BLADE RUNNER, O L’EDIPO REPLICATO di Antonio Cavicchia Scalamonti |
Blade Runner o la minaccia all’Ordine Il film è la storia di un gruppo di replicanti in cerca del loro creatore sulla Terra, e di un cacciatore di androidi, Rick Deckard (nel film un attonito Harrison Ford). Nel romanzo (Dick, Roma, 2000), che ispira il film Philip K. Dick si pone il difficile compito di individuare quella sottile zona di separazione che dovrebbe dividere l’essere umano dalla macchina. In ogni caso le differenze principali tra l’uomo e i replicanti sono, secondo l’autore, sostanzialmente due: l’incapacità che hanno questi ultimi di provare empatia. Questo spiegherebbe la loro indifferenza al dolore altrui e forse, anche – almeno lo pensa Dick – la loro ferocia; la mancanza di una infanzia, cioè di una socializzazione primaria e di conseguenza di un passato personale, essendo stati costruiti già “adulti”, pronti per eseguire i loro difficili compiti, E poiché lo slogan della Tyrell era “Più umano dell’umano”, per renderli il più umani possibile, gli ingegneri avevano dotato questi perfezionatissimi androidi di un supporto mnemonico, un insieme di ricordi che però non gli appartenevano ma erano stati vissuti da altri, per dar loro l’impressione di avere un passato personale come tutti gli uomini. Per combattere il pericolo ch’essi costituivano, era stato appositamente costruito un test psico-emotivo, il cosiddetto Voigt-Kampff, studiato per individuarli. L’incapacità empatica, la fragilità identitaria e il difficile controllo delle loro pulsioni, avrebbero dovuto essere il loro marchio ed anche la loro condanna a morte. Ma questo test può non bastare per i replicanti “Nexus-6”. È per questo che le autorità hanno richiamato in servizio Rick Deckard il cui compito è d’individuare questi replicanti e di “ritirarli”. Rick ci appare come il tipico personaggio della letteratura noir americana: snervato, psicologicamente stanco, nauseato della sua vita da killer, cinico e individualista. Chiamato dalla polizia, egli intuisce subito, come noi insieme a lui, che quanto detto su questi esseri non corrisponde appieno alla verità. Anzi, tra lui e loro s’instaurerà un qualche profondo e drammatico legame: un legame inizialmente tra cacciatore e prede, che poi s’invertirà. Nel corso delle vicende successive, infatti, due volte uno di essi gli salverà la vita e, a sua volta egli salverà la vita ad un androide (Rachael) di cui s’innamorerà. È, forse, per cercare di capire quanto, al momento, egli semplicemente intuisce, che si recherà a trovare il progettista capo Tyrell, un geniale bioingegnere che è al vertice dell’enorme e fantascientifica struttura industriale che porta anche il suo nome. Questi lo accoglie – in un palazzo che sembra un microchip ingigantito – manifestamente fiero e orgoglioso delle sue straordinarie creature, e gli presenta Rachael, un androide d’ultimissima generazione che però ha – unica tra i Nexus-6 – la particolarità d’ignorare di esserlo. Una donna bellissima, apparentemente del tutto umana, ma che Deckard intuisce – senza bisogno di alcun test - non esserlo affatto. Tyrell, a mo’ di sfida, chiede a Deckard di provare il test Voigt-Kampff sulla stessa Rachael, poiché è curioso di scoprire se il suo ultimo e sofisticatissimo modello possa superare indenne la prova. Stranamente è Rachael stessa che domanda a Deckard di sottoporsi al test. D’altronde il carattere di Rick, che non manifesta emozioni, ed il suo comportamento ripetitivo, quasi meccanico, fanno sorgere i primi sospetti che anche lui sia un androide. Dei sospetti che lo stesso regista sparge qui e lì facendolo intuire. Deckard fa ritorno a casa, e trova proprio Rachael ad aspettarlo; lei è desiderosa solo di spiegargli, gli mostra le preziose foto del suo passato, che quindi dimostrano la sua “umanità”, la sua “identità di essere umano”. Le fotografie sono le prove di una “storia”, ma ai replicanti è stata sì data una storia, ma non l’esperienza diretta di quella storia. Ed è proprio questa mancata esperienza che rende la loro storia priva di certezze. Rick la fa accomodare e la precede, disincantato, nel racconto della sua stessa infanzia, anticipando fatti che solo lei poteva conoscere. “Innesti!” spiega lui: potevano essere ricordi di chiunque, reminiscenze che erano state inserite nella sua mente poiché lei, un androide, non poteva avere un passato da ricordare. | ||
[1] (2) [3] [4] [5] [6] [7] [8] | ||