Louise
J. Kaplan è una delle più influenti ed eterodosse
psicoanaliste viventi. Newyorkese, esercita nella Grande Mela la sua
attività di psicoterapeuta, e si occupa in particolare di
tematiche
connesse al femminismo. In Italia sono stati tradotti Perversioni
femminili. Le tentazioni di Emma Bovary, 1992, (Female
Perversions: The Tempations of Emma Bovary, 1991) –
da cui Susan Streitfeld ha realizzato nel 1996 un film – e Voci
dal silenzio. La perdita di una persona amata e le forze psicologiche
che tengono vivo il dialogo interrotto, 1996 (No
Voice is Ever Wholly Lost, 1995), pubblicati entrambi da
Raffaello Cortina. La casa editrice Erickson di Trento ha
appena pubblicato la traduzione italiana del suo ultimo lavoro, Falsi
idoli. Le culture del feticismo (Culture of Fetishism,
2006), in cui la studiosa utilizza come chiave di lettura quelle che
definisce “cultura del feticismo” e
“strategia feticista”, applicandole
all’uso del corpo femminile nel cinema, alle pratiche di
intervento sul
corpo – dal piercing, ai tatuaggi, fino alla scarificazione e
all’automutilazione – per riflettere sulla
direzione che la società
postmoderna ha imboccato in termini di controllo delle energie
personali e del desiderio. Ci sembra che queste definizioni
diano
bene un nome – oggi – alle tendenze analizzate e
denunciate negli
ultimi due decenni dagli studiosi che hanno provato a definire
l’avvento e il dispiegamento degli effetti della
società
postindustriale. Ecco su questo vasto intreccio di temi, che cosa ne
pensa, Louise J. Kaplan.
Rimanendo per ora centrati sulla definizione classica
di
feticismo come fenomeno che riguarda in senso stretto la sfera
sessuale, alcuni passi del suo libro ci hanno ricordato ciò
che
scriveva anni fa Mario Perniola, filosofo italiano, nel suo Il
sex appeal dell’inorganico,
pubblicato nel 19941. Perniola sosteneva allora che si doveva prevedere
il passaggio ad una sessualità neutra, artificiale
– inorganica,
appunto – cui fra l’altro il feticismo sarebbe
l’approccio alla
sessualità più affine. Dal suo punto di vista, ci
sono affinità con la
sua definizione della strategia feticista come – se capiamo
bene –
strategia complessiva di controllo nella postmodernità? La
proposta di Perniola, ossia il fatto che dobbiamo iniziare a prevedere
il passaggio ad una sessualità neutra, artificiale,
inorganica come un
rimedio al feticismo è, a mio avviso, soltanto un altro
esempio della
strategia del feticismo e non certo una soluzione al conflitto inerente
al feticismo stesso. Il suo suggerimento in realtà
è più che altro un
riflesso del primo ed elementare principio della strategia del
feticismo che descrivo a pag. 12 di Falsi Idoli, “…
il
feticismo è una strategia mentale o una difesa …
che consente a un
essere umano di trasformare qualcosa o qualcuno assieme alla sua stessa
energia ed enigmatica essenza immateriale, in qualcosa o qualcuno che
possa essere materiale, tangibile e reale, una forma d’essere
che
pertanto rende qualcosa o qualcuno controllabili.”
