I FEAR THE BODY ELECTRIC:
LO SPLEEN, L’ELETTRICITÀ,
E IL “NERVOSISMO SOCIALE”
di Adolfo Fattori
Nel 1907 Emilio Salgari, dopo aver esplorato nei suoi
“viaggi immobili” l’intero globo
terraqueo, completando quelle geografie dell’immaginario che
procedevano dall’epoca dei grandi viaggi di esplorazione e
dalle grandi campagne di colonizzazione dell’Occidente
sviluppato, e pochi anni prima che Joseph Conrad commentasse
definitivamente l’immaginario del “fardello
dell’uomo bianco” con La linea
d’ombra (2004), decide – evidentemente
pago del suo contributo all’epica dell’esotico e
dell’avventura – che bisogna esplorare il futuro.
Non è il primo, a farlo. Lo aveva fatto Jules Verne, prima
di lui. Ma il viaggio nel tempo, in senso stretto, lo aveva istituito
pochi anni prima Herbert George Wells, con La macchina del
tempo (1990), immaginando appunto una tecnologia specifica
che permette di spostarsi nel futuro e ritornare nel proprio presente,
e fondando, senza saperlo, la fantascienza.
Ma per
lo scrittore veronese il riferimento più adeguato
è forse Edward Bellamy, l’autore di Guardando
indietro 2000-1887 (1982). Qui, come nel romanzo di Salgari,
il protagonista non può viaggiare avanti e indietro nel
tempo: si addormenta, e si sveglia dopo centotredici anni, come il
dottor Toby e il melanconico Brandock faranno nel romanzo del veronese,
addormentandosi nel 1903 per svegliarsi nel 2003. Qualche anno fa,
insomma.
La prima tentazione che viene – e non vale
solo per Emilio Salgari – è, naturalmente,
confrontare le “previsioni” dello scrittore con la
realtà fattuale del periodo che ha descritto. Quanto la
situazione politica assomiglia a quella reale, come si è
sviluppata l’economia, come sono cambiati gli usi e i
costumi, e – certo, specie per chi si occupa di fantascienza
– se sono confrontabili le tecnologie dominanti nella
realtà e nell’immaginazione anticipatrice.
Un’operazione utile, non tanto come giochino per sollazzare
scienziati e politologi, quanto perché permette di
confrontare speranze – o paure – e fatti, gettando
ulteriore luce non sulla società attuale, ma su quella che
ha prodotto il futuro immaginario.
In effetti, uno
scrittore – popolare o colto che sia, per quanto valgano
queste distinzioni – interpreta sempre lo spirito del suo
tempo …
Emerge – oltre questo –
dell’altro di interessante nel romanzo di Salgari,
probabilmente a sua insaputa, e non riguarda tanto la percentuale di
successo nelle profezie sul futuro, quanto qualcosa che riguarda molto
di più il suo tempo, quello in cui
scriveva.
In un paese ancora agli albori della
modernizzazione, il “viaggiatore immobile” Salgari
probabilmente sapeva cos’era lo spleen,
quell’affezione dell’animo tardoromantico e
modernista che colpiva gli uomini e le donne, che potremmo tradurre con
“melanconia”, e che sarà poi
riconosciuto come “depressione”: la prima
forma di depressione, legata al Romanticismo e al suo declino, alla
dimensione del “sublime”,
dell’irrazionale, che definisce, attraverso
l’alternarsi di esaltazione e sconforto, il languore di chi
si dibatte fra la “grandezza d’animo”
esaltata dagli spiriti romantici e il sentimento d’impotenza
prodotto dalle nuove condizioni sociali che forse permettevano sempre
meno di immaginare una vita sussunta alla propria volontà,
al proprio estro (Cfr. Ehrenberg, 1999, pp. 34 e segg.).
Il superomismo romantico, quello degli amori tragici e delle
grandi avventure, non aveva più nutrimento possibile:
l’esistenza diventava “piccolo borghese”,
le grandi burocrazie prendevano il sopravvento sugli individui.
Né si poteva più andare in cerca di avventura: il
mondo era stato esplorato – e conquistato – tutto.
