LA PORTATA… DISSACRANTE DEL POSTMODERNO
di Fiorenza Gamba |
foto di Ambra Zeni | ||
A seguire Bauman, una delle differenze tra l’uomo moderno e l’uomo postmoderno risiede nel fatto che mentre il primo è definibile come un approvvigionatore di beni, come un corpo che consuma il necessario al proprio sostentamento, il secondo si caratterizza come cercatore di sensazioni, vale a dire come corpo che, in quanto recettore “assorbe e assimila esperienze, e la sua attitudine e capacità ad essere stimolato lo trasforma in strumento di piacere”. In questa esperienza sensibile, fondamentale è la qualità delle sensazioni “che devono essere intense e profondamente gratificanti, ‘emozionanti’, ‘affascinanti’, ‘incantevoli’, ‘estasianti’” (Bauman 1999, p. 113). Tuttavia, proprio perché risultato di un’esperienza vissuta, soggettiva, quindi difficilmente comunicabile e ancora meno misurabile, la sensazione più intensa rimane un’ideale non solo irraggiungibile, ma anche inconoscibile. L’insoddisfazione e il senso di inadeguatezza (incapacità di registrare il massimo piacere) che ne deriva possono essere tenute a bada e incanalate anche grazie alle forme di sacralizzazione vicaria a cui abbiamo accennato. Per certi aspetti si tratta di una sacralizzazione aberrante, poiché l’uomo incorpora come sacre ritualità che non appartengono al sacro in senso stretto, né ad una versione secolarizzata del sacro. Si tratta di quella sacralità apparente di cui è costellata la vita dell’uomo postmoderno e che Siegfried Kracauer, già nei primi decenni del XX secolo, ascriveva alla modernità nella forma di quelle piccole ritualità meccaniche che scandiscono la quotidianità urbana (cfr. Kracauer 1982 e 2002). La cultura del cibo, la celebrazione del gusto a cui pare non si possa sfuggire, si connota dunque come un’esperienza estetica, un’avventura sensibile – senza dimenticare la sua implicazione economica – che testimonia la pratica dell’eccesso infinito tipica del clima culturale in cui siamo immersi. Ma, al di là del fatto che si tratti spesso di un comportamento di tendenza e non di un’autentica esperienza del sacro, anzi, al contrario, di una forma di desacralizzazione del cibo, non ci impedisce di riconoscerne l’importanza e la potenzialità, sia pur ambigue e contraddittorie, che tale pratica riveste per la società dell’incertezza di cui facciamo parte. Forse l’apertura intravista da Bauman è troppo ottimista: la ricerca del piacere, la pratica di assaporare il mondo porrebbe il soggetto, in quanto collezionista di sensazioni, in una posizione di apertura, di tolleranza verso l’alterità; e tale atteggiamento si costituirebbe, almeno in potenza, come disponibilità etica, come responsabilità (Bauman 1999, p.125). Il nostro punto di vista evidenzia aspetti diversi, pur rimanendo vicino all’analisi di Bauman. Infatti, ciò che per noi assume una valenza positiva è il fatto che desacralizzazione e riduzione a fenomeno di moda della cultura del cibo abbiano, anche in modo del tutto involontario, un effetto di sensibilizzazione nei confronti dell’isola climatica che in quanto esseri umani localizzati abitiamo, quindi un’attenzione all’altro non solo in quanto appartenente alla nostra stessa specie, ma in quanto animale o elemento naturale, in una stretta dipendenza di modalità di interazione (Sloterdijk, 2005). Questo effetto però, e in questo risiede la differenza da Bauman, non consiste in una possibilità esistente in potenza e auspicata; ma si realizza, in virtù di una casualità che impasta, come Sloterdijk mostra insuperabilmente, contingenza e volontà, derive collettive e iniziative personali, e che parte proprio dagli eccessi e dalle aberrazioni di una forma di desacralizzazione contemporanea. Dobbiamo quindi rassegnarci all’inefficacia delle polarizzazioni alle quali siamo abituati, a immaginare categorie altre, a dipanare l’intricata matassa del senso non avendo a disposizione che materiali ambigui e paradossali di cui l’eccesso infinito a cui ci pone davanti la cultura del cibo non è che un esempio, ma anche la prossima sfida. | ||
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— Bauman Z.,
La società dell’incertezza, Bologna, il Mulino, 1999. — Bourdieu P., — Douglas M., |
— Durkheim E. Les formes élémentaires de la vie religieuse, 1912, trad . it. Le forme elementari della vita religiosa, Milano, Edizioni di comunità, 1963. — Kracauer S., |
— Kracauer S., Das Ornament der Masse Straßen in Berlin und Anderswo, 1963-1964, trad . it. La massa come ornamento, Napoli, Prismi, 1982. — Ritzer G., |
— Segalen M. (1998), Rites et rituels contenporains, 1998, trad. it. Riti e rituali contemporanei, Bologna, il Mulino, 2002. — Sloterdijk P. (2003), |
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