A proposito delle forme di
“scrittura” sul corpo di cui tratta
ampiamente, e che sono anche, ormai, parte di fenomeni che vanno oltre
la pratica individuale avendo assunto una dimensione sociale, sarebbe
possibile – pensando anche alla tradizione della tenuta di
diari –
ragionare sul fatto che forse blog, chat room e altri fenomeni legati
alla rete implicano uno scrivere su un corpo fattosi ormai virtuale,
condiviso, collocato in rete? Sì, questa
è un’idea interessante
che riguarda la dimensione sociale data alla strategia del feticismo da
blog, chat room e altri fenomeni legati al web. Sono in disaccordo
soltanto sul fatto che non considero questa cosa come uno scrivere su
un corpo “virtuale”,
“condiviso”, poiché il web è
esattamente un
qualcosa di inanimato, privo di una propria vitalità - cosa
che è,
naturalmente, la sua stessa attrattiva. Così questi scritti,
permettendo di evitare i pericoli causati dalla diretta interazione
umana, sembrano incarnare il quarto principio della strategia del
feticismo, come ho descritto a pag. 14 di Falsi Idoli,
“Quanto
più pericoloso e imprevedibile è il desiderio,
tanto più attenuato o
distanziato dall’esperienza umana deve essere
l’oggetto del feticismo.
Quando la piena identità dell’oggetto sessuale
è viva, piena di
vivacità minacciosa, pericolosamente
imprevedibile, il desiderio che
lui, o lei, suscita deve essere investito in un oggetto che
è
conoscibile e prevedibile.”
E sempre a questo proposito, le sperimentazioni di
performers
d’avanguardia come Orlan o Stelarc, come si collocano nella
sua analisi? La
Sua domanda concernente Stelarc e Orlan, due diversi tipi di
performers, è rilevante sia per il primo che per il quarto
principio
della strategia del feticismo. Vorrei iniziare con Orlan,
notando
come la sua forma di scrittura sul corpo sia anche un buon esempio del
fallimento della strategia che è, in parte, un rifugiarsi in
un atto
erotico per contenere e disciplinare l’aggressione e la
morte. Come
spiego nella discussione riguardo al film I racconti del
cuscino2,
“Solo quando la strategia del feticismo non può
più sufficientemente
dissimulare o regolare i vergognosi, spaventosi, vietati e
pericolosamente imprevedibili impulsi, le fantasie e i desideri
basilari, vengono fuori giustamente come risultato la follia, la
rabbia, la violenza, lo stupro, la mutilazione del corpo,
l’incesto e
l’omicidio.” O, come tradotto a pagina 97 di Falsi
Idoli,
“Quando la strategia feticista fallisce, queste pulsioni
esplodono
portando follia, violenza, stupro, mutilazioni, incesto e
morte.” Orlan
scrive sulla propria pelle, apparentemente in nome del suo concetto di
perfezione e bellezza ideale, ma ovviamente, e fin troppo ovviamente,
è
in realtà una diretta espressione della violenza della
mutilazione
corporea. In questo senso, è anche un
fallimento del quinto
principio della strategia del feticismo. A pagina 15 scrivo
“La
pulsione di morte prende una sfumatura erotica.” Come disse
Derrida,
“L’impressione di una venatura erotica disegna una
maschera
direttamente sulla pelle3.” Questo pubblico
che si diverte guardando
una donna che si lascia mutilare viso e corpo dai chirurghi, e questi
chirurghi che si suppone debbano proteggere la salute del corpo umano,
ma che invece collaborano a questi atti di mutilazione corporea, sono
altre indicazioni del fallimento della strategia feticista. Stelarc
ha un'altra metodologia di coinvolgimento della strategia feticista,
una metodologia che si avvicina ad alcune delle mie discussioni nel
capitolo “Silicio e carbonio: la robotizzazione degli umani,
l’umanizzazione degli androidi” (pp. 145-160). Qui
analizzo i vari
processi di trasformazione dei corpi a base di carbonio degli esseri
viventi in materiali in genere a base di silicio dei robot e di altri
oggetti inanimati. In questo contesto parlo di
“Kismet”, un robot che è
stato progettato per rispondere agli esseri umani “come
se” fosse un
bambino umano. In seguito descrivo “Asimo” e i suoi
diversi prototipi,
che hanno capacità interattive. Ma il punto principale di
questo
capitolo non riguarda i robot che sono costruiti per comportarsi
“come
se” fossero umani. In ultima analisi, m’interessa
di più l’uomo che
vuole trasformare i corpi umani in meccanici esseri robotici. E qui
tratto di persone come Natasha Vita More, membro fondatore
dell’Entropy
Institute. Vita More (di sicuro un nome di fantasia) propone la fusione
del corpo umano con le macchine, incorporando in esso i componenti di
metallo e silicio sviluppati con le tecnologie robotiche ed
elettroniche (p.156). “Propongo di progettare il prototipo di
un corpo
che funziona come un essere umano ma che non sia biologico al 100%,
bensì piuttosto una protesi che funziona come un corpo di
riserva.
