LA PORTATA… DISSACRANTE DEL POSTMODERNO
di Fiorenza Gamba |
foto di Ambra Zeni | ||
L’accesso al e il consumo di cibo può essere quindi considerato come un continuum in cui ad un estremo stanno quelle fasce di popolazione che accedono per il loro livello di reddito ad un consumo di qualità e che per questo motivo, possono indulgere nella ricerca di piaceri del gusto sempre più elevati ed esclusivi; all’altro estremo stanno invece quelle fasce che per le limitate possibilità di cui dispongono accedono al cibo di costo ridotto e di qualità inferiore in cui si abbassano le percentuali dei nutrienti ed aumentano vertiginosamente quelle delle calorie. È evidente che quest’ultimo gruppo è esposto in maniera massiccia ad un eccesso di calorie e di grassi responsabili di favorire una serie di patologie legate alla sovralimentazione, che passando dall’obesità, dall’ipertensione, dalla colesterolemia, possono sfociare nel diabete, ormai quasi una pandemia, particolarmente subdola perché manifesta sintomi tardivi. Per contro, anche se in maniera meno evidente, l’altro gruppo, quello elitario, soggiace di fatto quasi allo stesso danno. In questo caso la scelta del cibo è accurata, di qualità, ma la ricerca del piacere nella sfera del gusto e, in questa sfera, la ricerca di piaceri sempre più intensi, come acutamente ha osservato Zygmunt Bauman (Bauman, 1999) porta ad eccessi altrettanto dannosi non per la scadente qualità del cibo, ma per l’eccessiva moltiplicazione delle occasioni di consumo, dando vita a situazioni paradossali, tutte postmoderne, in cui la seduzione del piacere del cibo deve essere temperata, quasi annullata, dal rigore delle diete e dell’esercizio fisico. Se il cibo sacro acquisisce la capacità di purificare, di guarire, di salvare, nel caso della sovralimentazione, al contrario, esso diventa veicolo profano di malattie, ed espressione evidente di dissacrazione. Questi sono solo alcuni casi esemplari, cui si potrebbe obiettare che lungi dal decretare la desacralizzazione contemporanea del cibo, altro non fanno se non sottolineare la contraddittorietà ed ambiguità della contemporanea cultura del cibo. Indubbiamente paradossi e contraddizioni sono aspetti che definiscono anche questa importante sfera culturale. Tuttavia, non sono poche le tracce che fanno ragionevolmente dubitare dell’autenticità della sacralità del cibo. Vista da vicino, si tratta piuttosto di una sacralità apparente o simulata, o meglio, svuotata, nella quale permangono gli aspetti esteriori, vale a dire le azioni, la liturgia, ma vengono a mancare le condizioni fondamentali e i significati, tali per cui il legame simbolico e le funzioni del sacro restano estranei. In particolare, si dissolvono le cesure spazio/temporali tramite cui il sacro ha sempre intagliato la ripetitività e la regolarità della vita quotidiana. L’eccezionalità, l’effervescenza del rituale non svolgono più alcuna funzione sociale, non svolgono un’azione capace di rafforzare la coesione della comunità. Nella nostra contemporaneità l’eccesso, che nel sacro era rigidamente definito entro ristretti limiti spazio/temporali, oltrepassa per sempre questi limiti, diventa infinito. Esso non è più un aspetto complementare e circoscritto della scarsità, al contrario, dilaga – a dire il vero non soltanto in campo alimentare – senza alcuna possibilità di controllo riducendo la sacralità ad un riflesso ormai deformato, un simulacro. | ||
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