Una conversazione con Marina Alberghini
MUSICA
PER GATTI RANDAGI
di Gino Pagliuca
Diciamo che non è un volumetto da leggere in
metrò. Céline gatto randagio
è una biografia di 1.100 pagine (Mursia Editore), scritto da
Marina Alberghini, una fiorentina vulcanica che affianca
all’attività artistica (è laureata in
Pittura e Storia dell’Arte e ha uno studio di grafica e
incisione) lo studio della letteratura francese e l’amore per
i gatti.
Ricco di notizie e documenti inediti, il volume, costato sette
anni di studio matto e disperatissimo, cerca di mettere in luce il
carattere maledetto dell’artista forse più
controverso del Novecento.
Ora, la grandezza dello scrittore
è fuori discussione, l’uomo invece o lo si ama o
lo si odia senza mezze misure.
Impossibile scriverne una biografia
asettica. Marina Alberghini si schiera dalla parte di chi lo ama. Le abbiamo proposto una serie di domande su Louis-Ferdinand
Céline alle quali ha risposto. Ne è sortita
un’intervista che in realtà è un vero e
proprio saggio.
Quanto c’era di reale e quanto di letterario nell’antisemitismo di Céline; quanto ad esempio il termine ebreo in realtà significa “capitalista”? E, più in generale, quanto c’era di costruito e in un certo senso di “compiaciuto” nell’immagine maledetta che Céline amava dare di sé, soprattutto nelle ultime interviste? Non c’era anche un po’ di marketing…
L’antisemitismo di Céline è complesso, in realtà non si può parlare di un antisemitismo viscerale, irrazionale e razzista, ma sempre mirato. All’epoca l’antisemitismo non era certo una novità presso gli intellettuali, erano antisemiti a volte anche viscerali scrittori e saggisti come Charles Maurras, Léon Daudet, Robert Brasillach, Henri Béraud, Georges Bernanos, Lucien Rebatet, Georges Suarez, Paul Valéry, Maurice Barrès, il virtuoso Paul Claudel e anche il grande liberale André Gide... Nessuno di loro fu a causa di questo perseguitato come Céline... anzi molti di loro ebbero onori e prebende come anche il super cristiano Marcel Jouhandeau che fra il 1936 e il 1937 pubblicò tre articoli riuniti in un volume dal titolo Il Pericolo ebraico in cui si poteva leggere:
Si tratta di una razza fra le più terribili, la più aspra che sia esistita, una razza di leoni dal cuore di sciacallo che si è impadronita della Francia, e se c’è una cosa di cui l’Ebreo si beffa è di tutte le religioni, anche della sua, nella quale però ci sono due o tre cose delle quali non ride mai, quelle che gli forgiano l’anima, che lo aiutano a restare forte, a opporsi, a vedersi al di sopra di tutti, e a trionfare attraverso la pazienza, l’insinuarsi, l’insolenza o la bassezza su chi non è come lui e vuole “resistergli”.
Altro che Céline! Che mai avrebbe scritto cose del genere. Deve essere ben chiaro, per esempio, che il discorso antisemita di Céline in Bagatelles pour un massacre, il suo pamphlet antisemita, non solo è un discorso politico indirizzato ai clan del Potere sia francese che americano, con lo scopo di evitare che la Francia si impegnasse nuovamente in una guerra che avrebbe perso – come fu – ma contiene anche pagine mirabili sul mare, i fantasmi, i merletti, la danza, le “magie” di Céline. Non c’è mai niente di personale. Anzi, come si sa, Céline aveva considerato Semmelweis, il protagonista della sua tesi in medicina, il suo eroe in assoluto e nel quale si identificava, pur credendo che fosse ebreo.
