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STELARC, SE QUESTO È UN UOMO di Michela Mastrosimone* |
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Il corpo sembra esplodere e superare i propri limiti biologici e culturali: da questa prospettiva parte Stelarc, artista greco, nativo di Cipro, australiano d’adozione, che ha cominciato la sua attività performativa negli anni Settanta, tentando una riedificazione del corpo (cfr. Macrì, pp. 138-139). Strumento privilegiato usato da Stelarc è stato il video. Le performance degli anni Novanta riguardavano la ripresa dell’interno del corpo: è famosa la performance Stomach Sculptures (1993), in cui una microscopica scultura di argento, oro, acciaio e titanio veniva inserita nello stomaco vuoto dell’artista. La piccola scultura inorganica trasparente era capace di illuminarsi, emettere suoni e aumentare o diminuire le proprie dimensioni, con lo scopo di contrastare lo status biologico del corpo (Macrì, pp. 148-150). Stelarc compie un viaggio nell’immaterialità corporea, va alla ricerca della bellezza interna, che prescinda dai canoni rinascimentali e dall’estetica dell’apparenza, ed intende sondare il motore della percezione esteriore. Il corpo si presta all’esplorazione dell’invisibile, è il terreno espositivo del performer. In questo caso, la tecnologia invade il corpo non come protesi, ma come ornamento estetico, e il corpo, svuotato, diventa un contenitore per la scultura, non per l’anima (Stelarc, p. 70). In realtà, sulla stessa linea esplorativa e alternativa si inscrivevano già le precedenti performance. The Body Suspension (1976-1988) rappresentava il tentativo di combattere la gravità. Stanco del legame con la terra e del freno gravitazionale, Stelarc, volendo preparare il corpo a un’esperienza extraterrestre, si è fatto sospendere, dapprima sorretto da fasce, poi da ganci conficcati nella pelle e da fili d’acciaio – per un totale di ventisette performance in circa dieci anni – in gallerie d’arte, spazi espositivi e aree urbane (cfr. Macrì, pp. 141-142). Il campo in cui, però, Stelarc ha condotto maggiormente le sue ricerche è quello della tecnologia avanzata. Il progetto The Third Hand (1981-1994), poi realizzato, rappresenta la simbiosi tra corpo e tecnologia e lo sconfinamento verso sconosciute forme di sensibilità. La terza mano è una mano artificiale, che non sostituisce quelle naturali, ma che si aggiunge ad esse, si muove autonomamente, ricevendo impulsi dai muscoli dell’addome e delle gambe, ha dei meccanismi che le consentono di aprire e chiudere le dita, afferrare, ruotare il polso e presenta un sistema di feedback tattile (cfr. Macrì, pp. 142-144). Nella performance Ping Body (1995), Stelarc, che evoca un cyborg, appare seminudo e con la terza mano ben montata sul braccio destro. (*) Ha collaborato Linda De Feo - Traduzione dell’intervista di Mauro Vargiu | ||
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