Questo corpo (chiamato Primo) conterrebbe delle parti come il cervello
e altri organi essenziali che non potrebbero essere sostituiti, mentre
le altre parti sarebbero delle protesi, dei modelli sintetici che
formerebbero un sistema che ci farebbe muovere, proprio come oggi lo fa
il nostro corpo4.” Come ho commentato a proposito di
Primo (157),
dico che “Il principio necrofilo del feticismo è
evocato dalla fantasia
che gli esseri viventi e animati siano potenzialmente pericolosi e che
quindi debbano esseri controllati…” (p.158)
“Introdurre organismi a
base di silicio come sostituti dell’esperienza umana
è pericoloso, non
solo per i singoli individui, ma anche per la specie.” Stelarc
molto
spesso si comporta come se cercasse di trasformarsi in un Primo. Egli
sostiene che noi, esseri umani, dovremmo essere in grado di contrastare
la decomposizione naturale degli organi e installarne altri migliorati
artificialmente. Egli argomenta così: “Il mio
unico modo di vedere la
cosa è che il corpo sia un prodotto di massa, ma al momento
non
possiede alcuna parte sostituibile. Ciò di cui abbiamo
veramente
bisogno è un approccio progettuale. Dovremmo iniziare a
ri-progettare
il corpo.” Alla conferenza sull’arte e la
tecnologia al Blue Skies
presentò i suoi vari progetti per svuotare il corpo e
riempirlo con
macchine di ultima generazione in preparazione a una vita nello spazio.
Nelle sue varie performance, in cui si assiste a deprivazione
sensoriale, al cablaggio del suo corpo per trarne un suono, alle
riprese video dei suoi organi interni e all’aggancio a una
terza mano
robotica, egli presenta una molteplicità di metodi per
mescolare il
naturale con l’artificiale. Al Blue Skies ha dichiarato,
“La cosa
importante non è tanto la libertà
d’informazione, ma la libertà della
forma, la libertà di mutare e modificare il nostro
corpo.” Uno dei
modi con cui Stelarc ha cercato di illustrare questa libertà
è stato
quello di farsi impiantare dei ganci in varie parti del corpo, in modo
che potesse essere sospeso su diversi paesaggi e città. Le
immagini del
rituale del dolore e della resistenza che Stelarc si autoimpone nella
sua cosiddetta esplorazione scientifica del corpo nello spazio,
sembrano essere più affini agli scenari di mutilazione
corporea di
Orlan. Tuttavia, Stelarc non viola i confini del corpo umano nel modo
in cui lo fa Orlan. La sua filosofia, anche se molto spesso
è
esplicitata fuori e dentro il suo corpo, è più
che altro contenuta nel
regno delle idee. Certo, però, il suo mix tra naturale e
artificiale è
molto vicino a essere sintomatico di un fallimento della strategia
feticista, un sintomo non molto differente dalle mutilazioni corporee
di Orlan. Non bisogna necessariamente essere degli artisti per
prendere in considerazione le possibilità di trasformare un
corpo in un
cyber-corpo. Nell’ultimo capitolo di Falsi Idoli,
ho presentato l’esempio di un Professore di Cibernetica,
Kevin Warwick5 (p. 163) che, nel suo libro I, Cyborg,
scriveva di come avesse il proprio sistema nervoso collegato a un
computer. Lui e il computer s’inviano segnali di pensiero in
entrata e
in uscita. “...e questo gli diede la possibilità
di accendere e
spegnere le luci con il pensiero, di muovere una mano meccanica e
perfino sentire quanta forza la mano stesse utilizzando. Warwick poteva
anche controllare con i suoi segnali neuronali apparecchi situati
