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L’ITALIA E GLI ITALIANI
NELLE OPERE DI EMILIO SALGARI*

di Corinne D’Angelo - La Perla di Labuan


tatoo_sandokanÈ comunemente riconosciuto che Emilio Salgari abbia ambientato le avventure descritte nei suoi romanzi in tutto il mondo, attraversandolo sia seguendo i vari meridiani che i paralleli, e quindi dal Polo Nord al Sud, dalle coste della Florida a quelle dell’Oceania, passando per il Capo di Buona Speranza. I suoi eroi, ed il nostro pensiero cade subito su Sandokan, certamente il più celebre, sono spesso nativi dei Paesi in cui la sua penna si è soffermata, oppure avventurieri (ecco far capolino nella nostra memoria, immancabile, anche il suo compagno Yanez) che si sono, per varie motivazioni, allontanati dalla loro Patria. Propriamente, solo I naviganti della Meloria e La Bohème Italiana effettivamente si svolgono in Italia. Quindi, in tutta la vasta produzione salgariana (85 romanzi, più di 100 racconti), l’Italia, che pure, negli anni in cui Salgari scriveva, muoveva i primi passi nell’ambito di imprese coloniali in Africa, l’Italia, dicevamo, sembra essere quasi dimenticata. Ma ne siamo proprio sicuri?
Cominciano a sorgere dei dubbi se si fanno un po’ di conti, e ci si accorge allora che l’opera di nonno Emilio è letteralmente “rigurgitante” di personaggi italiani, che portano, per usare un termine caro allo stesso Salgari, alla riscossa la loro Patria, ovunque li porti il Fato e il sentiero delle loro avventure.
Una ricchezza di personaggi che incarnano in pieno il mito del “buon italiano”, lavoratore, onesto, che gode dei frutti del proprio lavoro, ma che sa anche come divertirsi nei momenti di svago con gli amici.
Perché allora Salgari non ha scritto dell’Italia? Ma, in effetti, che senso avrebbe avuto ambientare delle avventure in questo Paese, così a portata di mano, quando si aveva tutto il mondo a disposizione? Quando l’orizzonte dell’uomo si andava ogni giorno di più allargando e i veri eroi erano coloro che, armati solo del proprio coraggio e della propria intraprendenza, cercavano uno spazio tutto personale in altre terre e presso altre genti?
Seguiamo un po’ qualcuno di questi italiani che partivano “all’avventura”.

 

