignoto.
L’intero
repertorio della letteratura fantastica, tutto il disorientamento,
l’impensato e l’irrisolto che la letteratura
fantastica ha in dotazione e mette in gioco (“Bisognerebbe
dire che tutta la letteratura è fantastica”
scrissero Borges e Bioy Casares all’inizio della Prefazione
dedicata nel 1980 alla prima edizione italiana della loro antologia
pubblicata dagli Editori Riuniti) trovano sintesi in queste
righe.
Quella donna “seduta sola in
casa” è immersa, a quanto ne sappiamo, in un
assoluto silenzio. Ignoriamo anche altro, molto: che cosa ha causato la
morte di tutti gli esseri umani, come quella donna sia sopravvissuta,
la posizione geografica di quella casa, le caratteristiche del
territorio e della dimora che offre riparo alla donna e, soprattutto,
chi è questa donna, che cosa riesce ancora a immaginare, a
sognare, a sperare riguardo alla sua esistenza in una situazione
così estrema, ma vissuta in apparente
tranquillità. Lei “sta seduta sola in
casa”, non si preoccupa di ciò che accade fuori,
lì è terribile ma ne è cosciente e non
può opporsi, è rassegnata; oppure potrebbe anche
essere impegnata in pensieri più relativi al dentro, che in
uno stato di alterazione delle percezioni e di deviazione del mondo
dalla normalità potrebbe trasformarsi in qualcosa di analogo
a quanto avviene alla protagonista di In un luogo imprecisato
di Giorgio Manganelli. Nella pièce radiofonica per quattro
voci che nel 1975 venne affidata a Carmelo Bene (interprete delle tre
maschili) e Lydia Mancinelli, questa a un certo punto dice:
“Una di noi ha pensato che questa fosse una casa col di
dentro fuori. Capisci: è come rovesciare una tasca. Non ci
puoi mette dentro niente, no? Però, se ci riesci puoi
metterlo fuori. Insomma, anche se la casa ci circonda, essa ci contiene
nel suo esterno. E da qualunque parte si sia, siamo sempre fuori
[…]. E se io esco da un fuori, dove vado? Dentro un fuori? O
appena esco, il fuori da cui da cui sono uscita diventa un
dentro?” (Manganelli, 2005). Tutto si rovescia, non solo in
Manganelli, che domande del genere le pose qui e là nella
sua scrittura (ad esempio, ne La palude definitiva),
ma in generale nelle narrazioni fantastiche in virtù della
loro probabile funzione ontologica di spaesamento (Borutti, 2006).
Quella donna, la casa, l’altro che bussa alla sua porta,
l’invisibile sussulto provato da questa solitaria
protagonista nel momento in cui i colpi risuonano dentro di lei, il
diluvio di domande che l’assalgono, il terrore,
l’olfatto che suggerisce, depista, che disegna nuovi misteri,
l’umanità estinta che circonda questa
scena.
Una donna sta seduta sola in casa. Sa che nel mondo non c’è più nessuno: tutti gli altri esseri umani sono morti. Bussano alla porta.
Un repertorio di fatti e condizioni inquietanti, ma solo un
riflesso dell’autentico punto di attrazione di questa storia,
il titolo: Sola con la sua anima. Tutto
andrà rovesciato per iniziare davvero la discesa, lo
sprofondamento, privi di difese efficaci, afferrando per poi vedersi
sgusciare di nuovo tra le mani l’autentico disagio che
ispirano queste poche righe, la loro capacità di incidersi
dentro di noi e non abbandonarci più, di ritornare come il refrain
ossessivo di una canzoncina pallida, malaticcia eppure perdurante, mai
ridotta del tutto al silenzio; l’abilità di
celarsi alla vista, di mimetizzarsi in angoli innocenti del nostro
cranio. Tutto andrà rovesciato, perché il titolo
è inizio e fine della storia, lo si dovrà
prendere alla lettera e solo allora iniziare a tremare.
Fuori
è terribile, dentro è peggio.
LETTURE
— Ballard James G., Tutti i racconti. 1956 – 1962, Fanucci, Roma, 2003.
— Bioy Casares Adolfo, Borges Jorge Luis e Ocampo Silvina, Antologia della letteratura fantastica, Einaudi, Torino, 2007.
— Borges Jorge Luis, Il libro degli esseri immaginari, Adelphi, Milano, 2006.
— Borutti Silvana, Filosofia dei sensi, Raffaello Cortina, Milano, 2006.
— Manganelli Giorgio, Tragedie da leggere, Bompiani, Milano, 2005.
— McCarthy Cormac, La strada, Einaudi, Torino, 2007.
— Wyndham John, I figli dell’invasione, Mondadori, Milano, 1977.
— Wyndham John, Il giorno dei trifidi, Fanucci, Roma, 2004.
VISIONI
— John Hillcoat, The Road, Eagle Picture, 2010.
— Rilla Wolf, Il villaggio dei dannati, A & R Productions, 2012.
— Sekely Steve, Il giorno dei trifidi, Pulp Video , 2004.
— Siegel Don, L’invasione degli ultracorpi, Sinister Film, 2009.