dall’altra parte del mondo.” Allo stesso
modo, quando un giornalista
di New York City intervistò cittadini comuni che erano
collegati ai
propri I-Pod, cellulari, computer portatili, e altri gadget che
portavano con sé ogni giorno, trovò persone che
fantasticavano di avere
il proprio sistema nervoso collegato alle loro macchine. Uno di questi,
un ex componente dei Grateful Dead, desiderava che qualcuno inventasse
un impianto nel cervello che “potesse essere
un’interfaccia definitiva
tra il proprio sistema nervoso e un sistema nervoso aggiuntivo
più
grande capace di essere acceso e spento in modi diversi, costantemente
configurabili in modo che non sia necessario fare un upgrade
comprandone una nuova versione ogni sei mesi.” (Falsi
Idoli, pag. 162).
Le commistioni fra organico e artificiale nel corpo
sono da tempo al centro del dibattito sul post-umano.
Lei cita le “tre leggi della robotica” di Isaac
Asimov e riporta le
riflessioni e previsioni di cibernetici e scienziati. Ma forse il luogo
dove il tema raggiunge il suo punto focale è il film Blade
Runner6 di Ridley Scott. Cosa pensa del modo in cui il
problema viene affrontato nel film? Sì,
sono d’accordo con Lei sul fatto che questi interrogativi sui
rapporti
tra uomo e robot abbiano raggiunto un punto focale nel fantastico film
di Ridley Scott. Tratto dal romanzo di Philip K. Dick Il
cacciatore di androidi7,
il film spinge gli spettatori a simpatizzare per gli esseri
artificiali, gli androidi. Questa solidarietà è
evocata in particolare
dalla situazione della replicante Pris, che viene distrutta
dall’umano,
Deckard, il cacciatore di replicanti che agisce convinto che lei, come
gli altri replicanti, è diventata malvagia e pericolosa.
Tuttavia si
innamora di un’altra replicante, Rachael. Le visioni del bene
e del
male in questo film aderiscono al romanzo nel senso che gli androidi
sono rappresentati come esseri più sensibili nei loro
sentimenti e
pensieri rispetto agli umani che li disprezzano, li temono e li
scacciano. Mentre Blade Runner non illustra alcuno
dei principi
della strategia feticista, il film dimostra come le tendenze erotiche
aggressive e violente negli umani sono spesso giustificate in nome
della legge e dell’ordine. Nel romanzo e nel film, la legge
della Terra
incoraggia la violenza e la rabbia delle persone, che hanno perso la
propria umanità essenziale poiché vivono in un
mondo vuoto che è stato
privato dei principi morali. Esso illustra inoltre che gli uomini
possono essere meno umani e più violenti degli androidi che
creano. In Blade Runner, ciò
che è organico tende alla disumanità e alla
crudeltà, mentre
l’artificiale, gli androidi appunto, può essere
più compassionevole e
umano. Blade Runner imposta una nuova prospettiva
sui rapporti
tra umani e androidi, una prospettiva seguita anche da altri film, dove
l’androide è un sensibile e affettuoso sostegno
per gli umani – come in
Intelligenza Artificiale8. D’altro canto,
film più specifici come Terminator9 e Alien10,
sottolineano la crudeltà e l’aggressione degli
androidi e la necessità dell’uomo di distruggerli.
Lei dedica un intero capitolo del suo libro alle
strategie
feticiste che si annidano all’interno dello stesso
establishment
psicoanalitico americano, questione fra l’altro dibattuta,
anche se
forse non negli stessi termini, anche in Italia.