Ci sono varie correnti antisemite in Céline. Prendiamo ad esempio il pamphlet Les Beaux Draps ove appare chiaro che il suo antisemitismo nasce dal suo essere anticomunista. In esso, dopo un quadro spietato e realistico della Francia in disfatta, vi è una serie di flash sulla mentalità francese, le aspirazioni del popolo, con le soluzioni proposte da Céline e alcune considerazioni sul valore delle rivoluzioni tra le quali primeggia quella russa cui dedica una decina di pagine spassose, insolenti, comicissime, come quella in cui si vede il dio supremo del bolscevismo, Lenin, tutto intento a chiedere ancora quattrini ai banchieri ebrei di New York, Loeb Warburg &Co, con un telegramma lapidario:
Kuhn Loeb et Warburg, N.York. Dannati della terra portati perfettamente al tumulto. STOP. Ma servono ancora 100 milioni. STOP. Meglio. STOP. Per abolire Romanoff. STOP. Cancellare tracce monarchia. STOP. Consiglio invio immediato. STOP. A me stesso qui. STOP. Prospettiva Newsky ripulita. STOP. Cosacchi con noi. STOP. Pericolo piccola borghesia rimane. STOP. Lenin. STOP. Fedele e sicuro. STOP. Puro. STOP. Duro. STOP.
Ed è lapidario: Chi apre il credito, mena la danza. In effetti a finanziare Lenin furono le lobby ebraiche e in particolare il banchiere ebreo Jacob Schiff, direttore della Banca Kuhn, Loeb & C di New York che foraggiò con 20 milioni di dollari in oro la rivoluzione di Lenin del 1917. Lo stesso staff di Lenin era composto quasi esclusivamente di ebrei, Leiba Bronstein (Trockij), Sverdlov, Apfelbaum (Zinov’ev), Rosenfeld (Kamenev) e molti altri. E dato che Céline era andato in Russia in incognito, nel 1936, e aveva visto gli orrori di Stalin e li aveva denunciati nelle lettere, in Mea Culpa e in altri pamphlet, è chiaro che egli accorpava il comunismo con il finanziere ebreo, in questo vicino a Marx che, ne La Question Juive aveva denunciato il Potere della finanza ebraica che incarnava il Capitalismo.
Poi esiste in Céline un antisemitismo diciamo così, patriottico, e infatti Bagatelles fu composta per scongiurare l’entrata in guerra della Francia sollecitata dai consiglieri ebrei di Roosevelt, ossia il giudice Felix Frankfurter, Samuel J. Rosenman e David K. Niles.
Sul piano umano e intimo Céline stimava molto gli ebrei, soprattutto per la loro coesione e la loro intelligenza. Ebbe amici ebrei come il direttore di Aux Ecoutes, Paul Levi che lo difese al processo, mentre un altro ebreo difensore di Céline fu Choron Gourewitz, del Movimento Nazionale Ebraico. Ebbe amanti ebree come N..., che non lo dimenticò mai e alla quale consigliava di fuggire dalla Germania dove stava nascendo il Nazismo. Inoltre, come si evince dalle ultime ricerche, quando egli negli anni Quaranta fu medico al dispensario di Bezons ne salvò parecchi dalla deportazione.
Quindi, per rispondere alla domanda, di reale nell’antisemitismo di Céline non c’è niente. Ma era un uomo che ha attaccato e combattuto il Potere, da qualunque parte arrivasse e quindi egli, in questo come Marx, temeva il potere del denaro, del grande capitalismo, impersonato spesso da ebrei. Un potere che ovviamente diveniva anche politico. Il suo attacco a Wall Street, tempio di una nuova religione, sarà uno dei più potenti attacchi al Capitalismo:
Era il quartiere prezioso (...) il quartiere per l’oro: Manhattan. Non ci si entra che a piedi, come in chiesa. È il sacro cuore in banca del mondo d’oggi. Ce ne è tuttavia che sputano in terra passandoci. Bisogna essere degli sfrontati.
È un quartiere che è pieno d’oro, un vero miracolo e anche che lo si può sentire il miracolo attraverso le porte col suo rumore di dollari che vengono stropicciati, lui sempre troppo leggero il Dollaro, un vero Spirito Santo, più prezioso del sangue. (...) Quando i fedeli entrano nella loro banca, non si deve credere che possano servirsene così a capriccio. No davvero. Loro parlano a Dollaro mormorandogli delle cose attraverso una piccola grata si confessano insomma. Poco rumore, lampade con luce soffusa, un minuscolo sportello tra due alti archi, è tutto. Loro non l’inghiottono mica l’Ostia. Loro se la mettono sul cuore.
