Cancelleremo
l’ostilità apparentemente
insuperabile che separa la nostra
carne dal metallo dei motori Filippo
Tommaso Marinetti
Il corpo sembra esplodere e superare i propri limiti biologici
e culturali: da questa prospettiva parte Stelarc, artista greco, nativo
di Cipro, australiano d’adozione, che ha cominciato la sua
attività performativa negli anni Settanta, tentando una
riedificazione del corpo (cfr. Macrì, pp. 138-139).
Strumento privilegiato usato da Stelarc è stato il video. Le
performance degli anni Novanta riguardavano la ripresa
dell’interno del corpo: è famosa la performance Stomach
Sculptures (1993), in cui una microscopica scultura di
argento, oro, acciaio e titanio veniva inserita nello stomaco vuoto
dell’artista. La piccola scultura inorganica trasparente era
capace di illuminarsi, emettere suoni e aumentare o diminuire le
proprie dimensioni, con lo scopo di contrastare lo status biologico del
corpo (Macrì, pp. 148-150). Stelarc compie un viaggio
nell’immaterialità corporea, va alla ricerca della
bellezza interna, che prescinda dai canoni rinascimentali e
dall’estetica dell’apparenza, ed intende sondare il
motore della percezione esteriore. Il corpo si presta
all’esplorazione dell’invisibile, è il
terreno espositivo del performer. In questo caso, la tecnologia invade
il corpo non come protesi, ma come ornamento estetico, e il corpo,
svuotato, diventa un contenitore per la scultura, non per
l’anima (Stelarc, p. 70). In realtà, sulla stessa
linea esplorativa e alternativa si inscrivevano già le
precedenti performance. The Body Suspension
(1976-1988) rappresentava il tentativo di combattere la
gravità. Stanco del legame con la terra e del freno
gravitazionale, Stelarc, volendo preparare il corpo a
un’esperienza extraterrestre, si è fatto
sospendere, dapprima sorretto da fasce, poi da ganci conficcati nella
pelle e da fili d’acciaio – per un totale di
ventisette performance in circa dieci anni – in gallerie
d’arte, spazi espositivi e aree urbane (cfr.
Macrì, pp. 141-142). Il campo in cui, però,
Stelarc ha condotto maggiormente le sue ricerche è quello
della tecnologia avanzata. Il progetto The Third Hand
(1981-1994), poi realizzato, rappresenta la simbiosi tra corpo e
tecnologia e lo sconfinamento verso sconosciute forme di
sensibilità. La terza mano è una mano
artificiale, che non sostituisce quelle naturali, ma che si aggiunge ad
esse, si muove autonomamente, ricevendo impulsi dai muscoli
dell’addome e delle gambe, ha dei meccanismi che le
consentono di aprire e chiudere le dita, afferrare, ruotare il polso e
presenta un sistema di feedback tattile (cfr.
Macrì, pp. 142-144). Nella performance Ping Body
(1995), Stelarc, che evoca un cyborg, appare
seminudo e con la terza mano ben montata sul braccio destro. Nella
ricerca di una nuova geografia corporea, nel tentativo di creare un remapping
sensoriale, che riconfigurasse il sistema di percezioni del reale,
Stelarc ha quindi portato in scena il corpo umano e le sue
trasformazioni, inglobando le protesi per farle diventare organi
supplementari. Per Stelarc siamo alla fine della fisiologia, proprio
perché siamo alla fine dell’evoluzione naturale:
le idee sono generate dalla tecnologia, la memoria umana
declinerà e sarà possibile staccarsi da essa,
vivendo in un nuovo habitat evolutivo. Spesso inadeguato
all’ambiente, debole, lento, scarsamente equipaggiato per il
mondo tecnologico e soggetto all’inesorabile scorrere del
tempo, il corpo inoltre manca di un progetto modulare, che consenta di
riparare i difetti in modo semplice. L’unica soluzione
all’inadeguatezza corporea consiste quindi in una
riprogettazione, che, se avvenisse, potrebbe essere considerata la
più grande realizzazione umana. La riprogettazione
porterà ad un corpo autonomo, autosufficiente e
cerebralmente più capace: sarà un corpo meglio
equipaggiato, resistente alle condizioni atmosferiche e gravitazionali.
