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Le culture del feticismo messe a nudo
da Louise J. Kaplan
di Adolfo Fattori
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L
ouise
J. Kaplan è una delle più influenti ed eterodosse
psicoanaliste viventi. Newyorkese, esercita nella Grande Mela la sua
attività di psicoterapeuta, e si occupa in particolare di
tematiche
connesse al femminismo. In Italia sono stati tradotti Perversioni
femminili. Le tentazioni di Emma Bovary, 1992, (Female
Perversions: The Tempations of Emma Bovary, 1991) –
da cui Susan Streitfeld ha realizzato nel 1996 un film – e Voci
dal silenzio. La perdita di una persona amata e le forze psicologiche
che tengono vivo il dialogo interrotto, 1996 (No
Voice is Ever Wholly Lost, 1995), pubblicati entrambi da
Raffaello Cortina. La casa editrice Erickson di Trento ha appena pubblicato la traduzione italiana del suo ultimo lavoro, Falsi idoli. Le culture del feticismo (Cultures of Fetishism, 2006), in cui la studiosa utilizza come chiave di lettura quelle che definisce “cultura del feticismo” e “strategia feticista”, applicandole all’uso del corpo femminile nel cinema, alle pratiche di intervento sul corpo – dal piercing, ai tatuaggi, fino alla scarificazione e all’automutilazione – per riflettere sulla direzione che la società postmoderna ha imboccato in termini di controllo delle energie personali e del desiderio. Ci sembra che queste definizioni diano bene un nome – oggi – alle tendenze analizzate e denunciate negli ultimi due decenni dagli studiosi che hanno provato a definire l’avvento e il dispiegamento degli effetti della società postindustriale. Ecco su questo vasto intreccio di temi, che cosa ne pensa, Louise J. Kaplan. |
Rimanendo per ora centrati sulla definizione classica di feticismo come fenomeno che riguarda in senso stretto la sfera sessuale, alcuni passi del suo libro ci hanno ricordato ciò che scriveva anni fa Mario Perniola, filosofo italiano, nel suo Il sex appeal dell’inorganico, pubblicato nel 19941. Perniola sosteneva allora che si doveva prevedere il passaggio ad una sessualità neutra, artificiale – inorganica, appunto – cui fra l’altro il feticismo sarebbe l’approccio alla sessualità più affine. Dal suo punto di vista, ci sono affinità con la sua definizione della strategia feticista come – se capiamo bene – strategia complessiva di controllo nella postmodernità? La proposta di Perniola, ossia il fatto che dobbiamo iniziare a prevedere il passaggio ad una sessualità neutra, artificiale, inorganica come un rimedio al feticismo è, a mio avviso, soltanto un altro esempio della strategia del feticismo e non certo una soluzione al conflitto inerente al feticismo stesso. Il suo suggerimento in realtà è più che altro un riflesso del primo ed elementare principio della strategia del feticismo che descrivo a pag. 12 di Falsi Idoli, “… il feticismo è una strategia mentale o una difesa … che consente a un essere umano di trasformare qualcosa o qualcuno assieme alla sua stessa energia ed enigmatica essenza immateriale, in qualcosa o qualcuno che possa essere materiale, tangibile e reale, una forma d’essere che pertanto rende qualcosa o qualcuno controllabili. |
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1. M.
Perniola,
Il sex appeal dell’inorganico, Einaudi, Torino, 1994. | ||||||