Parenti serpenti, 1992
PARENTI SERPENTI,
FRATELLI
(D’ITALIA) COLTELLI
di Daniela Fabro
Mario Monicelli era un uomo di buonissima famiglia e di ottimi
studi, possedeva una vasta cultura e uno spirito critico tagliente, che
gli consentirono di affrontare il mestiere del cinema in Italia dagli
anni Cinquanta fino all’altro ieri mettendo in luce tutti i
difetti, ma anche le virtù, dell’italiano medio.
Dai suoi film migliori – fu infatti un regista molto
prolifico che girò decine e decine di pellicole, tra cui
alcune molto meno famose di altre – si può leggere
in filigrana il carattere di una nazione, che a lui non doveva piacere,
anche se Nanni Moretti (“Ve lo meritate Alberto
Sordi”) in un celebre dibattito televisivo lo
accusò di una certa indulgenza – e sicuramente fu
afflitto da molta autoindulgenza, come testimonia il suo gesto estremo.
Anche la tipica famiglia italiana da lui riunita intorno al desco
natalizio la notte del 24 dicembre 1992 non sfugge alla messa in scena
del cliché di quel miscuglio di provincialismo e meschineria
che fa di noi italiani quello che siamo non solo in ambito familiare, e
le cui bassezze egli portò mirabilmente sullo schermo. Anche
se l’ambizione di Parenti serpenti,
questo il film, poteva applicarsi a contenuti di maggior impegno: per
esempio lo scontro generazionale o il dramma del posto tra i
più giovani di persone quasi alla fine della loro vita (che
il francese Le Invasioni Barbariche circa dieci
anni dopo ha tratteggiato in maniera esemplare), temi che sembrano al
centro del film, ma che per il carattere della nostra nazione (il
carattere del regista stesso?) assumono toni grotteschi e mettono in
mostra il vizio tutto italiano di rendere squallidi, e
perciò se ne deve ridere, anche argomenti rilevanti a
livello affettivo e sociale.
Ma tutti i film di Monicelli,
come si capisce bene per esempio ne Il Marchese del Grillo, soffrono
di questo orizzonte limitato che non ha contribuito a fare della nostra
commedia comica un genere esportabile, proprio per un’ironia
che non si applica a temi di rilevanza universale ma resta confinata
all’espressione di un certo spirito di vigliaccheria
prepotente e del malcostume sociale tipicamente italiani, con
l’aggravante di assolvere e giustificare comportamenti
incivili.
La natura del fallimento della apparente tenuta dei
legami parentali, che le feste determinano anche nella più
felice delle famiglie, risulta così in quella italiana il
solito melodramma da operetta, ma il film si fa godere per
l’ironia caustica su questo aspetto, un po’ meno
forse per l’humour nero del finale, e anche per altri motivi.
I primi anni Novanta erano quelli del postriflusso e l’idea
di far ridere prendendo in giro invidie e tic dell’italiano
sopravvissuto al decennio precedente, quando il valore del denaro si
era definitivamente affermato, ed essere o apparire ricchi
diventò (e lo è ancora) la principale aspirazione
della classe media (e non solo dei poveri, che almeno hanno dalla loro
la giustificazione di dover uscire dalla miseria nera e dalle totali
privazioni), si tradusse in una commedia che aspirava forse ad avere
qualcosa in più della tipica commedia
all’italiana, già di per sé un motivo
di merito. Ma che spicca soprattutto per l’abilità
(minimalista, e questo è un altro pregio) degli interpreti
principali (Paolo Panelli, Marina Confalone e Alessandro Haber, il
primo famoso comico televisivo, e gli altri ottimi caratteristi del
nostro cinema). Un altro affresco familiare a tema dello stesso
regista, ma di maggiore successo, era stato il suo film del 1986, Speriamo
che sia femmina, altra prova di grandi attori (soprattutto
attrici, come si intuisce dal titolo, ma in verità non solo)
intorno ad una altro argomento molto dibattuto ai tempi, la famiglia
all’epoca dell’emancipazione femminile, visto
attraverso lo sguardo su un’altra provincia, quella toscana.
In
Parenti serpenti invece siamo in Abruzzo, a Sulmona,
provincia de L’Aquila, la notte della vigilia di Natale,
quando a casa dei nonni, un maresciallo dei carabinieri in pensione
(Panelli) e sua moglie Trieste, si riuniscono i quattro fratelli con le
loro famiglie (in realtà uno di loro, Haber, è
single e solo dopo si scoprirà perché). Le tre
sorelle, una delle quali è amante di un cognato, sono in
nascosta rivalità tra loro per motivi di affermazione
sociale, e quando i genitori chiedono ai figli di prendersene cura
ospitandoli in casa di uno di essi, in cambio
dell’eredità, si scatena la lotta per decidere a
chi toccherà un compito che nessuno vuole assumersi. Ed
è qui che Haber svela la sua verità che in altri
contesti non avrebbe mai rivelato, costretto solo perché si
vuole tirare fuori dai possibili candidati ad avere in casa i genitori:
è omosessuale e convive con un compagno, quindi non lo
può fare. Le discussioni per sapere a chi
toccherà la sorte di accollarsi i genitori continuano fino
alla “soluzione finale” decisa in comune di far
scoppiare la stufetta a gas – che in realtà
funziona benissimo come si scoprirà dal tema letto in classe
dal nipotino, in quanto appena regalata ai nonni – per
sbarazzarsene definitivamente. Chi parla di feroce cinismo del finale,
ne sottolinea anche giustamente lo stridore, la stonatura, rispetto
alla prima parte che non è così drammatica
(sembra quasi un’anticipazione di quello che saranno certe
fiction televisive patinate italiane del decennio successivo su temi
femminili, con tutte le loro piccole storie superficiali), come un
epilogo tanto tetro (in fondo si tratta pur sempre di un omicidio)
richiederebbe.
I contenuti
sono diversi da Speriamo che sia femmina e la
famiglia di Parenti serpenti è un
po’ ripresa in sedicesimo rispetto a quella del film di
più ampio respiro di circa dieci anni prima, quasi che
l’erosione dei valori della società civile appanni
anche le capacità artistiche (lo stesso si potrebbe dire non
solo di un regista, ma di scrittori, pittori, critici, ecc.).
C’è però chi sostiene che
l’apparente caduta dei valori di una società non
sia in realtà una perdita, perché contiene in
sé i germi di valori nuovi, ma ancora sconosciuti. Non
è plausibile, proprio dato il suo carattere (che questa
volta davvero non è il carattere di una nazione), che
Monicelli abbia voluto con questo film suggerire una morale al
proposito. Ma è stupefacente, rivedendolo ora, quanto la
società italiana, che è notoriamente
più di altre basata sulla famiglia, ci si possa ancora
specchiare, purtroppo nella sua perdurante mediocrità.
VISIONI
× Monicelli M., Parenti serpenti, 1992, Sony Pictures Home Entertainment, 2010.