C’è una sorta di
autoreferenzialità in tutto ciò ci sembra: una
versione perversa
dell’anello di Mœbius che lei cita a proposito del
rapporto fra interno
ed esterno del corpo. Un ragionamento simile, in forma più
generale, lo
conduce Fredric Jameson nel suo Postmodernismo11, a
proposito del
fatto che la stessa riflessione sulla postmodernità
è un fenomeno
postmoderno. Percepisce una relazione fra i due fenomeni? Potrei
dire “Sì, Lei ha ragione nel far riferimento a un
paradossale anello di
Moebius che ruota attorno ad un libero fluire della vita interna in
modo tale da legarla a regole esterne di una istituzione psicanalitica
che vuole controllare e dominare la vita interna.”
Considerando che,
come ben sappiamo, un vero Moebius sarebbe diventato una parte organica
di quella vita interna, e l’avrebbe aiutata a
esprimerla. Nel mio
capitolo sulla psicoanalisi presento questa preoccupante situazione,
riprendendo alcuni dei miei precedenti commenti sul feticismo. Vorrei
iniziare a discutere su come il feticista sessuale utilizza il proprio
feticcio per soggiogare la vitalità erotica del suo partner.
“Per il
feticista sessuale, ciò che è inanimato, o un
corpo quasi inanimato, è
di gran lunga preferibile a un corpo desideroso che potrebbe avanzare
le proprie ambigue energie.” Terminando questa introduzione
al
feticismo psicoanalitico, torno al capitolo precedente che riguarda la
“Febbre d’Archivio” dei biografi.
“La scrittura di una biografia è
destinata a portare in vita la storia di un soggetto vissuto o ancora
vivente. Tuttavia, troppo spesso l’ansia
d’archiviazione che affligge
questa nobile impresa riesce a schiacciare queste
vitalità.” In
sintesi, si potrebbe dire che, troppo spesso, le imprese che iniziano
con l’intento di creare ostacolano le forze vitali nel loro
esprimersi.
E questo triste stato di cose è purtroppo vero per la
formazione
psicoanalitica nella maggior parte degli istituti psicoanalitici. Come
ho detto (a p.113 di Falsi Idoli), “La
strategia feticista è
all’opera, con un’ironia ancora più
drammatica, anche nella formazione
degli psicoanalisti. Questo è particolarmente
triste perché se c’è una
disciplina il cui fine e la promozione della vitalità e
della
creatività, quella è la psicoanalisi. Tuttavia,
l’addestramento
psicoanalitico e condotto esattamente in modo da uccidere qualsiasi
creatività.” Quindi pongo la questione di
come un processo basato su
un ideale di libera associazione può prendere vita in un
processo
fondato sulla legge e l’ordine. Secondo i principi della
strategia del
feticismo, tutto ciò che rischia di fluire e di muoversi
liberamente
deve essere vincolato. Anche alcuni fermi sostenitori del libero
processo di associazione hanno spesso paura di tutto ciò che
potrebbe
modificare i principi psicoanalitici stabiliti, e quindi dichiarare
“Dovremmo cercare di mantenere ciò che abbiamo
già - coltivare la terra
che è stata ripulita e proteggersi dal ritorno
dell’erba cattiva e della corrosione12. Come Derrida
specifica nella sua introduzione a Mal d’Archivio,
vi è una tensione tra l’investimento
dell’analista nelle energie
“volubili e fluide” della situazione analitica che
consentono
l’imprevisto, ciò che non si conosce, ed
eventualmente le vitalità
vaganti dell’intima realtà psichica del paziente
