MALESSERE DELL'ARTE E INTERVENTI D'URGENZA

a cura di Antonello Tolve e Eugenio Viola

11. URGE UNA PAUSA,
PER DOCUMENTARE
E RIFLETTERE

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di Elena Giulia Rossi

 

Da “estensione del corpo” (McLuhan, 1976) la tecnologia ne è ora sua parte integrante, consumata con atto cannibalesco, ingordo e inconsapevole. Le tecnologie e le società che esse generano si susseguono incessantemente e impietosamente. Nuovi apparecchi, nuovi schermi, nuove interfacce, si impongono e conducono a nuove vite che sfuggono al controllo umano.
La “Galassia Gutenberg” (McLuhan, 2011) tracciata dalla diffusione della stampa a caratteri mobili si è evoluta nella “Galassia Internet” (Castells, 2000) per poi frammentarsi nelle isole dei social network del Web 2.0 e possibilmente ritrovarsi nella sua nuova versione futuribile, il Web 3.0, un grande archivio dati intelligente (Koening, 2011).
Da che posta, telefoni e treni hanno accorciato le distanze geografiche, ci si è improvvisamente trovati di fronte ad una tecnologia che ha penetrato l’epidermide dei nostri corpi, si è insinuata tra le maglie della nostra coscienza e ha riscritto il codice genetico, generatore della vita biologica.
Nella continua accelerazione dell’informatica e dell’informazione, le stratificazioni che separano il cuore tecnologico dalla sua epidermide, l’interfaccia, diventano tanto più numerose quanto più semplice e accattivante appare l’immagine con cui si “interagisce” sulla superficie dello schermo (icone del desktop come il folder e il cestino ne siano l’esempio più immediato).
La riconquista del potere dell’uomo sulla tecnologia da necessità si è trasformata in urgenza, se non si voglia sopperire al suo dominio sempre più schiacciante. È vitale, per questo, fermarsi, riflettere, trovare una pausa creativa e recuperare una consapevolezza sufficiente a reagire ed agire coscientemente.

 

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Ritrovare “l’intervallo perduto” è su quanto Gillo Dorfles, artista critico e pensatore illuminato, inizia a riflettere all’inizio degli anni Ottanta del Novecento con il suo omonimo saggio (Dorfles, 1980). Di come si sia evoluto il significato di “intervallo” nella ricerca di Dorfles ne parla estensivamente Antonello Tolve che al maestro ha recentemente dedicato una monografia. “L’uomo, il critico, il teorico e l’artista – così Tolve sintetizza il pensiero di Dorfles – sono chiamati a recuperare ora un lasso di tempo indispensabile a generare misure critiche e creative, spazi di distensione mentale, ambienti di silenzio rigenerante” (Tolve, 2011). Questa urgenza, nell’era del digitale, diventa sempre più pressante.

Si propone la documentazione – e non solo da parte di teorici e critici – come momento di riflessione. La sua funzione trascende qui la sua veste pratica per diventare attitudine da impugnare come primo passo verso una presa di coscienza che guidi ad un’azione reattiva. La documentazione va intesa, in questo senso, come gesto rallentato proteso verso un ordine nuovo che va, anche questo come tutto il resto, rivisitato e metabolizzato alla luce dei nuovi parametri spazio temporali.
Mentre tutto scorre, fermarsi per raccogliere momenti e frammenti di storia introduce un cambiamento di posizione, una presa d’atto, un’azione funzionale anche alle tante urgenze che nel mondo del digitale sono da tempo conclamate come prioritarie, come quella della conservazione (Grau, 2011). Questo conduce al tentativo di scindere – a livello cognitivo – quel poco che ancora rimane della cultura da cui proveniamo dalla pellicola “globale” che ha appiattito le autenticità locali, cultura generata e “assuefatta all’era della merce”, così come Claude Levi-Strauss (2004) aveva predetto nei suoi Tristi Tropici a metà degli anni Cinquanta.
Raggiungere una visione esterna delle cose significa conquistare quella stessa distanza tra “noi” e “l’altro”, che lo studioso Tzvedan Todorov proclamava vitale per una migliore comprensione di noi stessi. Nel mondo informatizzato l’“altro” siamo noi, confluiti in un “ipercorpo ibrido, sociale e tecnobiologico”, come Pierre Lévy definisce quella trasformazione da intendersi come “eterogenesi dell’umano” (Lévy, 1995). Per comprendere come le tecnologie abbiano trasformato noi nell’altro è necessario assimilare i meccanismi del mondo digitale, dell’informatica, dell’informazione, non tanto nella loro grammatica tecnica, quanto nel loro vocabolario comportamentale e semantico.
Se è vero che l’arte è specchio del suo tempo, la documentazione di progetti creati nel – o ispirati al – mondo digitale può cogliere tracce di passaggi importanti dell’evoluzione delle tecnologie perdute tra le ceneri dell’obsolescenza.