D’altronde basta il suo anatema contro i ricchi in Mea Culpa:
Crépino i padroni! E subito! Questi putridi rifiuti! Insieme o da soli! (...) Al carnaio, sciacalli! Alla fogna! Che aspettiamo? Hanno mai loro, villosi, rifiutato un solo misero ostaggio al re Quattrino? Nullità! Nullità! Vermi! (...) Io non andrò mai, lo giuro, a dare un’occhiata alla sporca carogna dei privilegiati! (...) la vita è un immenso bazar dove i borghesi entrano, circolano, si servono... e escono senza pagare... solo i poveri pagano... il drin della cassa ... è la loro emozione… .
Céline non ha mai recitato, non si è mai costruito un personaggio, al contrario... disprezzava chi lo faceva... quando era in esilio a Copenhagen e lesse nel giornale comunista Libération che invece di fare la fame senza potere esercitare il lavoro di medico, sempre col terrore di essere scoperto e condotto in Francia per essere fucilato, faceva orge nei sotterranei di Parigi, scriveva di notte tipo “scrittore maledetto”, si era fatto un harem e gozzovigliava, insomma una specie di Nosferatu da Mille e una Notte, era fuori di sé. Nelle ultime interviste era ormai un vecchio distrutto nel fisico dagli anni di carcere e nel morale dalla persecuzione, ormai non credeva più in nulla e in nessuno, era divenuto un misantropo che, oltretutto, dopo che era tornato in Francia si sentiva scrutato e analizzato come una bestia dello zoo, e dunque reagiva violentemente.
Perché non smise mai di esercitare la professione medica anche quando ne avrebbe potuto fare tranquillamente a meno?
Perché Céline si considerava, più che uno scrittore, un medico e un medico dei poveri. Un medico delle banlieue. Lo dice lui stesso: ... medico è medico!... ho no di meriti eccezionali, gli afflitti, i disperati, la mia vocazione!... Curava sempre gratis, mentre con gli editori era un vero Arpagone. A trent’anni aveva sposato un’ereditiera figlia unica di un barone della medicina di Rennes, c’era già una clinica di lusso pronta per lui, ne sarebbe stato il primario, lussuosa vita borghese, ma fece la sua svolta: piantò moglie e suocero e andò a vivere a Montmartre facendo il medico di dispensario a Clichy, tra i diseredati... La vita lo ripagò perché solo così potette scrivere il Voyage au bout de la nuit, il suo primo capolavoro. Il dottor Louis Destouches, che tale è il vero nome di Céline, lo spettacolo pietoso della miseria lo spiazzava talmente che chiedere dei soldi a gente molto più povera di lui gli sembrava un delitto. È qualcosa che affiora spesso tra le pagine del Voyage:
Quando ci si fa pagare l’onorario dai ricchi si ha l’aria di un lacchè, dai poveri si ha tutto del ladro. Degli “onorari”? bella parola! Non ne hanno già abbastanza per mangiare e andare al cinema i malati che si deve anche andare a prendergli la grana per farci degli “onorari”? Soprattutto quando stanno per tirare le cuoia. Non è il caso. Lasciamo stare. Si diventa gentili. E si cola a picco.
Si è battuto per istituire una medicina del proletariato perché si sa perfettamente bene che è il proletariato, disoccupato o no, che è incomparabilmente più distrutto dalla malattia di quanto lo siano i ricchi.
Combatterà l’assurdità e l’avvelenamento delle ricette mediche, l’avidità delle Case farmaceutiche che tengono la gente malata a vita. Inoltre proporrà di utilizzare prestiti per i disoccupati e costruire case popolari a norma d’igiene. Perché si dovrebbe arrivare a fare dell’igiene tanto seriamente come si fanno le ferrovie, le poste o i telegrafi.