che emergono, e i
principi della legge e l’ordine che vengono perpetuati negli
istituti
psicoanalitici. Potremmo chiederci: “Cosa
c’è nelle vitalità
creative della situazione clinica di così spaventoso per gli
analisti
esperti che sono responsabili della formazione dei candidati in
psicoanalisi?” Nel suo saggio Thirty Methods to
Destroy the Creativity of Psychoanalytic Candidates13,
Otto Kernberg propone una risposta a questa domanda, “Se vi
è una
scintilla, si può sviluppare un incendio specialmente se
questa
scintilla appare al centro del legno morto. Bisogna estinguerla prima
che sia troppo tardi.” Kernberg, senza saperlo, enuncia il
secondo
principio della strategia del feticismo. Il feticismo
trasforma
l’ambiguità e l’incertezza in qualcosa
di certo e conoscibile e, in tal
modo, spegne qualsiasi scintilla di creatività che potrebbe
incendiare
i fuochi della ribellione14. In conclusione
di questo capitolo,
rivolgo una raccomandazione agli psicoanalisti. Propongo un metodo per
mantenere il processo di analisi vivo e in movimento, attirando la loro
attenzione al terzo principio della strategia del feticismo. Il
feticismo porta in primo piano alcuni dettagli
dell’esperienza al fine
di mascherare e nascondere altre caratteristiche che vengono
così
celate nell’ombra e lasciate ai margini. Ad
esempio, la presenza prepotente di maschere erotiche nasconde
e copre le lacune che altrimenti ci ricorderebbero qualcosa di
traumatico15. Nella
Sua domanda, Lei ha suggerito anche che alcune delle mie riflessioni
sulle varie espressioni del feticismo nella formazione psicoanalitica
ricordano ciò che è accaduto alle
vitalità originariamente ispirate al
Postmodernismo. Non conosco Postmodernismo di
Jameson ma
posso immaginare dai Suoi riferimenti su questi scritti che egli
osservi oggigiorno come le riflessioni sul Postmodernismo pedanti, di
mentalità letteraria, ristretti stiano uccidendo lo spirito
essenziale
e la vitalità del Postmodernismo stesso.
Il tema della morte di una persona cara, che lei
affronta in Voci dal silenzio
(No Voice is Ever Wholly Lost)
e l’incapacità per la nostra cultura di gestire
l’idea della morte è
anche uno degli argomenti cardine della sociologia contemporanea, come
in Zygmunt Bauman, Il teatro
dell’immortalità16. Cosa può
dirci al proposito? (Infatti in Falsi Idoli)…
vado poi avanti nel mostrare come la farsa erotica del feticismo
sessuale che si trova in cima alla lista delle perversioni si estende
infine all’ultima perversione nella lista – la
necrofilia – l’istinto
di morte, che si dipinge di sfumature erotiche. Dovremmo, quindi,
sospettare che ci sia un tema erotico che occupa un posto di primo
piano nell’analisi e che la ricerca della morte sia un tema
relegato in
secondo piano. Qui mi sto riferendo anche a questa
domanda,
concernente l’incapacità della nostra cultura di
gestire l’“idea della
morte” e di come questa incapacità sia diventata
una pietra miliare
nella sociologia contemporanea, come nel lavoro di Zygmunt Bauman Il
teatro dell’immortalità.
E, naturalmente, anche qui sto parlando dei modi per evitare la morte,
cosa che è stata così ben evidenziata nelle
fantasie menzionate in
precedenza riguardo alla sostituzione delle parti umani in decadimento
con parti robotiche.
