SPETTACOLARE RIVOLUZIONE
di Antonio Camorrino
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Nel 1967 Guy Debord scrive il suo capolavoro, La Società dello Spettacolo,
in cui afferma che i paesi capitalisti si stanno evolvendo verso una
società in cui gli individui sono meri spettatori passivi di un flusso
di immagini scelte dal potere, giustificatrici dell’assetto istituito,
che si sostituiscono completamente alla realtà.
Questa critica si basa sui testi del giovane Georg Wilhelm Friedrich Hegel e di Karl Marx, dei quali Debord opererà spesso un détournement, una riscrittura creativa. Per esempio, laddove Marx nel Capitale scrive: “Tutta la vita delle società moderne in cui predominano le condizioni attuali di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di merci”1, Debord replica: “Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli”2. Questo détournement esprime bene quella che, per Debord, è la caratteristica principale del capitalismo moderno. L’accumulazione del capitale e l’espansione delle tecnologie della comunicazione hanno permesso di spingere il feticismo delle merci ad un grado prima impensabile. La società dello spettacolo è il risultato di questa espansione. Lo spettacolo, concetto centrale della critica di Debord all’ordine capitalistico, non era inteso da questi meramente come espressione della tirannia dei mass-media. Quest’aspetto dello spettacolo è sicuramente la sua manifestazione sociale più opprimente ma non è né l’unica, né la più importante. Lungi dall’esserne causa, la televisione, come gli altri media (non dimentichiamo che Debord scrive negli anni ’60 e dunque la loro espansione è ancora limitata), è solo l’espressione della struttura delle società spettacolari e uno degli strumenti di controllo e persuasione della classe dominante. Lo spettacolo è, piuttosto, il tipo di relazioni interpersonali costruite dalle immagini di una società spettacolarizzata: “Lo spettacolo non è un insieme di immagini ma un rapporto sociale fra individui mediato dalle immagini”3. Per questo motivo, esso non è qualcosa di esterno alla società, ma, al contrario, è la sua struttura profonda. Lo spettacolo è necessariamente falso ed ingannevole, giacché struttura le immagini secondo gli interessi di una sola parte della società, quella che chiaramente detiene i mezzi di produzione: l’economia. Lo spettacolo è così il prodotto della mercificazione della vita moderna, il progresso del capitalismo consumistico che degenera nel feticismo delle merci. Pertanto lo spettacolo può essere definito come “… il regno autoritario dell’economia mercantile elevato a uno statuto di sovranità irresponsabile, e l’insieme delle nuove tecniche di governo che accompagnano tale regno”4. Lo spettacolo è il risultato della frammentazione sociale, derivante dal fatto che un unico settore domina sugli altri, così tenta di ricomporre l’unità perduta nella realtà sul piano delle immagini, le quali mostrano tutto ciò che manca nella vita degli individui. Esso propone incessantemente nuovi prodotti e nuovi stili di vita, creando di conseguenza nuovi bisogni da assecondare, che spesso sono irrealizzabili per la gente comune. Si realizza così una nuova alienazione. Mentre nel capitalismo classico, descritto da Marx, l’alienazione è il risultato del passaggio dall’essere all’avere, nel capitalismo spettacolare essa deriva dal passaggio dall’avere all’apparire: “La prima fase del dominio dell’economia sulla vita sociale aveva determinato nella definizione di ogni realizzazione umana un’evidente degradazione dell’essere in avere”. | ||
| versione per la stampa | | (1) [2] [3] [4] [5] [6] [7] | |
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1.
Karl Marx, Il capitale, Newton
Compton, Roma, 2006, p. 53. |
2.
Guy Debord,
La società dello spettacolo, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2006, p.53. |
3.
Ibidem, p. 54.
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4.
Guy Debord, Commentari sulla
società dello spettacolo, Baldini Castoldi Dalai,
Milano, 2006, p. 190. |
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