BLADE RUNNER, O L’EDIPO REPLICATO di Antonio Cavicchia Scalamonti |
Rick resta però sorpreso che, dopo la sua rivelazione, le cose non vadano poi come avrebbero dovuto: Rachael piange e scappa via, mostrando un comportamento che non è tipico di un androide, e che lo sconcerta. Egli si rende conto che lei prova dolore! Nel frattempo, il Blade Runner e gli altri androidi procedono quasi parallelamente. I primi, alla ricerca del loro creatore per cercare di ottenere un’eventuale moratoria, l’altro, alla loro caccia, per accelerare invece la loro morte. Il primo incontro avviene con Zhora. Deckard l’uccide dopo un drammatico inseguimento che mostra la violenta ferocia con cui il cacciatore uccide la sua preda. Deckard sembra però avvertire i primi sensi di colpa. Ma non sempre le cose sono così facili. Leon, il replicante che aveva già ucciso il funzionario di polizia, lo aggredisce e avrebbe la meglio se non fosse ucciso da Rachael. Intanto i due replicanti superstiti, Roy e Pris, arrivano a Tyrell, il padre-artefice, il demiurgo, in un disperato e fallimentare tentativo di cambiare la propria sorte. Il confronto tra i due è drammatico e rappresenta l’essenza del lavoro di Ridley Scott: il tema è quello della brevità dell’esistenza e dell’assurdità della morte. La domanda che Roy rivolge al suo creatore è semplice e diretta: “Può l’artefice tornare su ciò che ha fatto?”, cui segue l’imperiosa richiesta: “Io- voglio- più- vita - padre!”. Ma Tyrell non può soddisfare la sua richiesta: la morte è iscritta nel codice genetico, e come una bomba ad orologeria inesorabilmente scoppierà. Poi il colloquio tra i due acquista modi inattesi. Per la prima volta Roy che appare sempre così sicuro di sé fino a sfiorare la iattanza, appare come intimidito dalla presenza del “padre”. Le loro teste si sfiorano. Ne viene fuori una sorta di singolare e inaspettata confessione tra Tyrell, che si sente e si comporta come un padre, e Roy che, almeno in questo momento, si sente e si comporta come un figlio, pervaso da un subitaneo e sincero – ma apparentemente incomprensibile, data la sua natura – senso di colpa. Il replicante, il freddo androide senza emozioni e senza sentimenti, si pente e si giustifica! Poi, Roy bacia il suo creatore, e lo uccide. Gli avvenimenti incalzano: Deckard raggiunge Pris: lei lo aggredisce e lui le spara uccidendola. Anche Roy fa ritorno da Pris, e la trova morta, riversa sul pavimento. Commosso, si china su di lei e la bacia come per prenderne commiato. Soffre, piange, così come soffre e piange un qualsiasi uomo di fronte ad una grave perdita. Poi si accorge della presenza di Deckard e, da lontano, inizia a provocarlo e a minacciarlo di morte. Oramai è solo; le sue membra ed i suoi muscoli avvertono l’epilogo. La vita sta lentamente abbandonandolo: sente avvicinarsi la fine. Ma ha ancora il tempo e le energie per una tremenda lezione. Bracca il suo cacciatore fin sull’esterno del palazzo, dove una pioggia incessante sottolinea drammatizzandola la caccia mortale. Oramai esausto, ferito, pronto ad arrendersi alla forza e alla furia dell’androide, Rick, nel tentativo di saltare da un balcone all’altro, scivola e resta appeso a una piccola trave sospesa nel vuoto. Roy sembra calmo. Ha una colomba in mano, e si avvicina alla sua vittima, guardandola dall’alto in basso: “Bella esperienza vivere nel terrore, vero? In questo consiste essere uno schiavo!”. Deckard, sfinito, lascia andare la presa, e Roy, con un gesto apparentemente inspiegabile, lo salva in extremis: lo solleva e lo adagia vicino a sé. Sorride. Egli ha forse bisogno di un testimone per poter trasmettere quello che sa essere il suo testamento: “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. “Navi da combattimento in fiamme a largo dei bastioni di Orione… “E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser… “E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo… come lacrime nella pioggia… “È tempo di morire…”. | ||
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