Un numero speciale, una donna fuori dal comune e una dozzina di cartoline
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[NAPOLI]
di Gennaro Fucile
Nel 1850, l’abate Vito Fornari scrisse nel suo Dell’Armonia
universale: “Io vedo nell’universo, e in
ciascuna sua parte, il dolore, il vizio, l’errore, il
disordine, la deformità, che sono il rovescio appunto
dell’armonia: e se pur talvolta alcun bene o alcuna bellezza
vi apparisce, sempre vi è misto del suo contrario, e tosto
come fuggitiva meteora si dilegua”. Il testo è
riportato in Dell’Armonia universale. Ragionamenti
di Vito Fornari, Marghieri, Firenze, 1878, alla pagina numero
trentasette. Fornari, ma chi era costui? Esponente di spicco
della cultura cattolico-liberale napoletana del XIX secolo, definito
dal filologo e critico letterario Francesco D’Ovidio come un
Vincenzo Gioberti del Mezzogiorno, Fornari fu anche autore di un Arte
del dire in quattro volumi e di un’altrettanto
poderosa Vita di Gesù forse pensata
anche per competere direttamente con quella redatta da Joseph-Ernest
Renan. Insegnò all’Università di Napoli
ai tempi di Francesco De Sanctis. Come si legge nel sito
dell’istituto Vito Fornari, in una nota a cura di Marco I. de
Santis: “Nacque in Molfetta il 10 marzo 1821, fu ordinato
sacerdote nel 1843 e morì a Napoli il 6 marzo 1900.
Discepolo del purista Basilio Puoti, alla morte del maestro ne
completò le Istituzioni di eloquenza. Dal 1860 con un
decreto di Garibaldi ebbe la direzione della Biblioteca Nazionale di
Napoli. Nel 1861 fu nominato membro del Consiglio Superiore della
Pubblica Istruzione e dal 1867 fu creato accademico corrispondente
della Crusca. Nel secondo Ottocento fu la guida filosofica della
schiera dei cattolici liberali meridionali. Tenne alto il culto per la
lingua italiana nella convinzione che con l'unità
linguistica si potesse assicurare l'unità politica. Anche
Napoli ricorda l’abate con un busto posto nella Villa
Comunale, opera realizzata nel 1911 da Leonardo Di Candia,
anch’egli di Molfetta e autore di diversi busti, bronzi e
medaglioni. La Villa Comunale ex Villa reale è uno dei
parchi monumentali di Napoli. Lo si deve al figlio di Luigi Vanvitelli,
Carlo, che operò per conto di Ferdinando IV di Borbone nel
biennio 1778-80. Restaurata dall’architetto Alessandro
Mendini, si estende per oltre un chilometro tra Piazza Vittoria e
Piazza della Repubblica, fiancheggiata dalla Riviera di Chiaia e via
Caracciolo. L’intera area, il quartiere di Chiaia
è sede di diversi palazzi nobiliari. A Chiaia
soggiornò ai primi dell’Ottocento Mary Shelley,
che in seguito vi fece nascere Victor Frankenstein, il suo moderno
Prometeo. Nel cuore del quartiere Chiaia si trova un altro piccolo
omaggio all’abate Fornari, una stradina laterale alla
dinoccolata Via dei Mille. È una viuzza che porta il suo
nome, difficilmente un napoletano ve la saprà indicare,
molto più semplice chiedere del cinema Teatro Delle Palme, la
salita del cinema Delle Palme, così nel parlare
comune la si indica, poche decine di metri su cui affacciano le grandi
vetrine di una cartoleria in grado di soddisfare le esigenze
dell’ufficio moderno.
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