Un numero speciale, una donna fuori dal comune e una dozzina di cartoline
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GIZA
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[GIZA]
di Roberto Paura
Le relative “Observations sur les Pyramides de
Gyzeh” furono successivamente pubblicate nel nono volume
della Description de l’Égypte.
La spedizione lavorò assiduamente scavando intorno alle
Piramidi e facendo anche riemergere parzialmente la Sfinge dalle
sabbie. Vennero seguite inoltre le prime misurazioni scientifiche
riguardanti le straordinarie dimensioni e i rapporti matematici della
grande Piramide di Cheope e del complesso di El-Giza. Risalgono a
questa spedizione le splendide tavole in cui si vedono degli uomini
impegnati nel disseppellimento della Sfinge e dei soldati a cavallo
davanti alle Piramidi illuminate dal sole nascente (Taschen,
2007). La descrizione più completa della
piana di El-Giza è tuttavia opera di
Edme-François Jomard, una delle anime della Description
de l’Égypte, di formazione
ingegneristica (aveva studiato al Polytechique fondato nel 1794) ma
– come tutti gli illuministi – capace poi di
riciclarsi come geografo, archeologo e letterato. Facendo seguito nel
1802 alla prima spedizione del colonnello Coutelle, Jomard redasse la
“Description genérale de Memphis et des
Pyamides” nel volume quinto e le interessantissime
“Remarques et recherches sul le Pyramides
d’Egypte” nel volume nono, in cui si rivela tutta
la sua non indifferente capacità di archeologo. Nella sua
“Description genérale”, Jomard
analizzò la topografia delle Piramidi e ne
ricalcolò con maggiore precisione le misure, ancora oggi
validissime, non riuscendo a nascondere tutto il suo stupore per lo
spettacolo del complesso di El-Giza: “Quello che si prova non
è solo l’ammirazione che scaturisce dalla visione
di un capolavoro dell’arte, ma è
un’impressione profonda. L’effetto sta nella
grandiosità e semplicità delle forme, nel
contrasto e nella sproporzione tra la statura dell’uomo e
l’immensità dell’opera che è
uscita dalla sua mano” (Description de
l’Égypte, vol. V). Proprio questo
sgomento, che colpì i francesi in Egitto – dal
semplice soldato all’illuminato studioso, fino allo stesso
Napoleone – è ben rappresentato nelle tavole
dell’opera, dove l’immensità delle
strutture architettoniche è spesso confrontata in scala con
le stature umane: ad esempio la veduta presa da est della Piramide di
Chefren in cui si intravede un piccolo omino che sembra quasi alzare le
mani al cielo di fronte all’immensità dello
spettacolo che gli si para davanti (Taschen, ibidem).
Un’osservazione particolarmente curiosa fatta da Jomard
è quella riguardo le fattezze della Sfinge: per lo studioso
francese, i tratti sono quelli di un ‘negro’, come
dimostrerebbero i capelli crespi, la fronte bassa e rientrante, il naso
schiacciato (già all’epoca il naso in
realtà era stato distrutto, e secondo Jomard proprio questa
circostanza avvalorava la sua ipotesi, perché nei
bassorilievi e nelle statue egizie i nasi sono sempre aquilini).
“Lungi da noi l’idea di denigrare con
quest’osservazione le razze dei neri”, chiariva
l’autore, ma non si capiva allora perché dare
queste fattezze alla Sfinge quando tutte le altre opere antropomorfe
egizie rivelavano l’appartenenza di questo popolo alla razza
caucasica (Description, ibidem). Benché
ci sia una certa concordia tra gli egittologi moderni
nell’attribuire le fattezze del volto della Sfinge a quelle
del faraone Chefren, nel 1993 il “New York Times”
pubblicò il lavoro di Frank Domingo, medico legale in
pensione del dipartimento di polizia di New York, che attraverso una
comparazione al computer delle fattezze di Chefren e della Sfinge
rigettò l’ipotesi della somiglianza sostenendo
invece che la Sfinge avesse evidenti tratti
‘africani’, ‘nubiani’ o
‘negroidi’ assenti nel volto di Chefren.
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