Un numero speciale, una donna fuori dal comune e una dozzina di cartoline
NAPOLI
BARCELLONA
MILANO
LONDRA
TRIESTE
ISTANBUL
GARWAL
DENVER
ORTA SAN GIULIO
MIAMI
BOMARZO
GIZA
|
|
[BOMARZO]
di Adolfo Fattori
Lo stesso Manuel Mujica
Lainez (nato nel 1910, è scomparso nel 1984) fu un
personaggio a suo modo notevole: discendente di uno dei fondatori di
Buenos Aires, educato dalla nonna all’amore per la
letteratura, romanziere, saggista, giornalista, vincitore, come Julio
Cortàzar, del premio intitolato a John F. Kennedy, negli
anni della sua educazione passò due anni a Parigi dove
cominciò a esprimere il suo talento per la letteratura
dedicandosi alla narrativa storica, scrivendo un romanzo dedicato a
Luigi XVII, continuando poi con una raccolta di racconti che
ripercorrono la storia di Buenos Aires, e altri romanzi ancora,
compreso Bomarzo, da cui fu tratta anche
un’opera lirica di Alberto Ginastera, il cui libretto
è dello scrittore, e che fu rappresentata per la prima volta
nel 1976 a Washington perché proibita subito in patria per
oscenità – una comoda scusa per la dittatura
Videla appena insediatasi per impedirne la diffusione in patria, data
la personalità del protagonista, un principe
“… artista e anarchico” (Bredekamp,
1989). Quest’ultima circostanza, per certi versi eccentrica,
anche se non unica, rispetto al consueto “percorso”
di un romanzo, ci da, anche se solo indirettamente, una cifra del
carattere di Bomarzo, e forse di tutte le opere che
mescolano realtà storica e immaginazione narrativa. Intanto,
l’immaginazione dello scrittore, nel riempire i vuoti, gli
interstizi che si creano fra fatti reali e presunti, riesce a compiere
una operazione necessaria alla comprensibilità delle cose:
dare un senso specifico, se si vuole desunto, agli eventi e alle loro
sequenze. E questo vale per le biografie, e a maggior ragione per le
autobiografie “apocrife”, scritte, fra
l’altro secoli dopo il periodo in cui il/la protagonista ha
vissuto. Un senso che ce lo/la rende comprensibile, affine, e ci rende
solidali e contigui a lui o a lei, permettendo allo scrittore
– e a noi lettori – di affermare qualcosa di
più anche di noi stessi. Nel caso del romanzo di Mujica
Lainez c’è di più, qualcosa connesso
alla struttura intrinseca dell’opera. La scelta del
personaggio centrale, non certo una delle figure più note
nella storia del Rinascimento, permette sì allo scrittore
maggiore libertà nell’intrecciare Romanzo e
Storia, ma gli consente anche di dare lustro a un personaggio
straordinario e misconosciuto, e di valorizzare un luogo che definire
affascinante è poco, oltre che di disporre di un perfetto
filo conduttore per raccontare le vicende dell’epoca. Ancora,
la sua costruzione, il registro linguistico, il clima complessivo che
Mujica Lainez imbastisce, fa del romanzo una macchina unificante degli
immaginari e dei generi, facendo viaggiare il lettore non solo nel
tempo, dal passato degli archivi, al presente attuale, al passato
metastorico dell’immaginazione, al presente presunto da cui
ci parla il protagonista, ma da un genere narrativo
all’altro, inducendolo a individuare connessioni, definire
legami, istituire rapporti, regalandoci un’opera che, in
pieno Novecento, ripropone la tradizione del romanzo storico,
attualizzandola e legittimandola.
|