 

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Telephone art, fax art, satellite art, net art, tele-presence art, robotic art, transgenetic art, bio art, nano art, sono solo alcune delle correnti sperimentali che hanno seguito le evoluzioni della tecnica e della scienza e le hanno inglobate nell’arte per restituirle in immagini critiche, rivelatrici del loro contesto sociale e del vero rapporto creatore-tecnologia-fruitore, laddove esso si sia celato dietro l’appannamento di facili attribuzioni comportamentali, come il tanto arbitrario quanto abusato termine “interattivo”.
Gran parte di questi esperimenti artistici sono sfuggiti alla conoscenza dei più, per gli alti costi di conservazione, e per l’attenzione che ad essi è stata dedicata da una ristretta cerchia di specializzati, tra cui contare anche ricercatori di laboratori militari. Questo incisivo vuoto culturale di più di dieci anni – molti, se si considera l’accelerazione dello sviluppo tecnologico – ha contribuito fortemente a quella mancanza di conoscenza di cui l’attuale incapacità di reagire è uno dei sintomi più evidenti.
Trasformazione e trasfigurazione, obsolescenza e – altrettanto gravemente – persistenza involontaria di dati, sono tutti processi ancora fuori dal nostro controllo: se è vero che l’universo dati è infinitamente in espansione, è vero anche che la sua obsolescenza è alle porte e la conoscenza di qualche suo frammento può aiutare a comprendere la complessità del tutto. 
Sempre più si parla di urgenza di conservazione, così come sempre più si parla di archivio, tenendo anche conto che il nuovo potenziamento del Web 2.0 nel 3.0 si avvia ad essere un grande archivio strutturato in un’architettura intelligente. 
In questo succedersi galoppante di mondi, documentare è uno dei tanti modi per compiere ciò che è realmente urgente, ovvero rallentare, seppure con occhio vigile verso ciò che impietosamente evolve, per osservare e riflettere su quel presente che è già passato anche nel suo scorrere e che presto sarà obsoleto. 
L’arte, presa ad esempio in quanto specchio del tempo, o per meglio dire con le parole di Paul Virilio, è come “presentazione dell’illusione del mondo” (Virilio, 2007). Ciò che è vero per l’arte è applicabile a tutti i campi scibili, dell’umano e del non umano. 
È infatti il gesto di analizzare, così come anche di contestualizzare – da sottintendere all’atto stesso del documentare – ad essere qui enfatizzato, senza nulla togliere alla sua funzione pratica, funzionale, tra le altre cose, anche a tutto ciò che ruota attorno alla conservazione la cui urgenza è qui indiscussa. In quanto metodo, la documentazione si pone quindi come pausa che si impone sulla velocità e lascia tracce importanti di alcuni attimi in un mare di accadimenti che si muovono in un flusso di continua transizione. L’urgenza qui descritta è volutamente fotografata nel presente, quello dei social network del 2.0 come messa in atto di un rallentamento, dovuto anche nel rispetto dell’uomo, la cui natura è essa stessa soggetta ad obsolescenza, ma vuol essere valida per i tempi a venire.

 


 

LETTURE

× Castells Manuel, Internet Galaxy, University Press, Oxford, 2000.

× Dorfles Gillo, L’intervallo perduto, Einaudi, Torino, 1980.

× Grau Oliver, edited by, Imagery in the XXIst Century, The MIT Press-Cambridge, Massachusetts-London England, 2011.

× Koenig John, Man Who Invented the World Wide Web Gives it New Definition, in “Computer Magazine”, febbraio, 2011.

× Lévy Pierre, Qu’est-ce que Le Virtuel?, Edition La Découverte, Paris, 1995.

× Levi-Strauss Claude, Tristi tropici, Il Saggiatore, Milano, 2004.

× McLuhan Marshall, Understanding Media. The Extention of Man, Ginko Press, Berkley, 1976.

× McLuhan Marshall, La galassia Gutemberg, Armando, Roma, 2011.

× Tolve Antonello, Gillo Dorfles. Arte e critica d’arte nel secondo Novecento, La Città del Sole, Napoli, 2011.

× Virilio Paul, The Aesthetic of Disappearence, Semiotext(e), Los Angeles, 2007.