Non bisognerà riparare le parti guaste che provocano la
malattia, basterà sostituirle, i feti avranno un sistema
artificiale di supporto, poiché non sarà
più necessario l’utero materno per il loro
concepimento e il loro nutrimento, i corpi non invecchieranno, essendo
stati resi più forti di fronte alla fatica, e giungeranno
all’immortalità, perché essi si
rinnoveranno e si riattiveranno continuamente (Stelarc, pp. 70-71). Forse
Stelarc intende costruire una creatura né completamente
organica né totalmente macchinica, con
potenzialità straordinarie, che non muoia e che non nasca
naturalmente, che non senta come un uomo, ma che sia una sorta di
“cosa senziente” (Perniola, p. 68),
un’entità postumana, dunque, soggetta
esclusivamente all’evoluzione tecnologica. Ma è
proprio così? L’abbiamo chiesto
personalmente a lui.
Lei crede che il cervello umano possa essere
riprodotto dalla tecnologia, oppure che, per il fatto stesso che
è l’uomo a progettare la tecnica, la realizzazione
di un cervello tecnologico sia implausibile? Dunque,
un’intelligenza artificiale significa proprio questo. Ma
forse, il modo migliore per descriverla sarebbe “vita
artificiale”. In altre parole, l’intelligenza non
è semplicemente quel che succede nel cervello (o nel
computer), ma piuttosto ciò che è generato
dall’interazione tra un corpo umano o un robot con
l’ambiente che lo circonda. In altre parole,
un’entità intelligente necessita innanzitutto di
prendere corpo e di essere inserita nel mondo. Se essa è
capace di rispondere efficacemente ed appropriatamente a particolari
situazioni, allora potremmo considerarla intelligente. Un comportamento
interessante è quello che risulta dall’interazione
fra gli individui per mezzo del linguaggio che usano per comunicare,
delle istituzioni sociali in cui operano, della cultura che li ha
condizionati e delle tecnologie che hanno costruito. La
complessità dei nostri comportamenti non è
semplicisticamente dovuta a un impulso interno, ma piuttosto alla
complessità delle nostre interazioni e del nostro ambiente.
Lei sostiene ancora che l’evoluzione
naturale sia soppiantata da quella tecnologica? E quanto
l’evoluzione tecnologica potrà fare per il corpo
obsoleto? Arriverà a salvarlo? La
questione non riguarda la salvezza del corpo, ma piuttosto che tipo di
struttura corporea sia necessaria per amplificare la nostra
consapevolezza ed operare meglio nel paesaggio tecnologico in cui
adesso siamo inseriti. Non è che il corpo si sia evoluto;
piuttosto, il processo di evoluzione ha portato ad un corpo migliorato
e amplificato con i suoi stessi strumenti e macchine.
Lei sostiene la rimodulazione e la ricostruzione del
corpo attraverso la tecnologia, nonché la sostituzione del
corpo con la macchina. Crede che ciò sia ancora possibile? O
potremmo rassegnarci all’idea dell’adattamento
all’ambiente e alla debolezza del corpo? Potrebbero
essere necessari ricostruzioni e sostituzioni del corpo. Ma
più probabilmente ci sarà una proliferazione di
unioni ibride di corpi (inclusi insetti e animali), macchine e sistemi
virtuali in svariate architetture corporali. La mitica chimera del mito
era, di fatto, costituita da una parte umana e una parte animale.
Architetture corporee alternative con capacità sensoriali,
cerebrali e operazionali sono ora possibili. I sistemi nuovi e
alternativi non sostituiranno completamente i vecchi, piuttosto si
integreranno ad essi.
Nel 1994 ha dichiarato che il cybercorpo è
un sistema che accentua l’operatività e
l’intelligenza. Dal 1981 al 1994 ha lavorato all’Amplified
Body, ai Laser Eyes e alla Third
Hand, il corpo frattale sembrava vicino: oggi a che punto
siamo? Dunque, il corpo obsoleto, espanso e invaso,
ora funziona inconsapevolmente. Sembra che il corpo funzioni meglio
come immagine, come avatar. Corpi e macchine sono pesanti e hanno
bisogno dell’attrito della gravità per funzionare.
Le immagini sono effimere e gli avatar non hanno organi.
Ha affermato che la libertà fondamentale
degli individui consista nel determinare il destino del proprio Dna.
Ogni uomo evolverà da solo, dominando il proprio destino
biologico: questa solitudine post-evolutiva non porterà alla
fine dell’umanità? Che posto hanno le relazioni
umane nella concezione post-umana? Gli individui
dovrebbero poter determinare il destino del proprio Dna.
