BLADE RUNNER, O L’EDIPO REPLICATO di Antonio Cavicchia Scalamonti |
La versione più popolare di questo mito si riferisce però ad un celebre cabalista del ghetto di Praga: il Rabbino Loew, che secondo la leggenda diede vita ad una creatura – appunto il Golem – inserendogli nella testa una pergamena dopo avergli praticato un’incisione alla base del cranio. Ogni venerdì sera il Rabbino Loew toglieva la pergamena riducendo così il Golem a inerte argilla. Nelle versioni originali è estremamente presente la paura dell’usurpazione fatta dai cabbalisti del potere della creazione che è evidentemente riservato solamente a Dio. Attorno al Golem e alle sue varie versioni si coagularono nei secoli l’orgoglio dell’uomo creatore e la paura delle conseguenze della creazione. Il Golem sfuggiva sovente al controllo del suo creatore e diventava pericoloso. In una versione più tarda – descritta anche nei libri di Martin Buber – il ruolo del Golem veniva però invertito. Durante l’epoca dei pogrom contro gli ebrei il Mah’aral aveva creato un Golem per difendere gli ebrei contro le accuse rivolte loro. Con il passare del tempo, il mito acquistò caratteri con tonalità parzialmente diverse, meno connotate religiosamente o almeno magicamente e più adatte ai tempi. “Il Rabbino Loew divenne in alcune opere uno scienziato, un fisico, un chimico, un medico, un ingegnere o un orologiaio. Avendo rifiutato la trascendenza, egli si contentava di leggere nel libro della natura. Il Golem era il frutto della confidenza nel progresso e s’inseriva, per la verità, nella critica della civilizzazione tecnologica” (Mathière, ibidem). Poi, pur mantenendo le sue caratteristiche iniziali (un misto di paura e di orgoglio), il Golem ha acquisito quei caratteri che lo hanno reso l’antesignano degli androidi di cui stiamo trattando. Ci sono alcune opere dei primi anni del secolo scorso, che Catherine Mathière cita, in cui il Golem possiede una coscienza anche se ancora incompleta. Soprattutto in un film degli anni venti del regista Paul Wegener, in cui il Golem viene rappresentato, dice lo stesso regista, come: “un essere incompleto che lotta per accedere al mondo dei sentimenti e divenire un essere umano”(Wegener, Germania, 1920). Ambedue le interpretazioni accompagnate dall’evoluzione della figura del Golem, correggono quando non rovesciano il punto di vista che vede gli androidi come semplici macchine prive di empatia e senza un benché minima identità strutturata. Anzi, nelle interpretazioni diciamo “religiose” la figura del replicante (nel caso quella di Roy Batty) ha una statura di molto superiore a quella degli uomini in genere, mentre nel caso del Golem vi è una crescente evoluzione dell’androide verso una sensibilità sempre più umana. D’altronde se andiamo ad esaminare l’alternativa alle macchine, agli androidi, i cosiddetti “umani” quelli che – secondo i canoni – dovrebbero essere dotati d’empatia, sensibilità, identità certe, nel lavoro di Ridley Scott sono – a parte una folla indistinta che fa da sfondo ai protagonisti – tre: i due poliziotti e Tyrell l’artefice, il demiurgo. I due poliziotti sono personaggi un po’ squallidi, laidi, moralmente discutibili, chiaramente mossi da interessi poco chiari, se non poco puliti. | ||
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