Dall’altro, invece, si
osservano livelli diversi di coinvolgimento. Il livello
emotivo,
in cui una nuova sensibilità estetica apre il varco alla
sensibilità
organica nella vita sociale tramite un edonismo quotidiano che agisce
“in tanto che cultura dei sentimenti” (Maffesoli,
1990; 2004),
affermazione di quell‘hic et nunc postmoderno che
è fondatore
del sistema di orientamento secondo le coordinate
dell’immediatezza e
dell’esaltazione delle emozioni. Il livello spaziale,
dove le
riconfigurazioni del paesaggio sociale si declinano secondo la
ri-destinazione e la moltiplicazione degli spazi fisici definendo uno
spazio aumentato che trasforma la realtà
e invade anche la virtualità, cosa che implica una
necessaria ricerca di nuove forme di dire e vivere
la morte capaci di accordarsi alle trasformazioni in atto. Il livello
della personalizzazione,
tale per cui il superamento del valore moderno
dell’individualismo ha
prodotto nuove forme di comunitarismo, di annullamento
dell’individuo
nella folla (Maffesoli, 1990), ma contemporaneamente ha riscritto in
prospettiva postmoderna il concetto stesso di individuo, sottolineando
l’unicità dei percorsi autoriflessivi di
formazione del sé. Infatti, la
possibilità di inclusioni molteplici e transitorie in
tribù diverse
implica sia la pluralità di ruoli contro
l’unicità della funzione sia
la possibilità/inevitabilità di scelta riguardo
l’assunzione di tali
ruoli. In questa prospettiva, ricorda Gilles
Lipovetsky (1983, pp. 7-18 e 21), la vita è in ogni suo
ambito existence à la carte.
Ciò vale anche per i rituali funebri, e se la ricerca di una
vita su misura risponde ad una logica del loisir,
vale a dire del gioco come schema d’azione, anche i rituali
funebri
obbediscono a tale logica. Ecco che allora riprende il dialogo
interrotto con il sacro e, in particolare, con la ritualità,
attraverso
giochi - i riti – che spesso si configurano come
riappropriazione del
sacro, della morte e, soprattutto, come ricostruzione dei
rituali.
Uno degli spazi in cui si compie la riappropriazione
dell’esperienza
del dolore attraverso forme rituali nuove che si avvalgono della
simulazione, della mediazione di uno schermo è il Web. Si
tratta di uno
spazio anomico (Durkheim, 1971, 1969; Guyau,
1985), aperto e costruttivo, risultato della completezza con cui
l’oggetto morte
è presente nel Web e capace di incidere sul tabù
della morte. In questo
caso, infatti, i meccanismi di rimozione, vigili nella
realtà,
risultano allentati sia perché la struttura del Web
favorisce i
contatti e le contaminazioni: navigando è possibile
intercettare
l’argomento morte anche in ambiti da esso
molto lontani; sia
perché la condizione ludica, attivata dalle nuove
tecnologie, in virtù
non solo di caratteristiche tecniche ma anche grazie alle disposizioni
psico-percettive che stabilisce, permette di accostarsi
all’argomento
in una zona franca - protetta - in cui la curiosità,
l’interesse, la
paura, l’immedesimazione, e non solo il coinvolgimento
diretto, sono
gli elementi attraverso i quali si costruisce, quasi pedagogicamente,
un discorso completo sulla morte in cui trovano posto le figure
dell’immaginario inconsce, sociali o personali,
l’emotività, vale a
dire il sentire sulla morte, la conoscenza. In
questo modo si costituisce attraverso lo schermo un vero e proprio spazio
della protezione,
un luogo protetto dove l’esercizio
dell’immaginazione si coniuga con la
simulazione in un processo circolare in cui intervengono sia
l’esperienza sia la conoscenza. In tale situazione
l’irreversibilità
della realtà si trasforma nel proprio contrario, in quella
reversibilità pedagogica che nel caso della morte diventa
condizione
fondamentale per articolare un discorso completo e
considerare la morte nella sua interezza.
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