L’evoluzione biologica è sorpassata dal design
umano e dall’ingegneria. È umano tutto
ciò che include l’interazione con gli altri,
quindi non ci sarà nessuna solitudine postumana, piuttosto
è il contrario. Non sarà solo possibile
interagire con gli altri a distanza ravvicinata, ma anche connettersi
con chi è lontano. Forse ciò che sta diventando
significativo non è l’altro biologico, ma
l’altro fantasmatico. Un fantasma generato da presenze remote
connesse elettronicamente via l’Internet.
Negli anni Settanta lei ha proposto le sue prime
performance. Quali erano le sue aspettative e quali furono le reazioni
del pubblico? Ancora oggi le sue opere hanno lo stesso impatto o, col
tempo, il pubblico ha cambiato l’approccio verso la sua arte? Dunque.
Le performance Suspension degli anni Settanta e
Ottanta sono state eseguite principalmente in gallerie private o luoghi
isolati, non era stato invitato pubblico. Le persone che assistevano
alle performance erano i pochi artisti invitati. In alcune occasioni
altre persone hanno assistito alle sospensioni non intenzionalmente.
C’erano pescatori su un promontorio e da barche di passaggio
che videro il corpo sospeso a circa trecento metri dalla riva. Due sono
state le eccezioni importanti: l’evento di New York, una
sospensione tra due edifici della 11° Strada, da un quarto
piano; molta gente non sapeva nemmeno che fosse una performance
artistica, altri invece erano stati invitati; l’altra
performance pubblica fu la City Suspension a Copenhagen, fu ampiamente
pubblicizzata e in migliaia vennero per vedere il corpo sollevato a
quasi sessanta metri sopra il Royal Theatre. Molti hanno reagito con
curiosità o interesse ma a volte con
aggressività. Il giudizio del pubblico è stato
dei più diversi…
Molte delle sue performance sono prove estreme di
resistenza al dolore e alla fatica, oltre che alla dura preparazione ad
ogni singola rappresentazione. Il suo stile di vita è stato
plasmato dalle sue esigenze artistiche? Sebbene
abbia fatto Yoga per tutto il tempo in cui ho vissuto in Giappone e mi
sia allenato praticando agonisticamente lo squash, ciò non
è derivato dalla necessità di preparazione fisica
alle performance. Certo, serve una buona forma fisica, ma non
eccezionale. Ma di sicuro la mia pratica dell’arte ha avuto
influenze sulla mia vita quotidiana. Ci voleva di solito una settimana
per riprendermi da ogni performance di suspension.
Sono stato ricoverato in clinica dopo l’inserimento della Stomach
Sculpture. È stato necessario più di un
anno per riprendermi dall’intervento chirurgico e
dall’infezione causata dal progetto Ear On Arm.
Credo che il corpo esegua le performance indifferentemente,
cioè senza aspettative. Quando un’azione viene
eseguita per rispondere a delle aspettative, le possibilità
diventano rapidamente atti, e la performance peggiora. Eseguire una
performance con indifferenza le permette di svolgersi con i suoi tempi
e ritmi. Credo che quest’idea di indifferenza sia attualmente
il mio modo di vivere.
Con le sue performance lei viola i limiti biologici: The
Body Suspensions (1976-1988) combattono contro la
gravità, The Stomach Sculptures (1993)
svuotano il corpo e le tecnologie, lo invadono, e in Fractal
Flesh (1995) il corpo assume una dimensione satellitare con
cui è possibile interagire a distanza. Il progresso
l’ha trasformato in uno sciamano tecnologico, si riconosce in
questo ruolo? La sua arte ha anche un aspetto mistico? Non
è necessario usare le parole “sciamano”
e mistico”, questo tipo di linguaggio è fuorviante
e si riferisce a nozioni metafisiche di vecchio stampo, completamente
estranee all’intenzione teorica e artistica. Piuttosto che
chiarire cosa sta accadendo, questo tipo di interpretazione oscura
l’obiettivo. Credo che queste parole vengano utilizzate per
descrivere attività che non si comprendono in pieno, non
c’è una dimensione spirituale in questi lavori
artistici, semplicemente esplorano la sfera dell’intuito e
dell’estetica.