Al primo posto non può che esserci lui, il Cavaliere Emilio di Roccaburna, Signore di Valpenta e di Ventimiglia, alias Il Corsaro Nero. “Cavaliere”, proprio come lo stesso Salgari, che portava orgoglioso la croce delle sua carica donatagli dai reali Savoia. E con il Corsaro Nero vanno elencati gli altri membri della sua famiglia, i suoi fratelli, il Corsaro Rosso e il Verde, che i lettori non hanno modo di conoscere se non dai racconti del cavaliere stesso; sua figlia Jolanda (Jolanda, la figlia del Corsaro Nero) e suo nipote Enrico (Il figlio del Corsaro Rosso). Tutti valorosi, audaci, di aspetto magnifico e capaci di ridurre un branco di pendagli da forca, quali sono i Filibustieri della Tortue, quasi a degli agnellini!
Ma continuiamo il viaggio nella bibliografia salgariana. Ne I Robinson Italiani tutti e tre i protagonisti sono nati sotto il bel cielo d’Italia: il signor Emilio Albani, ex ufficiale di Marina, Enrico, il marinaio del Liguria e Piccolo Tonno, il mozzo napoletano, tre curiosi personaggi che, ritrovatisi come novelli Robinson su un’isola deserta, diventano amici e, partendo dal nulla, riescono non solo a sopravvivere, ma addirittura a creare una colonia italiana, grazie al loro lavoro e alle loro doti positive, nell’isola su cui sono approdati.
Ancora, ne La città del Re Lebbroso c’è il medico Roberto Galeno (di Padova) che, coraggioso e intelligente, aiuta Lokan-Tay, il ministro del re del Siam, nella sua missione per riscattarsi agli occhi del suo sovrano, ricercando il driving-kuh, favoloso talismano della tradizione siamese.
Poi c’è quel bel romanzo che è Capitan Tempesta (e il suo seguito, Il Leone di Damasco), dove italiana è proprio la protagonista Eleonora, duchessa d’Eboli, bella e fiera, oltre che valentissima spadaccina, che, sotto spoglie “maschili”, è alle prese con i Turchi per salvare il suo fidanzato, da loro tenuto prigioniero.
Non dimentichiamo le tante misteriose avventure narrate da Mastro Catrame nell’omonimo Le novelle marinaresche di Mastro Catrame, piccole perle di mistero per i marinai della nostra penisola.
E che dire ancora del barone Carlo di Sant’Elmo e della sua fidanzata, la contessina Ida di Santafiora, i due sardi protagonisti de Le Pantere di Algeri? Anche se tradimenti e avventure si susseguono, potremo festeggiare alla fine la vittoria dei due giovani italiani che tornano liberi di amarsi. 
Ne Il Sotterraneo della morte, italiani sono alcuni dei protagonisti che si ritrovano coinvolti nella rivolta cinese dei Boxers, e in particolare il missionario Padre Giorgio, Roberto ed Enrico.
Tanto di cappello, per il loro coraggio nell’affrontare i ghiacci del Polo Nord per far sventolare il tricolore italiano più lontano di dove mai gli uomini si erano prima d’allora spinti, per l’equipaggio de La Stella Polare e il suo viaggio avventuroso, che aveva tra l’altro al suo comando S.A.R. il Duca degli Abruzzi, cioè un membro di casa Savoia, la cui figura, proprio per l’estremo rispetto dedicatogli da Salgari, viene quasi “mitizzata”.

E poi si potrebbero ancora citare Ugo Pernuschi, di Al Polo Australe in Velocipede,  il livornese Enrico da Sull’Atlante, Rocco, personaggio sardo, compagno del marchese Gustavo di Sartena ne I Predoni del Sahara, il catanese Alfredo Lusarno de La Costa d’Avorio, Fulvia, fanciulla romana del romanzo Cartagine in fiamme, Guglielmo Lando de I Naufragatori dell’Oregon, Giorgio Ligusa, genovese e capitano, uno dei protagonisti delle avventure de La scimitarra di Buddha e Michele Galla, altro genovese e comandante in seconda nel romanzo I Naufraghi del Poplador.
Salgari trova anche l’occasione di inserire un italiano, un altro genovese, il signor Falcone, ne Le caverne dei diamanti, la sua libera riduzione de Le miniere di Re Salomone di Haggard. 
E perché non inserire infine, in questo elenco, anche Marianna, La Perla di Labuan, protagonista de Le Tigri di Mompracem? Nata proprio sotto il bel cielo d’Italia, è di origini napoletane per parte di madre.

 

Sandro Lobalzo 1991
Sandro Lobalzo, 1991. Copertina per Le tigri di Mompracem. Chine, tempera, acquerello su cartoncino (36.4x50.8 cm)

 

Una bella folla di Italiani, a quanto pare, e da ogni angolo della Penisola, e questo solo per citare quelli presenti nei romanzi. Altri, infatti si trovano qua e là disseminati nella vasta produzione dei racconti, come l’equipaggio della Gorgona, che compare ne Lo schiavo della Somalia. Di questo particolare racconto abbiamo già evidenziato come, al di là di quelle che sono le avventure descritte, si possa rintracciare anche la presenza di un altro celebre e valoroso italiano, il Maggiore Galliano (D’Angelo, 2003). In altri racconti (Un’avventura del Capitano Salgari al Borneo, Sull’Oceano Indiano, In mezzo all’Atlantico), apparsi sul settimanale Per Terra e Per Mare, diretto dallo stesso Salgari nel suo periodo “genovese” per l’editore Donath (editore anche di molti dei suoi romanzi), l’io narrante sembra essere proprio quello di Emilio, che racconta alcune avventure vissute nei panni ora di capitano, ora di secondo ufficiale, a bordo di differenti imbarcazioni.
A questo riguardo è ben noto che Salgari ha sempre affermato di essere stato lui stesso viaggiatore o avventuriero in Paesi lontani. Pochi esempi: in un articolo scritto per L’Arena nel 1885 (Intervista ad un veronese reduce da Massauah), lo scrivente redattore Salgari afferma di essere stato anch’egli a Massauah, tre anni prima; qualche anno più tardi affermerà invece nella lettera ad un amico di aver visitato l’Egitto dove ha potuto ammirare le sponde del fiume Nilo.