Le sue considerazioni sulle personalità
“As-if” e sui reality show
rimandano all’intero dibattito sociologico sui mass media,
sui loro effetti, sull’infantilizzazione delle
identità contemporanee. Le posizioni di sociologi e filosofi
contemporanei come Pascal Bruckner17, ad esempio, sono compatibili con le
analisi psicoanalitiche? Ancora, tutte le più
sofisticate strategie
di marketing mirano a fornire un’identità al brand
e ad instaurare
relazioni con i consumatori definite brand experience e shopping
experience. È forse qui che si annida il
“virus” da cui si originano
tutte le dinamiche feticistiche? O, quantomeno, è questa la
dimensione
feticistica della civiltà materiale? E ora,
infine, queste ultime due domande – (su problemi) che in Falsi
Idoli,
sono trattati come diversi aspetti di un’unica tendenza nella
società
contemporanea - cui Lei si riferisce come “dimensione
feticistica della
civiltà materiale”. Non so molto su
Pascal Bruckner, che negli Stati
Uniti ha una reputazione incerta, essendo un fascista mascherato da
multiculturalista. Ma so che Lei ha centrato il punto quando richiama
l’attenzione sull’infantilizzazione delle
identità contemporanee nelle
personalità “as-if” focalizzate sugli
spettatori dei reality in tv. Nella
conclusione del mio capitolo basato sul feticismo delle merci in Marx,
nella versione italiana di Falsi Idoli, appunto
“Il feticismo delle merci”, parlo in particolare
del reality show TV, The Real World,
che cattura una dimensione speciale della strategia del feticismo:
“La
robotizzazione dell’essere umano. In questo senso
è la conferma della
profezia di Marx quando diceva che gli esseri umani stavano diventando
immaginari e irreali, mentre le cose immaginarie diventavano reali e
tangibili.” Quindi ripeto la citazione che apre questo
capitolo sul
feticismo delle merci di Marx, “Tutto il nostro progresso e
le nostre
invenzioni attribuiscono una vita intellettuale alle forze materiali e
mortificano la vita umana con la forza materiale.” Uso
frequentemente
questo motto di Marx nel corso del libro e faccio riferimento ad esso
specialmente nel mio capitolo sui robot e gli umani. Naturalmente,
Marx parlava nello specifico della mercificazione degli esseri umani.
È
la pietra miliare delle sue teorie sulle relazioni sociali incorporate
nella produzione di merci. Il “segreto” del
feticismo delle merci si
pone fuori dai rapporti intricati tra il lavoratore il cui lavoro
produce la merce e il capitalista, che di quel lavoro si nutre per
massimizzare il profitto ricavato dalla merce venduta. Nella mia
introduzione a questo capitolo, vorrei dire che il primo principio
della strategia del feticismo acquista una espressione definitiva nel
concetto di surplus labor di Marx. Quando
il surplus
labor di un lavoratore si trasforma nel profitto per il capitalista, il
lavoratore si trasforma in merce - una cosa inanimata come una scarpa o
un tavolo. Così, qualcuno dotato di una propria energia
enigmatica e di
una essenza immateriale viene trasformato in qualcuno o qualcosa di
reale e materiale. Nell’ultimo capitolo
intitolato Le Culture del feticismo, ritorno sul
capitolo “Scrivere Sulla Pelle,” e
su una recensione di un film che tratta le mutilazioni della pelle, In
My Skin18.
