SPETTACOLARE RIVOLUZIONE di Antonio Camorrino
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“La fase presente dell’occupazione totale della vita sociale da parte dei risultati accumulati dell’economia conduce a uno slittamento generalizzato dell’avere nell’apparire, da cui ogni “avere” effettivo deve trarre il suo prestigio immediato e la sua funzione ultima”5. In sostanza l’analisi di Debord, rispetto a quella di Marx, di cui è comunque ampiamente debitrice, svela un ulteriore livello del problema. Il singolo individuo non si accontenta più di possedere una merce, un bene, un prodotto: egli vuole, possedendolo, incarnare l’immagine ad esso collegato. La spinta sfrenata del capitalismo individuata da Debord, che sembra conferire un’anima alle merci attraverso lo spettacolo, è sintetizzata anni dopo in maniera brillante da Pascal Bruckner, che introduce il concetto di reincanto del mondo: “Siamo lontani dallo spirito del calcolo razionale che formava, secondo Max Weber, l’ethos degli albori del capitalismo: la produzione mercantile viene messa al servizio di una magia universale, il consumismo culmina nell’animismo degli oggetti. Con l’opulenza e i suoi corollari, gli svaghi, il divertimento (il concetto di spettacolo in Debord, nda), una sorta di incantesimo a buon mercato viene messo a disposizione di tutti. I prodotti esposti in vendita nei centri commerciali (…) non sono inerti: vivono, respirano e, in quanto spiriti, possiedono un’anima ed un nome (…). È Mastro Lindo che, come il genio della lampada, fuoriesce dal flacone del detersivo e ci ripulisce casa da cima a fondo”6. Il concetto di alienazione, se in Marx è “l’espropriazione del lavoratore da parte dei proprietari dei mezzi di produzione”7, in Debord diviene l’espropriazione dei consumatori da parte dei proprietari della società dello spettacolo, che con la merce divenuta ormai immagine, seducono gli individui con proposte di vita irrealizzabili, creando infine, soggetti alienati. Secondo Debord lo spettacolo è un processo di comunicazione unilaterale dove il Potere giustifica se stesso e il sistema che l’ha prodotto in un incessante discorso elogiativo del capitalismo e delle merci da esso prodotte: “Lo spettacolo è il discorso ininterrotto che l’ordine presente tiene su se stesso, il suo monologo elogiativo. È l’autoritratto del potere all’epoca della gestione totalitaria delle condizioni di esistenza”8. L’assenza di dialogo come condizione per raggiungere tale risultato è possibile data la totale separazione tra individui sempre più isolati l’uno dall’altro. Ridotto al silenzio, al consumatore non resta altro che ammirare le immagini che altri hanno scelto per lui. L’altra faccia dello spettacolo è l’assoluta passività del consumatore, il quale ha esclusivamente il ruolo, e l’atteggiamento, del pubblico, ossia di chi sta a guardare, e non interviene. Lo spettacolo è “il sole che non tramonta mai sull’impero della passività moderna”9. In questo modo lo spettatore è completamente dominato dal flusso delle immagini, che si è ormai sostituito alla realtà, creando un mondo virtuale nel quale la distinzione tra vero e falso ha perso ogni significato. È vero ciò che lo spettacolo ha interesse a mostrare. Tutto ciò che non rientra nel flusso delle immagini selezionato dal potere, è falso, o non esiste. Appare qui il concetto di iconorrea10, il flusso ininterrotto delle immagini, ma anche il concetto di virtualizzazione, quest’ultima possibile perché figlia del processo storico relativo al ruolo delle immagini nelle società occidentali, che palesa il passaggio dall’immagine, in quanto pura apparenza, o astrazione ideale, all’immagine come riflesso di una realtà considerata prima “altra”, poi una realtà “vera e propria”, per giungere (come suggerisce l’estetica post-modernista) ad essere considerata non più un riflesso o una rappresentazione di qualcos’altro, ma una “realtà” in quanto tale. Come l’immagine si sostituisce alla realtà, così la visione dello spettacolo si sostituisce alla vita. I consumatori, piuttosto che fare esperienze dirette, si accontentano di osservare nello spettacolo tutto ciò che a loro manca. Si sostanzia ciò che Odo Marquard definiva tachiestraneità al mondo11, una situazione in cui l’essere umano non può affermare di “aver fatto” le proprie esperienze. Per questo lo spettacolo è il contrario della vita. |
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[1] (2) [3] [4] [5] [6] [7] | ||
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7.
Luciano Gallino,
Dizionario di Sociologia, UTET, Torino, 1978, p. 15 |
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