E questo ci porta ad aprire un’altra discussione.
Perché Salgari si è ben guardato dal parlare delle attività coloniali dell’Italia (siamo, come periodo storico, a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, quindi nel periodo di maggiore fervore!) e invece ha raccontato quelle dell’Inghilterra, della Spagna, dell’Olanda? Inoltre, fa questo con parole di biasimo per il comportamento delle suddette nazioni, dando al lettore l’idea di una sua decisa avversione verso questa politica. 
Non si parla espressamente della colonizzazione italiana in Africa e neppure degli italiani, militari o esploratori, che lasciavano la loro Patria per cercare qui fortuna. Ma Salgari conosceva ed ammirava, ad esempio, Augusto Franzoj, esploratore divenuto celebre per aver riportato in Italia, dopo un viaggio ricco di peripezie, la salma di Giovanni Chiarini (Pozzo, 2003).
Ne La Costa d’Avorio Lusarno è un immigrato stabilitosi nell’Africa Equatoriale dove, con il suo duro lavoro, ha comprato vaste terre che ne hanno fatto un ricco proprietario terriero in buoni rapporti anche con la popolazione locale. Ne I Naufragatori dell’Oregon il siciliano Lando, uno dei protagonisti, è invece un ex-pescatore di coralli diventato un soldato delle truppe coloniali spagnole che si gode i complimenti rivolti a tutti gli italiani in quanto “bravi uomini e ricercati dappertutto”, visto che sono buoni soldati e valenti marinai.
Anche dove personaggi italiani non figurano ufficialmente nei romanzi, spesso sono ugualmente protagonisti grazie al Salgari divulgatore, che non perde occasione di citare le opere di particolari meritevoli conterranei.
Per esempio, ne La Sovrana del Campo d’Oro (Salgari, 1905), trovano spazio nel capitolo VI nelle parole dell’ingegnere Harris, il quale riferisce ammirato:

 

[…] “La vite ha vinto ormai l’oro, dopo che sono giunti gli italiani, quegli ammirabili agricoltori che hanno coperta la valle del Sacramento di vigneti, che tutti gli Stati Uniti c’invidiano”. […]

 

E poco prima Salgari aveva anche commentato:

 

[…] “il treno correva fra superbi vigneti, tenuti con cura meticolosa, opera tutta degli emigranti italiani, i veri creatori della fortuna vinicola della California.” […]

 

Ancora, ne I Naufragatori dell’Oregon, mentre i personaggi attraversano le foreste di Borneo, descrive il loro incontro con “il fiore più grande del mondo”, che lui identifica con le “rafflesie”, e dice essere stato scoperto dal fiorentino Odoardo Beccari:

 

[…] Verso le dieci del mattino, dopo aver percorso una mezza dozzina di chilometri, giungevano in una piccola radura, dove crescevano dei fiori così enormi, da strappare grida di meraviglia ad Amely e al piccolo Dik.  [….]
Queste piante, scoperte per la prima volta dall’italiano Odoardo Beccari nel 1778, sulle falde del vulcano Singaleng, nella provincia di Padang, a Sumatra, producono una foglia sola, gigantesca, alta oltre dieci metri e larga due o tre; dal centro di tale foglia sorge in un secondo tempo lo smisurato fiore di tinta rossastra, ma punteggiato di bianco. […]

 