Céline come medico scrisse autentici pamphlet sanitari attaccando l’alcoolismo e la droga, sollecitando statistiche dagli altri paesi europei, denunciando gli interessi finanziari e politici che sono contro la salute delle masse ma che anzi sperperano stock ingenti di derrate essenziali come i cereali per ragioni capitalistiche. E sollecitando la creazione di quello che è oggi il Mercato Comune Europeo, e cioè un progetto di cooperative alimentari internazionali. Riassumendo – scrive infatti in quelle note – si potrebbe rendere l’alimentazione meno costosa, in regime capitalista, adottando il sistema delle cooperative possibilmente internazionali per scambi in natura, facilitazioni doganali, alimentazione dei disoccupati dei vari paesi per scambio di prodotti essenziali, riso, grano, carni, altri alimenti bloccati e sperperati. Proporrà quindi uno studio sul superlavoro operaio e sulla monotonia di tale lavoro, dove il culmine è l’orrore della catena di montaggio, e una ricerca su quanti malati cronici sono costretti a lavorare, e di quale tipo di lavoro sarebbe adatto a un cronico, di quanti malati sono nell’esercito. Denuncia violentemente l’obbligo al lavoro dei tisici, i malarici, i reumatici, i cardiaci, i neurotici, e la loro misera condizione. Quattro i temi che lo appassionarono: istituire un budget per le famiglie povere e per curare i malati nullatenenti, identificare la diversità tra le malattie dei poveri e quelle dei ricchi, studiare e combattere l’assurdità e l’avvelenamento delle ricette mediche, e l’influenza delle guerre mostruose sulla salute pubblica. Tra un pamphlet sanitario e l’altro, il dottor Destouches scoprirà nel 1930 una medicina che chiamerà Basedowina, per curare la malattia di Basedow, un’alterazione della ghiandola tiroide, e i cui proventi dedicherà totalmente alla madre rimasta vedova. Tutte le sue proposte, ça va sans dire, rimasero inascoltate e solo da qualche anno possiamo conoscere questi che sono veri e propri pamphlet sanitari.
Quanto si perde a suo avviso nella lettura di Céline in italiano? Le traduzioni sono soddisfacenti?
Non ne parliamo... basti dire che ho trovato la famosa frase di Céline Le donne sono serve e puttane o fate e streghe, tradotta con “Le donne sono domestiche e puttane”. Meno male che non hanno scritto “colf”! Purtroppo c’è chi sbrocca e si vuole sovrapporre a lui... l’unico grande traduttore, almeno per me, è Ernesto Ferrero.
Quali sono i precedenti letterari di Céline: è corretto risalire addirittura a Rabelais? E ci sono stati epigoni in Francia? Spesso ad esempio gli viene accostato Houellebecq…
Rabelais è truculento e volgare, non ha la “musica” céliniana. La grandezza di Céline consiste nella forza popolana e argotica delle immagini, perfino oscene a volte, ma che poi spesso volano liricamente in quella che lui chiamava la “musica”, sorretta da uno stile ineccepibile, rigorosissimo, che vedeva migliaia di stesure prima di giungere al testo definitivo. Questa sua apparente stonatura riesce a farsi miracolosamente arte, e questo farsi lo descrive lui stesso:
È “il fiore dei nervi”, la melodia spontanea, la musica dell’anima che io cerco di CAPTARE dal linguaggio parlato e di tramutarlo in scrittura. In realtà ci sono pochi LAMPI nella lingua parlata. Io cerco di CAPTARLI e di ricreare così artificialmente in SCRITTURA una lingua parlata IDEALE. Quello che tentano di fare molto naturalmente gli uomini che parlano... nel loro desiderio naturale di poesia... Per arrivare a questo, io passo, con un TRUCCO, nell’anima stessa del linguaggio parlato, per effrazione, per così dire, io violo il suo segreto (...) Io faccio il trust dei diamanti viventi nella lingua parlata.
È il mondo di quelle che chiamava le “Onde”, che in Bagatelles pour un massacre, il cosiddetto terribile pamphlet, sublima nel canto dei Cigni:
Nonlo sentite?... Taa!!... too!... too!... Taa!... Taa!... come il vento d’inverno riporta?... (...) la! fa! sol! la si do la, Do! (...) do diesis! sol diesis!... certo!... fa diesis minore! È il tono! Lo Charme dei Cigni...il richiamo, amico! Il richiamo...(...) Sentite così le onde... di presagi che passano... delle sinfonie... pensate che è l’atmosfera... e poi accade! e poi niente più conta! Too! too! TO! ta!... ta.. .a.. .a!... bene così! Vedrete... La!... fa!... sol... la!... si!... do... la... Do!... benissimo... (...) Taa!... Too!... o!o!o!oo!... l’appello dei Cigni è un qualcosa che vi prende! che scombussola il cuore! quel poco che se ne ha! ... Ah! lo sento... ritorna in me!... ne è colma la pianura!... le adiacenze!... e poi allora su al cielo! poi!... di quelle immagini! dei giganti di tempesta che piombano pavoneggianti!... Mostri di niente!... presi a mille fuochi... e miraggi... di gioie perdute! gabbiani bighelloni sfarfallanti... d’ala viva sfioranti le nostre miserie... lesti alla saetta... sotto... sopra l’arco infiocchettano passanti cupi... la loro tetraggine... il loro brontolio, acidi pellegrini da un bordo all’altro.
