[ conversazioni ]
Le culture del feticismo messe a nudo da Louise J. Kaplan di Adolfo Fattori |
photographs courtesy Adam Chilson Lei dedica un intero capitolo del suo libro alle strategie feticiste che si annidano all’interno dello stesso establishment psicoanalitico americano, questione fra l’altro dibattuta, anche se forse non negli stessi termini, anche in Italia. C’è una sorta di autoreferenzialità in tutto ciò ci sembra: una versione perversa dell’anello di Mœbius che lei cita a proposito del rapporto fra interno ed esterno del corpo. Un ragionamento simile, in forma più generale, lo conduce Fredric Jameson nel suo Postmodernismo11, a proposito del fatto che la stessa riflessione sulla postmodernità è un fenomeno postmoderno. Percepisce una relazione fra i due fenomeni? Potrei dire “Sì, Lei ha ragione nel far riferimento a un paradossale anello di Moebius che ruota attorno ad un libero fluire della vita interna in modo tale da legarla a regole esterne di una istituzione psicanalitica che vuole controllare e dominare la vita interna.” Considerando che, come ben sappiamo, un vero Moebius sarebbe diventato una parte organica di quella vita interna, e l’avrebbe aiutata a esprimerla. Nel mio capitolo sulla psicoanalisi presento questa preoccupante situazione, riprendendo alcuni dei miei precedenti commenti sul feticismo. Vorrei iniziare a discutere su come il feticista sessuale utilizza il proprio feticcio per soggiogare la vitalità erotica del suo partner. “Per il feticista sessuale, ciò che è inanimato, o un corpo quasi inanimato, è di gran lunga preferibile a un corpo desideroso che potrebbe avanzare le proprie ambigue energie.” Terminando questa introduzione al feticismo psicoanalitico, torno al capitolo precedente che riguarda la “Febbre d’Archivio” dei biografi. “La scrittura di una biografia è destinata a portare in vita la storia di un soggetto vissuto o ancora vivente. Tuttavia, troppo spesso l’ansia d’archiviazione che affligge questa nobile impresa riesce a schiacciare queste vitalità.” In sintesi, si potrebbe dire che, troppo spesso, le imprese che iniziano con l’intento di creare ostacolano le forze vitali nel loro esprimersi. E questo triste stato di cose è purtroppo vero per la formazione psicoanalitica nella maggior parte degli istituti psicoanalitici. Come ho detto (a p.113 di Falsi Idoli), “La strategia feticista è all’opera, con un’ironia ancora più drammatica, anche nella formazione degli psicoanalisti. Questo è particolarmente triste perché se c’è una disciplina il cui fine e la promozione della vitalità e della creatività, quella è la psicoanalisi. |
Tuttavia,
l’addestramento
psicoanalitico e condotto esattamente in modo da uccidere qualsiasi
creatività.”
Quindi pongo la questione di come un processo basato su un ideale di libera associazione può prendere vita in un processo fondato sulla legge e l’ordine. Secondo i principi della strategia del feticismo, tutto ciò che rischia di fluire e di muoversi liberamente deve essere vincolato. Anche alcuni fermi sostenitori del libero processo di associazione hanno spesso paura di tutto ciò che potrebbe modificare i principi psicoanalitici stabiliti, e quindi dichiarare “Dovremmo cercare di mantenere ciò che abbiamo già - coltivare la terra che è stata ripulita e proteggersi dal ritorno dell’erba cattiva e della corrosione12. Come Derrida specifica nella sua introduzione a Mal d’Archivio, vi è una tensione tra l’investimento dell’analista nelle energie “volubili e fluide” della situazione analitica che consentono l’imprevisto, ciò che non si conosce, ed eventualmente le vitalità vaganti dell’intima realtà psichica del paziente che emergono, e i principi della legge e l’ordine che vengono perpetuati negli istituti psicoanalitici. Potremmo chiederci: “Cosa c’è nelle vitalità creative della situazione clinica di così spaventoso per gli analisti esperti che sono responsabili della formazione dei candidati in psicoanalisi?” Nel suo saggio Thirty Methods to Destroy the Creativity of Psychoanalytic Candidates13, Otto Kernberg propone una risposta a questa domanda, “Se vi è una scintilla, si può sviluppare un incendio specialmente se questa scintilla appare al centro del legno morto. Bisogna estinguerla prima che sia troppo tardi.” Kernberg, senza saperlo, enuncia il secondo principio della strategia del feticismo. Il feticismo trasforma l’ambiguità e l’incertezza in qualcosa di certo e conoscibile e, in tal modo, spegne qualsiasi scintilla di creatività che potrebbe incendiare i fuochi della ribellione14. In conclusione di questo capitolo, rivolgo una raccomandazione agli psicoanalisti. Propongo un metodo per mantenere il processo di analisi vivo e in movimento, attirando la loro attenzione al terzo principio della strategia del feticismo. Il feticismo porta in primo piano alcuni dettagli dell’esperienza al fine di mascherare e nascondere altre caratteristiche che vengono così celate nell’ombra e lasciate ai margini. Ad esempio, la presenza prepotente di maschere erotiche nasconde e copre le lacune che altrimenti ci ricorderebbero qualcosa di traumatico15. Nella Sua domanda, Lei ha suggerito anche che alcune delle mie riflessioni sulle varie espressioni del feticismo nella formazione psicoanalitica ricordano ciò che è accaduto alle vitalità originariamente ispirate al Postmodernismo. Non conosco Postmodernismo di Jameson ma posso immaginare dai Suoi riferimenti su questi scritti che egli osservi oggigiorno come le riflessioni sul Postmodernismo pedanti, di mentalità letteraria, ristretti stiano uccidendo lo spirito essenziale e la vitalità del Postmodernismo stesso. |
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11. F. Jameson, Postmodernismo,
Fazi, Milano, 2007; Cfr. Quaderni d’Altri
Tempi n.XI: Postmodernismo ovvero La
logica culturale del tardo capitalismo |
12. Il corsivo
è dell’Autrice (ndr)
13. In “International Journal of Psychoanalysis”, n. 30. | 14. Il corsivo
è dell’Autrice (ndr)
| 15. Il corsivo
è dell’Autrice (ndr) |
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