SPETTACOLARE RIVOLUZIONE di Antonio Camorrino
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“È l’immensa maggioranza dei lavoratori, che hanno perduto ogni potere sull’impiego della loro vita, e che dal momento in cui lo sanno, si ridefiniscono come proletariato, il negativo all’opera in questa società”16. Affinché questa classe sia rivoluzionaria è necessario che prenda coscienza del tempo storico. Debord considera l’evoluzione di questa presa di coscienza strettamente legata al progresso tecnico. Originariamente, quando l’agricoltura era l’unica attività produttiva, la concezione del tempo era da questa determinata. Tale rappresentazione era pertanto quella del tempo ciclico dell’eterno ritorno. Il tempo diventa sociale quando si formano le classi al potere, le quali, non lavorando la terra, iniziano ad avere coscienza del tempo storico, e della sua irreversibilità. Per il vertice della società la storia inizia ad avere un senso, e quest’idea entra in contrasto con quella della base della società, per la quale vale l’opposto. La religione monoteista è il risultato di questa contraddizione. La diffusione del tempo storico ha luogo con la borghesia, giacché con il capitalismo il lavoro cessa di essere regolare e ciclico, ma subisce anch’esso una continua trasformazione. Tuttavia nel momento in cui la concezione del tempo potrebbe diffondersi anche alla base, esso perde la sua storicità per tutta la società, divenendo il tempo “della produzione in serie degli oggetti”17. L’idea del distacco dell’individuo dal tempo inteso come tempo ciclico, dunque strettamente interconnesso ai tempi della natura, lo ritroviamo in Norbert Elias quando afferma che questo è uno dei motivi del mutamento identitario: “l’identità di un uomo premoderno era caratterizzato da un elevato grado di coinvolgimento nei confronti dell’ambiente naturale e dei suoi ritmi, per motivi sia di ordine pratico che più propriamente simbolici, l’identità dell’uomo moderno si è potuta costituire nelle sue caratteristiche essenziali soltanto grazie ad un’acquisita indipendenza dalla realtà degli spazi circostanti18. Il tempo delle cose si sostituisce a quello delle persone. Ne risulta una perdita totale dell’aspetto qualitativo del tempo, il quale viene ridotto esclusivamente al suo lato quantitativo. In quest’ambito i momenti si distinguono solo per aspetti quantitativi, si attua, quindi, per il tempo, lo stesso processo descritto da Marx per la merce, con il passaggio dal valore d’uso al valore di scambio. Anche il tempo è mercificato. Per essere rivoluzionario, dunque, il proletariato deve riprendere coscienza del tempo storico, ossia del fatto che l’economia è il vero motore della storia. A questa presa di coscienza si oppone lo spettacolo che cerca di perpetuarsi diffondendo la finzione di un eterno presente che pretende di aver posto fine alla storia. Qui s’affaccia il concetto di presentificazione, sintetizzato splendidamente da Zygmunt Bauman nella sua notoria metafora dove “l’uomo moderno è il pellegrino dotato di una chiara percezione della propria identità, rigidamente orientata al progetto, verso un futuro ben stabilito e pianificato; il nomade è invece l’uomo postmoderno che vaga tra luoghi non connessi, possiede un’identità momentanea per l’oggi. La sua è una vita composta di momenti uguali, in cui non ha senso parlare di direzioni, progetti e realizzazioni. Ogni presente conta tanto o poco, quanto ogni altro: la sua è un’ identità schiacciata sul presente”19. D’altra parte quando Debord afferma che il tempo ora dipende dalla produzione in serie d’oggetti non dice altro che a dettare i tempi ora sono gli “impulsi e i bisogni dei consumatori a loro volta intimamente legati alle decisione dei produttori tecno-economici di questa emergente cultura virtualizzata”20. La presentificazione, che è un altro tratto dell’identità post-moderna è una compressione del tempo fino ai margini dei suoi limiti, per dirla con David Lyon “l’istantaneo ci ha spinti verso il campo gravitazionale di un perenne presente. Siamo prigionieri dell’immediato, intrappolati tra passato e presente”21. |
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18.
Norbert Elias, Coinvolgimento e distacco,
Il Mulino, Bologna 1988, p. 29.
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19.
Zygmunt Bauman,
Il teatro dell’immortalità. Mortalità, immortalità e altre strategie di vita, Il Mulino, Bologna 1995, p. 37. |
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