Un numero speciale, una donna fuori dal comune e una dozzina di cartoline
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[BOMARZO]
di Adolfo Fattori
Perché
il parco del principe non è solo popolato di sculture
gigantesche, dalle proporzioni sghembe e dalla postura a volte
improbabile, o di costruzioni sbilenche, grottesche, come viste
attraverso una lente distorta, ma è pieno anche di citazioni
e versi incisi nelle rocce e nella pietra di cui sono fatti i mostri
che lo abitano e i piccoli edifici che lo contrappuntano, frasi
a volte oscure, altre più comprensibili, che danno
conto della grande cultura di Vicino, delle sue passioni, della sua
curiosità nei confronti del bizzarro,
dell’esoterico, del panico – e del desiderio di
stupire, disorientare e incuriosire il visitatore. Un luogo
magico, che con la sua stessa topografia allusivamente labirintica e
perturbante, i suoi sentieri e le sue radure ci si propone come
espressione dell’interiorità del principe Orsini,
e che necessariamente apre ad altri luoghi dell’immaginario
– architettonico e narrativo: prima di tutto la Villa
Palagonia di Bagheria in Sicilia, conosciuta come “la Villa
dei mostri”, gioiello del barocco siciliano, fatta costruire
nel 1715 dal principe Gravina, fra l’altro per i grovigli dei
giochi dinastici imparentato alla lontana con l’Orsini, che
sembra riprendere, attraverso le figure mostruose che la popolano,
quasi dei gargoyles tradotti nella lingua del barocco, alcuni dei temi
del parco di Bomarzo, complesso studiato non solo da architetti e
storici dell’arte, ma anche come espressione della
personalità psicotica del Gravina. O anche il
fluviale romanzo L’osceno uccello della notte
del cileno José Donoso, pubblicato nel 1970, capolavoro
della narrativa sperimentale sudamericana, in cui si narra, fra
l’altro, di un signorotto che, a differenza di Giancorrado
Orsini – il padre di Vicino – alla nascita di un
figlio mostruoso, per amore e compassione, fa edificare per lui nei
suoi possedimenti una tenuta inaccessibile al
mondo, e spedisce i suoi emissari e i suoi scherani in giro per le
contrade confinanti a raccattare tutti gli storpi, i mostri, i deformi
che vi vivono, per ospitarli e popolarne il mondo che ha riservato al
figlio, e non farlo sentire diverso dagli altri esseri viventi. Ma
oltre a queste suggestioni dirette, interne, il romanzo dello scrittore
argentino offre di più: se immediato è il
riferimento a Memorie di Adriano pubblicato da
Marguerite Yourcenar nel 1951, un’altra straordinaria opera
del Novecento, sotto traccia possiamo riconoscervi le cadenze gotiche
di romanzi come Il Monaco di Matthew G.
“Monk” Lewis, e ancor di più, per le
riflessioni offerte dall’attualità
dell’epoca di pubblicazione, il calco di Melmoth
l’errante, il romanzo gotico di
Charles Robert Maturin dato alle stampe nel 1820, la storia di un uomo
che non può morire, che vaga per il mondo alla ricerca di
una pace che è condannato a non raggiungere mai, e che
rimanda alla leggenda dell’ebreo errante,
l’uomo che secondo la tradizione cristiana avrebbe colpito
Gesù sulla via della croce, e sarebbe stato
perciò condannato a vagare sulla Terra fino al
“Secondo avvento”.
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