In realtà, come scrive a riguardo Paolo Ciampi (Ciampi, 2003), Salgari riporta in questo paragrafo alcuni errori (soprattutto la data, che dovrebbe essere di un secolo più avanti, e il nome del fiore, visto che non si tratta di una rafflesia ma dell’Amorphophallus titanum), ma resta un passo ugualmente valido in quanto viene citato espressamente un personaggio italiano le cui scoperte e studi sono stati preziosissimi in svariati ambiti (dalla botanica, alla zoologia, per non parlare di antropologia, della geografia, ecc…), e probabilmente un punto di riferimento per lo stesso Salgari, nella stesura dei suoi romanzi.
Oltre a citare celebri personaggi italiani, l’amore di Salgari per l’Italia si traduce poi nell’inserire, ovunque possibile, poetiche descrizioni che ci ricordano il fascino della nostra penisola, come quelle dedicate al Mar Tirreno e alle “notti italiane” nelle pagine iniziali de Le Pantere di Algeri (Salgari, 1903):

 

Era una notte splendida, una di quelle notti dolci e serene che si possono solamente ammirare sulle coste italiane. La luna, appena sorta, si rifletteva con mille tremolii d’argento, sulla placida superficie del Tirreno, e le stelle pareva lasciassero cadere sul mare dei getti d’oro fuso. Una fresca brezza, carica del profumo degli aranci in fiore, soffiava a intervalli dalle coste della Sardegna, le cui aspre montagne si delineavano nettamente sul cielo, proiettando ombre gigantesche sulla pianura sottostante. […]

 

Altrove, Salgari invece non manca di omaggiare la gloriosa storia risorgimentale italiana; ne è un esempio I naufraghi del Poplador, nel quale i naufraghi protagonisti della vicenda narrata si ritrovano ad un certo punto delle loro avventure su una scialuppa che, come d’obbligo, ha bisogno di un nome: è così che essa viene battezzata la “Giovine Italia”. D’altronde, sono ben conosciuti i sentimenti di entusiasmo provati dal giovane Emilio nei confronti del Risorgimento italiano, visto che il suo più celebre eroe, Sandokan, incarna sotto molti aspetti la figura di Giuseppe Garibaldi (Calabrese, 1982).
Facciamo ora un passo indietro, agli inizi della carriera di Salgari, che come sappiamo lavorò come redattore in alcuni giornali (La Nuova Arena e poi L’Arena, nella sua Verona). 
La produzione giornalistica del giovane Salgari, in particolare durante la sua collaborazione alla Nuova Arena, è volta al teatro ma anche alla politica estera, e firma infatti questo genere di articoli con lo spagnoleggiante nome di Ammiragliador. Il Salgari che emerge da questi articoli sembra essere quello più attivo politicamente, è anche una “testa calda”, non ancora impegnato a districarsi nei problemi familiari ed editoriali (Gallo, 1994).
È un Salgari che, come il primo Sandokan apparso nelle appendici veronesi, “vede sangue” e accetta i rischi di un’impresa coloniale di cui è convinto sostenitore, vuoi per adesione alla politica del giornale per cui scrive, vuoi perché forse soprattutto imbevuto delle avventure esotiche lette sui libri dei suoi “maestri” (Verne, Cooper, …) ed è quindi convinto che si tratti di una necessità dell’Italia.
In alcuni di questi articoli, Salgari non esita infatti a esprimere (con parole anche molto infuocate!) un’opinione interventista dell’Italia in Africa scagliandosi inoltre contro la Francia, che accusa di voler derubare l’Italia di ciò che le spetta e, quel che più grave, di prenderla in giro con la propria politica. E, di conseguenza, critica i politici italiani (in particolare l’onorevole Mancini, in quegli anni a capo del Ministero degli Esteri), che permettono un simile comportamento senza nulla tentare.
Il suo pensiero “da giornalista” si attenuerà nella scrittura dei romanzi, scomparendo del tutto da questi per far posto alle sue critiche verso le potenze europee che spadroneggiavano nel mondo. Risulta evidente che i personaggi salgariani italiani sparsi per la Terra non portano con sé la guerra, anche se spesso si trovano a combattere senza esclusione di colpi per difendere se stessi e i propri cari. Il colonialismo, per Salgari, molto in voga nel periodo in cui viveva e scriveva, rispecchiava esattamente le definizioni che si potrebbero trovare sfogliando un dizionario:

 

Colonizzare: rendere adatto un fondo all’insediamento di una popolazione rurale stabile.