Al massimo, il futuro plausibile poteva essere quello della Metropolis
di Fritz Lang …
Possiamo
immaginare che lo spleen di cui soffre Brandock,
il personaggio di Salgari, sia dovuto proprio a questo: un giovane,
ricco, americano, senza più niente che lo stimoli. Al
contrario del suo compagno di viaggio, il dottor Toby: uno scienziato,
quindi un esploratore in sé – della natura, e dei
suoi misteri; sempre curioso ed entusiasta, insomma.
Così
i due amici si addormentano per svegliarsi un secolo dopo, e per
trovare, naturalmente, un mondo profondamente trasformato.
E
in questo mondo, scoprono che la sorgente di energia si cui si basa
l’intera civiltà è
l’elettricità. Forza potentissima, ma
perfettamente ingabbiata. Che però permea
l’ambiente: l’uso
dell’elettricità è talmente diffuso che
in qualche maniera riempie i luoghi delle sue onde. Gli
“abitanti” del Duemila, perfettamente adattati,
essendosi abituati gradatamente, non ne risentono. I nostri due
crononauti, invece, sì. E ogni tanto avvertono sensazioni
che li lasciano interdetti. Brandock non se ne preoccupa, ma Toby, lo
scienziato, sì: teme che possano riceverne dei danni
imprevisti. Comunque, si informa di tanto in tanto sullo spleen
dell’amico, che sembra scomparso: immerso
– sommerso quasi – dalle novità, il
giovane non ha tempo per ripiegarsi su stesso, interrogarsi,
rimuginare; sembra aver trovato nel futuro una collocazione nuova,
nello spirito di un tempo che ha dissipato i languori e le tristezze
della vita del primo Novecento. Che sia, viene da chiedersi, anche un
effetto “collaterale” dell’immersione
nell’atmosfera elettrica del tempo nuovo?
Brandock
ad un certo punto vi allude:
“- Sai Toby che a forza di cadere di stupore in stupore finirò per diventare pazzo?
- Non ti senti bene?...
- Mi trovavo meglio cent’anni fa col mio spleen. Provo sempre un’eccitazione strana.
- È la tensione elettrica.” (Salgari, 1996, p. 78).
Intanto i due non hanno il tempo di pensarci,
perché vengono trascinati dal loro ospite –
Holker, un pronipote di Toby – a visitare le meraviglie del
mondo del Duemila. E qui rispunta il Salgari più conosciuto,
quello che non può rinunciare all’avventura,
all’esotismo, alla battaglia: luoghi di visita sono il Polo
Nord e, sulla via del ritorno, una città sottomarina e il
Mar dei Sargassi. I viaggiatori si ritrovano in mezzo ad una tempesta,
e ad una rivolta di forzati.
La tensione aumenta, alla lunga
è insopportabile: i due impazziscono, e i medici del futuro
attribuiscono il loro ingresso nella follia proprio
all’esposizione prolungata ed eccessiva
all’elettricità. Il passaggio da
un’epoca all’altra si è dimostrato
troppo violento, troppo brusco perché potessero sopportarlo.
E non per la loro psicologia (quando il veronese scriveva la psicologia
moderna compiva i primi passi), quanto per una causa eminentemente
fisica. Siamo ancora in pieno positivismo, tutto deve essere spiegato
ricorrendo a leggi naturali verificabili, misurabili; le affezioni
dell’anima si cominciano appena a riconoscere come legittime:
la “cittadinanza” delle nevrosi deve essere ancora
pienamente riconosciuta …
C’è
un passo, nel romanzo, che ci dà però uno spunto
significativo, anche se è poco più di un accenno,
presto messo da parte:
“- Sembra che gli uomini abbiano il fuoco addosso. Vanno e vengono quasi correndo.
[…]
- Camminavano diversamente cent’anni fa? - Chiese Holker, con una certa sorpresa.
- Erano molto più calmi gli uomini […]
- Io ho sempre veduto, da quando sono venuto al mondo, correre così frettolosamente.
Ah! Ora comprendo, - disse Toby. - È la grande tensione elettrica che agisce sui loro nervi. Il mondo è impazzito o quasi.” (Ibidem, pp. 57-58, corsivo nostro).