Il recensore sottolinea che il taglio della pelle, la compulsione a
tagliarsi la pelle, è un tentativo disperato di ristabilire
una
connessione con un corpo che è stato perso. Ed egli
identifica anche le
culture e le razze che coltivano questa sconnessione con il corpo
umano. “In una sterile cultura aziendale dove gli appetiti
umani sono
quantificati, addomesticati e manipolati da ricerche di mercato e dove
le persone vengono ricompensate per il loro funzionamento come degli
automi, i tic incontrollabili sono davvero le ansiose convulsioni di
ribellione di uno spirito animale oppresso.” E
proseguo questo
ragionamento dicendo (pag. 162) “Molti, anche se sembrano
adattarsi
senza problemi alle tecnologie che sono offerte, rispondono
inconsciamente con il tremore di un animale che è
tormentato da un
qualcosa che non comprende.” “La sterile
cultura aziendale” che
manipola i desideri e gli appetiti umani attraverso le sue duplici
pratiche di mercato, è una variazione del feticismo delle
merci che
aliena gli esseri umani da gli altri esseri umani e da essi stessi. La
cultura aziendale, oggigiorno personificata dalla presenza di Donald
Trump e del suo reality TV show The Apprentice,
è una forza potente, non soltanto in un reality TV ma nella
vita di tutti i giorni. E
quindi chiedo, “Perché gli esseri umani accettano
la disumanizzazione,
l’alienazione, la commercializzazione? Siamo più a
nostro agio in un
monologo con una macchina che rispecchia semplicemente quello di cui
abbiamo bisogno e quello che desideriamo, rispetto ad un rapporto che
richiede un incerto ed ambiguo scambio di dialogo umano?” E
in
questo caso spesso rispondo citando Engels, “Proprio come le
persone
sembrano impegnate in una rivoluzionaria trasformazione di se stessi e
di ciò che li circonda – come sostiene Engels
– essi evocano
ansiosamente in loro aiuto gli spiriti del passato, prendono in
prestito i loro nomi, grida di battaglia, costumi, al fine di
ristabilire una nuova fase storica del mondo in una maschera onorata
nel tempo e in discorsi presi in prestito”. Come
ci suggerisce la
strategia del feticismo, è più sicuro rimanere in
ciò che è noto e
certo, anche se questo significa soffrire e subire nuovamente i traumi
del passato, piuttosto che tentare di creare qualcosa di nuovo ed
incerto, con tutte le invitanti ambiguità e le
possibilità impegnative
che ciò comporta. La creatività è un
pericolo. Se c’è una scintilla,
può svilupparsi un incendio. Bisogna spegnerla prima che sia
troppo
tardi. Spero di aver risposto alla maggior parte delle Sue
domande.
In tutti gli esempi, ho tentato di riferirmi alle parole che ho scritto
in Falsi Idoli. E sono stata felice di scoprire che
la maggior parte delle volte le risposte erano proprio lì.
::
note ::
1. M.
Perniola, Il sex appeal dell’inorganico,
Einaudi, Torino, 1994.
2. Peter Greenaway, I racconti del
cuscino (The Pillow Book), GB, 1995 (ndr)
3. Jacques Derrida, Mal
d’archivio Un’impressione freudiana,
Filema, Napoli, 1996 (Mal d’archive,
Paris, Galilée, 1995). La Kaplan fa riferimento
alla traduzione in inglese Archive Fever. A Freudian
Impression, Chicago and London, University of Chicago Press,
1996 (ndr)
4. Qui
Louise Kaplan riporta la citazione da Natasha Vita More che
già aveva inserito in Falsi idoli (ndr) 5. Kevin
Warwick, I, Cyborg. University of Illinois Press,
2004.
6. R.
Scott, Blade Runner, USA, 1982.
7. Oggi ristampato come Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, Fanucci, Roma, 2000, titolo più aderente a quello originale. (ndr)
8. Steven
Spielberg, A. I. Intelligenza Artificiale, USA,
2001.
9. James
Cameron, Terminator, USA, 1984
10. Ridley
Scott, Alien, USA, 1979.
11. F. Jameson, Postmodernismo,
Fazi, Milano, 2007; Cfr. Quaderni d’Altri
Tempi n.XI: Postmodernismo ovvero La
logica culturale del tardo capitalismo
12. Corsivo
dell’Autrice (ndr)
13. In
“International Journal of Psychoanalysis”, n. 30.
14. Il corsivo
è dell’Autrice (ndr)
15. Il corsivo
è dell’Autrice (ndr)
16. Z. Bauman, Il
teatro dell’immortalità, Il Mulino,
Bologna,
1995. cfr. Quaderni d'Altri Tempi
n.XI: Zygmunt Bauman: questa società
liquida… l’uomo
17. Pascal Bruckner, La tentazione dell'innocenza, Ipermedium libri, S. Maria C.V., 2001 18. Marina De Van, Dans
ma peau, France, 2002.
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