Qual è il rapporto tra la sua arte e le
scienze mediche? Le protesi che utilizza per le sue performance nascono
come protesi biotecnologiche. Crede che si possa ipotizzare un rapporto
simbiotico tra la sua arte e lo sviluppo scientifico in campo
medico? Certamente i progetti hanno
richiesto l’uso di tecniche mediche di monitoraggio, protesi,
incremento elettronico, chirurgia e l’uso di cellule
staminali. La seduzione della scienza risiede negli usi che ne
derivano. La sua ricerca metodica e riduttiva produce tecnologie che
aumentano le nostre capacità e comprensione. La pratica
artistica genera una molteplicità di possibilità
diverse, riguarda più l’esporsi, lo smontare
dall’interno. Non riscuote successo se genera
ambiguità, ansie o incertezze. Non dovremmo paragonare i
processi ideativi e creativi nell’ambito delle due
attività in quanto queste lavorano su piani diversi.
Pertanto non esiste un legame tra arte e scienza medica. Ma piuttosto
una relazione difficile, problematica, antisimbiotica e persino
patologica.
Lei è sempre entusiasta delle tecnologie o
crede che ci potrebbero essere effetti inaspettati che minacciano
l’evoluzione umana? Non possiamo garantire
la completa salvezza del mondo. La curiosità e la
sperimentazione condurranno a risultati imprevedibili. In quanto umani,
l’elemento sorpresa ci attira. Avendo detto questo,
è una condanna della nostra specie l’essere
distruttiva e aggressiva. Le nuove tecnologie amplificano sia le nostre
abilità di perseguire significative ricerche, sia di
distruggerci. Noti che con ogni nuova tecnologia vengono generate
informazioni ed immagini inaspettate, che minano i nostri attuali
paradigmi e destabilizzano la nostra esperienza e opinione del mondo.
Le nuove soglie della sensibilità
potrebbero rivelarsi una trappola per l’uomo? Essere
capaci di sperimentare una gamma più larga dello spettro
elettromagnetico, ci fornirà nuove informazioni sensoriali.
Non posso pensare che la cosa sia negativa: anziché
ingannare il genere umano, essa creerà una finestra
più significativa sul mondo, incrementando e arricchendo la
nostra esperienza, la consapevolezza e
l’operatività del corpo.
Lei ha cominciato ad esibirsi circa
quarant’anni fa. Crede che nell’attuale panorama
artistico ci sia un performer a lei vicino? Crede che, già
oggi, sia possibile identificare un suo erede artistico? Oh,
sono certo che molti artisti stiano sperimentando ed eseguendo
performance con macchine e media interattivi. Ciò che
importa non è se degli artisti stiano perpetuando le tue
performance, ma piuttosto se degli artisti attuino o meno idee
alternative con obiettivi radicalmente differenti.
Quali performance sta progettando? Attualmente
sto cercando di realizzare pienamente il mio Extra Ear: Ear
on Arm Project, ci sono due procedure chirurgiche per
innestare un orecchio sinistro sul mio braccio sinistro. Per ora
è solo un prototipo di orecchio. I prossimi passi sono di
sollevare l’elice per creare un’ulteriore struttura
tridimensionale e far crescere un lobo utilizzando le mie cellule
staminali adulte. Un microfono impiantato, connesso ad una
trasmittente, sarà capace di abilitare la connessione
wireless con un qualunque punto di connessione wifi.
Diventerà quindi un organo accessibile pubblicamente che
consentirà alle persone di ascoltare ciò che il
mio orecchio sta ascoltando, ovunque siano e ovunque io sia. I nostri
organi si sono evoluti per funzionare meglio nel mondo, quindi possiamo
progettare organi addizionali per funzionare meglio nel mondo
tecnologico che abitiamo.
(*) Ha collaborato Linda De Feo
- Traduzione dell’intervista di Mauro Vargiu
:: letture ::
- Macrì T. Il corpo postorganico, Genova, Costa & Nolan, 2006 (I edizione, 1996).
- Perniola M. Il sex appeal dell’inorganico, Torino, Einaudi, 2004, (I edizione 1994).
- Stelarc, Da strategie psicologiche a cyberstrategie: prostetica, robotica ed esistenza remota, in Capucci P. L. (a cura di), Il corpo tecnologico. L’influenza delle tecnologie sul corpo e sulle sue
facoltà, Bologna, Baskerville, 1994.
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