A dire la verità, c’era stato qualcuno
che, esattamente nello stesso anno in cui Emilio Salgari colloca la
“partenza” dei due crononarconauti, pubblicava una
riflessione sull’accelerazione del tempo e la dittatura della
modernizzazione: il sociologo tedesco Georg Simmel, in La
metropoli e la vita dello spirito (1995): “La base
psicologica su cui si erge il tipo delle individualità
metropolitane è l’intensificazione della
vita nervosa, che è prodotta dal rapido e
ininterrotto avvicendarsi di impressioni esteriori ed interiori
… (ivi, p. 36, corsivo nel testo). Anziché con
l’insieme dei sentimenti, reagisce essenzialmente con
l’intelletto … (ivi, p. 37).
L’intelletto è la più adattabile delle
nostre forze interiori: per venire a patti con i cambiamenti e i
contrasti dei fenomeni non richiede quegli sconvolgimenti e quei drammi
interiori che la sentimentalità, a causa
della sua natura conservatrice, richiederebbe necessariamente per
adattarsi ad un ritmo analogo di esperienze.” (ivi, p. 37,
corsivo nel testo).
Simmel si trova – in quegli anni
– all’esatto centro dei processi di modernizzazione
che scuotevano il mondo di cultura tedesca:
l’industrializzazione in Prussia, il crollo dei paradigmi
cresciuti a partire dalla Riforma attorno al Beruf, quindi della identificazione non solo di etica secolare e morale
religiosa, ma anche di quella fra professione e impresa – e,
naturalmente, della frattura fra universo rurale e realtà
metropolitana. E, a cavallo di due mondi, può confrontarli
fra loro, percepirne le tensioni e le frizioni, descriverne i riflessi
sulla vita interiore degli individui.
Salgari no.
L’Italia è ancora un paese ampiamente rurale. La
FIAT, gusto per fare un esempio, era nata da meno di un decennio,
quando fu pubblicato Le meraviglie del Duemila;
l’Ilva (l’antenata dell’Italsider), altro
esempio, nel 1905.
Pure, evidentemente lo scrittore veronese
– con la capacità degli artisti di annusare e
sintetizzare i cambiamenti, le frizioni, le spinte sociali, esprime un
sentimento che si fa strada, allude ad un punto di crisi possibile:
l’accelerazione del mutamento sociale porterà
disagio, costringerà ad un adattamento che sarà
faticoso. Il mondo diventa nervoso, le
personalità si elettrizzano, per
così dire... Alla personalità di tipo
“mercuriale”, con cui il premoderno indicava
l’individuo mutevole, inafferrabile, vitale, ma anche
ipocondriaco (una declinazione dello spleen), si
sostituisce l’individuo “elettrico”:
frenetico, veloce, ma anche vittima preannunciata dello
stress.
Solo un cambio di simbolo, in fondo, che
segna il passaggio da un mondo ancora tradizionale, in cui il fuoco
vitale è ancora alchemico –
l’«argento vivo» degli antichi
– ad un mondo disincantato, quello elettrico di Benjamin
Franklin e del Dottor Frankenstein (cfr. Davis, 2001). A cui i
personaggi di Salgari non potrebbero adattarsi. A loro appartiene
ancora, nonostante tutto, il fuoco sacro dell’eroismo cantato
dal rombo dei cannoni navali e delle carabine di grosso calibro.
LETTURE
× Bellamy E., Looking Backward 2000-1887, trad. it. Guardando indietro 2000-1887, Mondadori, Milano, 1982.
× Conrad J., The Shadow Line, 1917, trad. it. La linea d’ombra, Rusconi, Milano, 2004.
× Davis E., Techgnosis, 1998, trad. it. Techgnosis, Ipermedium, S. Maria Capua Vetere, 2001.
× Ehrenberg A., La fatigue d’être soi. Dépression et société, 1998, trad. it. La fatica di essere se stessi, Einaudi, Torino, 1999.
× Salgari E., Le meraviglie del Duemila, Simone, Napoli, 1996.
× Simmel G., Die Großstädte und das Geistesleben, 1903, trad. it. La metropoli e la vita dello spirito, Armando, Roma, 1995.
× Wells H. G., The Time Machine, 1895, trad. it. La macchina del tempo, Mursia, Milano, 2007.
VISIONI
× Lang F., Metropolis, 1927, Ermitage, 2008.