Céline è anche un grande poeta. Stesso discorso per Houellebecq... manca sempre la musica. È come nei suoi pittori preferiti, Bruegel il Vecchio e Bosch... naturalistico e popolano e polemico come Bruegel, ma visionario come Bosch. E in lui il dramma a un tratto si stempera nel riso.
Ci sono autori italiani del Novecento che hanno un debito con Céline? In un’intervista televisiva alla domanda “Lei stato influenzato da Céline?” Carlo Emilio Gadda (sicuramente il maggior maestro del pastiche linguistico in Italia) rispose in maniera sorniona “effettivamente ha pubblicato prima di me”… Discutendone, noi di Quaderni d’Altri Tempi siamo giunti alla conclusione che un altro intellettuale italiano forse più avvicinabile a Céline sia stato Carmelo Bene, perché ha fatto con il testo recitato quello che Céline aveva fatto con il testo scritto. Le sembra un’idea peregrina?
Certo che Gadda non peccava di modestia... ha ridotto Céline a un narratore dialettale! Ma per favore! Tra l’altro Céline non è dialettale ma argotico, c’è una bella differenza, non crea nessun pastiche, ha solo annullato due secoli di linguaggio classico alla Racine per tornare a quello autentico, popolare, facendo anche, così, un’operazione di salvataggio anche parecchio polemica.
Molti sono influenzati da Céline, ma sono sboccati, dialettali, gergali, a volte osceni, ma manca la musica, l’humour straordinario di Céline e lo stile finissimo e implacabile... È sempre il grande equivoco su Céline, che basti fare un po’ di polemica, dire qualche oscenità, essere “contro”, e scrivere sgrammaticato definendo questo “un nuovo linguaggio”, oppure in dialetto o in gergo, ed ecco si è imparato da Céline! Siamo céliniani!... niente di più sbagliato! Ogni opera sua ha una sua partitura musicale, uno stile raffinatissimo, nel tragico è il comico, il brutale accanto al tenero, e ognuna è diversissima dall’altra, pure essendo tutte capolavori. D’altronde ci cascò anche Henry Miller che disse che nel suo Tropico del Cancro aveva imparato da Céline, ma Céline lo rimise al suo posto – come anche con Sartre – dicendo appunto che mancava la “musica”.
Non vedo Carmelo Bene come céliniano, troppo spesso l’immagine dello scrittore cupo e maledetto si sovrappone a quella di Céline, ma è uno stereotipo, in realtà accanto a pagine sanguinose quando parla degli orrori della guerra e della difesa dei deboli, ce ne sono di comicissime, altre estremamente romantiche, dolci, tenere perfino... e lui stesso era un uomo niente affatto cupo, che amava ridere e scherzare, considerava il riso un dono degli Dei, e a Montmartre e sulla chiatta del Malamoa, teneva banco nella bohème degli artisti. Bene, che oltretutto è contro il comico, destruttura il linguaggio, Céline riporta il linguaggio del popolo, l’argot, a dignità d’arte, è un costruttore mentre Bene è un distruttore. Le violenze, le goliardate di Bene semmai appartengono al pittore Gen Paul, il Calibano di Céline che considerava se stesso come Prospero, il costruttore di magie, della Tempesta scespiriana. Anche Gen Paul, per esempio, si divertiva come Bene a orinare sulla pelliccia delle signore... Bene non ha inventato nulla!
Céline era un genio e ha creato qualcosa dal nulla, innovativo, come appunto fanno i geni. Non c’è niente, né prima né dopo. Gli unici precursori, sono Shakespeare e Dante.
