Le rose del deserto, 2006
LE ROSE DEL DESERTO,
ULTIMO CIAK
di Francesco Galofaro
Perché il film di guerra? Apriamo con questa
domanda, proprio come Federico Montanari (2004) apre il suo libro sulla
guerra chiedendosi: “Perché da sempre il racconto
ed il canto di guerra?” Forse è riduttivo pensare
che la guerra occupi un interesse speciale nell’opera di un
regista come Monicelli, che ha diretto, nel corso della propria
carriera professionale, circa un film all’anno, tra commedie,
episodi, documentari, film per la televisione, per non parlare delle
sceneggiature che ha curato. Forse è solo un caso se la
carriera di Monicelli si è conclusa con un film di guerra
come Le rose del deserto, avendo letteralmente
inventato il cinema di guerra
“all’italiana”.
Ripensando
ai film di cui chi scrive si è occupato da un punto di vista
semiotico, il tema della guerra ritorna ossessivamente e
inintenzionalmente (cfr. Galofaro, 2005, 2007). Probabilmente la causa
è che il racconto, il diario, il cinema di guerra sono per
eccellenza narrativi : sempre Montanari nota come ogni narrazione verta
su un qualche conflitto. La guerra non è solo una
caratteristica della nostra imperfetta umanità, accanto
all’amore, alla poesia, alla musica; essa presta la propria
struttura al racconto.
Eppure, le guerre raccontate
da Monicelli hanno un fascino particolare. Vedendo al cinema, in prima
visione, Le rose del deserto, una scena colpisce.
Un aereo inglese, avvistata una colonna italiana, compie un largo giro
all’orizzonte per porsi in asse con lo stradone, e solo
allora apre il fuoco su muli, automezzi, soldati che già
pensavano di averla fatta franca. Gli uomini si gettano chi a destra
chi a sinistra, nascondendosi nella polvere. Chi scrive ricorda come il
nonno gli raccontò nello stesso modo il principio della
battaglia di Solarino, durante l’occupazione angloamericana
della Sicilia, quando fu ferito e fatto prigioniero. Non so quale sia
la fonte di Monicelli: non si trova questa descrizione nel diario
romanzato di Mario Tobino, Il deserto della Libia (2001),
la fonte principale del racconto cinematografico. È
sicuramente l’esperienza diretta di tanti soldati a
costituire figure della guerra che migrano tra le diverse narrazioni.
Aneddoti, battute, episodi, modi di pensare la guerra, di conferirle
una forma ed un significato, escono dal diario di Tobino per farsi
cinema. Del diario si perde forse l’aspetto metanarrativo, la
lotta contro l’impossibilità del racconto di
guerra, la progettualità per il futuro: i protagonisti di
Monicelli si limitano a crepare senza speranza di un domani. Rimane il
costituirsi provvisorio di una identità comune per i
personaggi del racconto, così diversi; rimane la
“lingua comune” della guerra – direbbe
Montanari.
Talvolta a migrare sono i contenuti del
diario: frammenti di storia, temi e figure vengono tradotti nel film
– traduzione intersemiotica, direbbe Dusi (2003). Talaltra
vengono prese a prestito (prestito linguistico, poiché il
cinema è anche un testo linguistico) strutture
dell’espressione: modi di dire, battute, il brusio polifonico
delle ciarle della truppa. Il fatto è anche più
evidente se confrontiamo il film di Monicelli con un illustre
precedente: Scemo di guerra, di Dino Risi,
anch’esso tratto dal diario di Tobino.
A
scanso di equivoci: Le rose del deserto non
è il remake del film di Risi proprio
come non è una semplice traduzione del diario di Tobino. A
Risi e a Monicelli interessano storie diverse. Risi seleziona, nelle
prose del diario, la storia di Oscar Pilli, che occupa quasi un quarto
del libro, e lo fa perché essa è funzionale ad
illustrare il conflitto tra la follia innocua e la pericolosa
“salute mentale” della guerra. Questa operazione
è tipica dell’enunciazione cinematografica in
rapporto a quella letteraria, e si trova descritta già da
Sergej Ejzenstejn (1964). Monicelli invece ricombina alcuni elementi
del volume di Tobino, con una operazione di “montaggio
narrativo”, in nuova storia. Nel far questo, si avvale di
un’altra risorsa del linguaggio cinematografico, che
l’accomuna al sogno: la condensazione (cfr. Metz, 1980). Ad
esempio, in Tobino abbiamo un personaggio minore, un maggiore che
scrive alla giovane moglie inviandogli foto
“turistiche” che lo ritraggono in posa coloniale
sul cammello. Monicelli condensa in questo personaggio alcune
espressioni di Oscar Pilli (“carissimo”;
“per il bene che ti voglio”). Dal film di Risi trae
poi il tema del tradimento della donna rimasta in patria, assente in
Tobino. Il risultato è una delle grandi macchiette del
cinema di Monicelli, interpretato da Alessandro Haber. Parallelamente
all’evoluzione della guerra (e del suo racconto) dalla
“passeggiata” alla “disfatta”,
anche il suo personaggio si fa tragico e conosce una trasfigurazione
nella morte, che conclude bruscamente l’arco narrativo del
film.