Colonizzazione: occupazione e sfruttamento di un territorio oltremare mediante l’istituzione e la fondazione di enti e di opere di un certo rilievo.

 

Ergo, a differenza dell’Inghilterra e di altre Nazioni, miranti ad insediarsi in un Paese per trarne i maggiori benefici economici a carico delle popolazioni locali, per Salgari colonizzare vuol semplicemente ed effettivamente dire raggiungere una nuova terra, stabilircisi e vivere in pace, godendo le risorse di quel posto, ma senza bisogno di un’occupazione militare dell’intero Paese, perché vi sono spazio e risorse per tutti.
Esattamente quello che si verifica ne I Robinson Italiani (Salgari, 1896), che danno vita ad una colonia felice e prospera.
Gli Italiani sono sempre buoni e bravi, non sono conquistatori e anche un intervento militare può quindi avere una giustificazione volta puramente a favore della popolazione locale: esempio ne è la lunga digressione storico-politica riguardante Tripoli, che Salgari fa nell’articolo del 5 gennaio 1885 de La Nuova Arena dal titolo L’Italia a Tripoli, nel quale spiega come l’Italia sarebbe guardata con favore dalla popolazione locale se inviasse le sue truppe in quella regione per mettere sul trono il legittimo erede e ristabilire l’ordine:

 

“Che l’Italia vada a Tripoli, non per impadronirsene formalmente, ma a rimettere sul trono il figlio e nipote di Jusef Pascià, procurandosi l’alto protettorato di questo ubertosissimo territorio.
Non solo non ci opporranno resistenza, ma la bandiera italiana sarà benedetta da tutta quanta la popolazione che riconoscerà in essa la propria liberatrice e il principe Caramanli e i suoi sudditi saranno felici di riacquistare la propria indipendenza col solo concederci gli sterminati terreni vergini, il diritto sui porti, sulle miniere inesplorate o fino ad ora non curate, sull’impianto delle strade ferrate e i telegrafi che in ultima analisi ritornerebbero a loro vantaggio.
Così l’Italia oltre a rendere libera una popolazione tradita, calpestata, dissanguata, si renderebbe padrona di una regione fertile situata nel cuore del Mediterraneo, che dovrebbe essere un lago italiano e che invece è di tutti, eccetto che dell’Italia”.

 

Un pensiero che sicuramente ci appare ingenuo (e sotto molti aspetti peraltro simile alla situazione politica estera attuale), come talvolta lo sono alcuni suoi romanzi, ma proprio questa ingenuità, questo rispetto per gli altri, sono la vera ricchezza di Salgari, che anche in questo si dimostra un vero Italiano

 


* Questo articolo è stato pubblicato originariamente nel maggio 2006, sul Vol. V, No. 2 della rivista internazionale
Belphegor che ringraziamo, insieme all’autrice, per averci autorizzato a ripubblicarlo.

 

LETTURE

× Calabrese O., Garibaldi, tra Ivanhoe e Sandokan, Electa, Milano, 1982.

× Ciampi P., Gli occhi di Salgari – Avventure e scoperte di Odoardo Beccari, viaggiatore fiorentino,
Edizioni Polistampa, Firenze, 2003.

× D’Angelo C., Il Liquore Galliano e “lo schiavo della Somalia”, “Gli Appunti di viaggio” di  www.emiliosalgari.it , 2003.

× Gallo C., (a cura di), A Tripoli!, Emilio Salgari (Ammiragliador), Perosini Editore, Verona, 1994.

× Pozzo F., Un viaggiatore in braghe di tela, Felice Pozzo, CDA, Torino, 2003.

× Salgari E., I Robinson Italiani, Donath Editore, Genova, 1896.

× Salgari E., I naufragatori dell’Oregon, G. Speirani&Figli, Torino, 1896.

× Salgari E., Le pantere di Algeri,  Donath Editore, Genova, 1903.

× Salgari E., La Sovrana del Campo d’Oro, Donath Editore, Genova, 1905.