A questo proposito, a conclusione della sua biografia céliniana c’è anche un suo originale accostamento di vita e di opere Dante Alighieri/Céline. Sono personaggi molto lontani nel tempo…
Tenuto conto della logica storicizzazione, tra Céline e Dante c’è una tale affinità che farebbe felici coloro che credono nella Reincarnazione. Per brevità riassumo per sommi capi i parallelismi più importanti: Dante e Céline nascono entrambi in maggio, da famiglia di piccola nobiltà, ancorché molto antica, di scarse risorse finanziarie e destinata a rapido declino per l’emergere di una classe borghese abbiente, i cosiddetti “nuovi ricchi”. È la borghesia mercantile verso la quale entrambi nutriranno un odio e un disprezzo profondi: basta ricordare le invettive di Céline contro il capitalista.
Questo odio contro si riverbererà, in Dante come in Céline, anche con nostalgici richiami al buon tempo antico, sobrio e migliore, ove tra l’altro vigeva un sistema di produzione artigianale, come quello dei “merletti” tanto caro a Céline. La povertà di entrambi, insieme alla fierezza delle proprie origini, sarà causa di indomabile orgoglio che si unirà a un profondo pessimismo sugli esseri umani, e a un carattere fiero e scontroso che certamente non facilitò loro la vita.
Dante e Céline amarono entrambi disegnare, suonare e comporre musica, e non stupisce quindi che fin dalla giovinezza essi abbiano frequentato gli artisti e il loro ambiente, unendosi anche alle loro baldorie e trasgressioni. La “Montmartre” di Dante ha nome Casella, Giotto, Oderisi, Forese Donati, Belacqua; quella di Céline sarà la bohème di Montmartre e le baldorie trasgressive sul Malamoa…
Le loro creazioni letterarie sono da artisti figurativi, evocatori di immagini folgoranti, e se Céline attingerà all’universo di Bruegel e di Bosch, Dante lo farà con i Bestiari medievali e le possenti e concrete figure giottesche e dei Pisano.
Entrambi ingaggiatisi in politica per passione di libertà e avversione al Potere, benché pacifisti non esiteranno ad offrirsi volontari in guerra quando si tratterà della loro patria...
Così i due grandi artisti saranno uniti anche nel tipo di persecuzione politica, entrambi schedati in Liste di Proscrizione. Grandi esiliati, entrambi. Dante ha fatto fremere i Secoli con le sue sofferenze di esiliato dirà Céline dal carcere, probabilmente facendo ancora una volta opera di identificazione.
Colpiti entrambi da accuse calunniose, non si piegarono mai a compromessi, a presentarsi a giudici che non riconoscevano, a umiliarsi. Come Céline, anche Dante rifiutò di presentarsi come un vinto al processo, dichiarandosi innocente. Ma per questi due grandi esiliati, accomunati per aver denunciato il potere, l’esilio si trasformerà in laborioso e fecondo realizzarsi, nel quale Dante affiderà al Convivio, al De vulgari Eloquentia e soprattutto alla Commedia, riscatto e vendetta, così come Céline lo farà con Féerie e la Trilogia del Nord.
Inoltre, i due saranno entrambi grandi pamphlettari, in particolar modo nelle lettere (anche quelle di Dante pare siano state numerosissime, ma purtroppo sono andate quasi tutte perdute.) Le invettive di Dante contro i fiorentini sono le stesse di Céline contro i Francesi, nascono da una ferita mortale e da un profondissimo, deluso, amore.