Al contrario di Risi, che accenna vagamente al
tema, Monicelli sviluppa alla lettera il racconto di Tobino sul
generale Fonò, affidandone la recitazione a Tatti
Sanguineti, che ne ricava un personaggio grottesco, ossessionato dalla
realizzazione di un proprio cimitero in una macabra competizione tra le
divisioni italiane circa la contabilità dei morti.
Infine,
tanto Risi quanto Monicelli riprendono la figura del tenente Marcello e
la sua avventura con una bellezza araba che pare tratta dalle Mille
e una notte. Risi è il primo a selezionare e
condensare in un unico arco narrativo questa storia con quella di un
inseguimento della bella per le strade del suk,
della visita al bordello e del bombardamento che interrompe la vicenda:
le prose corrispondenti nel diario di Tobino non hanno alcun legame tra
loro. Monicelli riprende la struttura narrativa da Risi, riadattandola
al proprio film e rivestendola dei propri personaggi, evidentemente
interessato al conflitto tra amore e guerra,
I due
film si differenziano maggiormente nella rappresentazione della guerra
nel deserto, sul piano del visibile, e per quel che riguarda i valori
in gioco. Per quel che riguarda la prima differenza, nel film di Risi
abbiamo una opposizione tra spazi chiusi e spazi aperti: gli interni
dell’ospedale militare da campo e il deserto, ridotto alla
linea dell’orizzonte. Risaltano le relazioni
“malate” tra i personaggi, tra il capitano, pazzo
innocuo, e la sua truppa, teoricamente sana di mente ma stranamente
incapace di sottrarsi agli obblighi imposti dalla gerarchia militare
nei confronti dell’inadeguato ufficiale.
Al
contrario, la grande opposizione visuale del film di Monicelli
è tra spazi notturni e diurni. I primi trasportano
l’intreccio in una dimensione fiabesca, da quella magica e
pacifica dell’oasi a quella infernale del cimitero notturno;
i secondi restituiscono il crudo realismo della guerra, rappresentata
con pellicola quasi sovraesposta nella abbacinante luce del
meridione.
Ma è sul piano dei valori
profondi che i due film si distanziano realmente. Abbiamo
già accennato al fatto che l’interesse di Risi va
alle relazioni umane, a discutere il tema, tutto tobiniano, della
labile distinzione tra sani di mente e matti. Monicelli, al contrario,
dipinge macchiette in grado, in certe circostanze, di atti di
insubordinato eroismo a costo della vita. È questo un tratto
che accomuna Le rose del deserto a La
grande guerra, i personaggi interpretati da Haber, Sordi,
Gassman: la differenza tra un vile ed un uomo non consiste
nell’atto di uccidere, ma nella scelta di morire.
Coerentemente, Monicelli stesso si è attenuto alla propria
regola.
LETTURE
× Dusi N., Il cinema come traduzione, Utet, Torino, 2003.
× Ejzenštejn S.M., Na urokach režissury S. Ejzenštejna, 1958, trad. it. Lezioni di Regia, Einaudi, Torino, 2000.
× Galofaro F., “Il nemico. La costruzione del conflitto nel cinema di propaganda: il caso di Aleksandr Nevskij”, in Guerre di segni, Centro Scientifico Editore, Torino, 2005.
× “Tensione e risemantizzazione al cinema. Da La grande illusione a Casablanca”, in Mutazioni sonore. Sociosemiotica delle pratiche musicali, E/C anno 1 n.1., 2007.
× Metz C., Le Signifiant imaginaire: psychanalyse et cinéma, trad. it. Cinema e psicanalisi, Marsilio, Venezia, 1980.
× Montanari F., 2004, Linguaggi della guerra, Meltemi, Roma, 2004.
× Tobino, M., Il deserto della Libia, Mondadori, Milano, 2001.
VISIONI
× Monicelli M., Le rose del deserto, Italia, 2006, Cecchi Gori Home Video, 2007.