Nella
ricerca di una nuova geografia corporea, nel tentativo di creare un remapping
sensoriale, che riconfigurasse il sistema di percezioni del reale,
Stelarc ha quindi portato in scena il corpo umano e le sue
trasformazioni, inglobando le protesi per farle diventare organi
supplementari. Per Stelarc siamo alla fine della fisiologia, proprio
perché siamo alla fine dell’evoluzione naturale:
le idee sono generate dalla tecnologia, la memoria umana
declinerà e sarà possibile staccarsi da essa,
vivendo in un nuovo habitat evolutivo. Spesso inadeguato
all’ambiente, debole, lento, scarsamente equipaggiato per il
mondo tecnologico e soggetto all’inesorabile scorrere del
tempo, il corpo inoltre manca di un progetto modulare, che consenta di
riparare i difetti in modo semplice. L’unica soluzione
all’inadeguatezza corporea consiste quindi in una
riprogettazione, che, se avvenisse, potrebbe essere considerata la
più grande realizzazione umana. La riprogettazione
porterà ad un corpo autonomo, autosufficiente e
cerebralmente più capace: sarà un corpo meglio
equipaggiato, resistente alle condizioni atmosferiche e gravitazionali.
Non bisognerà riparare le parti guaste che provocano la
malattia, basterà sostituirle, i feti avranno un sistema
artificiale di supporto, poiché non sarà
più necessario l’utero materno per il loro
concepimento e il loro nutrimento, i corpi non invecchieranno, essendo
stati resi più forti di fronte alla fatica, e giungeranno
all’immortalità, perché essi si
rinnoveranno e si riattiveranno continuamente (Stelarc, pp. 70-71). Forse
Stelarc intende costruire una creatura né completamente
organica né totalmente macchinica, con
potenzialità straordinarie, che non muoia e che non nasca
naturalmente, che non senta come un uomo, ma che sia una sorta di
“cosa senziente” (Perniola, p. 68),
un’entità postumana, dunque, soggetta
esclusivamente all’evoluzione tecnologica. Ma è
proprio così? L’abbiamo chiesto
personalmente a lui.
Lei crede che il cervello umano possa essere
riprodotto dalla tecnologia, oppure che, per il fatto stesso che
è l’uomo a progettare la tecnica, la realizzazione
di un cervello tecnologico sia implausibile? Dunque,
un’intelligenza artificiale significa proprio questo. Ma
forse, il modo migliore per descriverla sarebbe “vita
artificiale”. In altre parole, l’intelligenza non
è semplicemente quel che succede nel cervello (o nel
computer), ma piuttosto ciò che è generato
dall’interazione tra un corpo umano o un robot con
l’ambiente che lo circonda. In altre parole,
un’entità intelligente necessita innanzitutto di
prendere corpo e di essere inserita nel mondo. Se essa è
capace di rispondere efficacemente ed appropriatamente a particolari
situazioni, allora potremmo considerarla intelligente. Un comportamento
interessante è quello che risulta dall’interazione
fra gli individui per mezzo del linguaggio che usano per comunicare,
delle istituzioni sociali in cui operano, della cultura che li ha
condizionati e delle tecnologie che hanno costruito. La
complessità dei nostri comportamenti non è
semplicisticamente dovuta a un impulso interno, ma piuttosto alla
complessità delle nostre interazioni e del nostro ambiente.
Lei sostiene ancora che l’evoluzione
naturale sia soppiantata da quella tecnologica? E quanto
l’evoluzione tecnologica potrà fare per il corpo
obsoleto? Arriverà a salvarlo? La
questione non riguarda la salvezza del corpo, ma piuttosto che tipo di
struttura corporea sia necessaria per amplificare la nostra
consapevolezza ed operare meglio nel paesaggio tecnologico in cui
adesso siamo inseriti. Non è che il corpo si sia evoluto;
piuttosto, il processo di evoluzione ha portato ad un corpo migliorato
e amplificato con i suoi stessi strumenti e macchine.
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