In entrambi fu possente l’esigenza del riscatto della lingua parlata, con la quale costruire una nuova letteratura. Dante, come Céline, fu un rivoluzionario del linguaggio quando, già nel De Vulgari Eloquentia e nel Convivio si batté in favore della lingua italiana, quella del “volgo” e non dei dotti, quella che chiamerà luce nuova e sole nuovo, che se in lui è il “volgare” toscano, in Céline sarà l’argot. Volgare contro il latino, lingua morta degli accademici, che per Céline è il francese aulico del Settecento, quello di Racine, e incuranti del disprezzo degli intellettuali puristi del linguaggio come per Dante il Petrarca che non volle mai leggere la Commedia, e che sempre ribadirà, come in una lettera al Boccaccio, la superiorità del latino sul volgare e quindi della propria produzione rispetto a quella di Dante, mentre per Céline vedremo lo sprezzo del purista Paul Léautaud. Ma Céline e Dante furono sempre perfettamente convinti che la storia ne avrebbe fatto dei vincitori, e così scrissero i loro capolavori nella lingua parlata, in un itinerario autobiografico nel quale si rivolgono a chi legge da protagonisti, nobilitandola come lingua vivente, entrambi infarcendola di motti popolari, accogliendo e anche creando parole in gergo, “dialetto fiorentino” e “argot” parigino, dando loro dignità di letteratura. E, come Céline, Dante creerà parole nuove in visioni potenti, a volta oscene, una lingua creativa, vera e propria conquista rivoluzionaria, per l’epoca. E, come in Céline, questa lingua nuova sarà sorretta da una musicalità che le darà dignità d’arte e altissimo stile. Ma l’opera di entrambi sarà anche intervallata da musica e canzoni, basta pensare che ne La Vita Nova ci sono 31 liriche, ossia 25 sonetti e 4 canzoni, 1 ballata, 1 stanza di canzone oltre a 42 capitoli in prosa.
Come Céline anche Dante si batté contro l’Artes dictandi, ossia l’insegnamento della retorica classica nelle università del suo tempo. E se per Céline Morvan Labesque scrive: Ha per primo colmato l’abisso tra la letteratura e il popolo, questo giudizio si attaglia perfettamente anche a Dante.
Anche Dante, come Céline, canta e denuncia le ignominie degli uomini e la sua opera è condanna morale di un’umanità bestiale, accomunati entrambi da uno stile insieme realistico ed espressionista. Possenti visionari, essi furono i Signori delle Metamorfosi. Ma in entrambi è, a un certo punto, anche il riso liberatorio che riporta verso la luce.
Entrambi eredi di una gioventù libertina, avranno per contro un purissimo ideale femminile, la donna “angelicata” che si contrappone alle femmine da bordello che essi avevano abbondantemente frequentato. Elizabeth Craig, la Strega di Céline, è come la fascinosa e spietata e libidinosa Petra di Dante, mentre Beatrice è la Lucette di Céline. Amore sublimato che è visto dunque non solo come frutto e ponte di nobiltà spirituale, ma sentimento che apre all’uomo la conoscenza del Divino tramite la contemplazione della bellezza. Céline e Dante si immedesimarono anche nella metafora della Nave che solca le acque del destino. Profondamente delusi e feriti dagli uomini, Dante e Céline affidarono all’opera il proprio riscatto solcando con la loro Nave i più selvaggi marosi. Finché la morte li affratellerà ancora una volta fermando la loro mano sull’ultima pagina dell’ultimo libro.
Lei ci ha comunicato di avere scoperto un possibile nuovo significato del nome che Céline diede al suo gatto Bébert, nome che comunemente è ritenuto essere nato da un personaggio del Voyage, il bimbo malato di tifo che Bardamu non riesce a curare. Saremmo lieti di averlo in anteprima.
Circa dieci anni fa andai a Parigi a parlare di Céline alla Journée Céline e là conobbi Paul Chambrillon, che era stato suo amico e che aveva registrato le sue canzoni. Lui, oltre a regalarmi una intervista che poi si può leggere nella mia biografia di Céline, mi donò un libro in cui si parlava dei vecchi cantanti francesi, l’epoca d’oro della canzone francese, come era nato l’accordéon, ecc. Io lo sfogliai appena poi lo misi in biblioteca. Ultimamente nel riordinare i libri, l’ho guardato meglio ed ecco cosa trovo:
Ora, se si pensa che il gatto
Bébert fu adottato da Céline nel 1942, che da
più di un anno viveva da randagio rubando nelle case, dove
si introduceva dai tetti, che Céline frequentava questi
bistrot, e che “Monte-en-l’air” in argot significa appunto
“Ladro che ruba dai tetti” e che Céline
spesso chiamava il suo gatto con termini della mala... ecco trovato il
nome, che non è dunque quello del bambino del Voyage...
Inoltre questa scelta si adatta di più al carattere di
Céline che quella patetica del bimbo morto di tifo.