UN APOLIDE DELLA CONSAPEVOLEZZA
di Adolfo fattori
... lo spazio, il tempo, l'identità,
i tre
pilastri della fantascienza.
James G. Ballard
Pubblicando la sua autobiografia, I miracoli della
vita (2009), poco prima di trasformarsi in sostanza per la
nostra memoria, James Graham Ballard sì è
accomiatato da noi con la consueta eleganza, e con la solida
discrezione che si possono ritrovare solo in un gentiluomo inglese
– abbastanza educato per muoversi in punta di piedi, ma
altrettanto colto per prendere le distanze dalla società cui
si appartiene e dai suoi aspetti più logori e tronfi. Il
libro rimanda un’immagine dello scrittore da cui emergono
prima di tutto il suo cosmopolitismo di fondo, il suo agnosticismo, il
distacco ironico del suo modo di vedere le cose, eccentrico ai luoghi
geografici in cui ha vissuto, trasversale alle fasi storiche che ha
attraversato. Un apolide della cultura e
dell’immaginario, insomma, capace di operare con uguale
incisività e profondità nella narrativa e nella
saggistica. A volte leggero, altre sarcastico, sempre originale. Uno
sguardo quasi alieno, il suo, indipendente, laico, di chi guarda le
cose del mondo da luoghi interiori inconsueti, imprevisti. In
realtà, nel 1996, con Fine millennio: istruzioni
per l’uso – del 1999 è
l’edizione italiana – lo scrittore britannico
già ci aveva fornito quella che di fatto è una
autobiografia in forma non ortodossa, fatta di articoli e brevi saggi,
scritti fra il 1962 e il 1995. E mescolati fra loro, perché
organizzati per argomenti, e non in ordine cronologico.
L’aspetto affascinante di questa raccolta – che poi
verrà confermato indirettamente, sotto traccia, dalla
autobiografia vera e propria – è che possiamo
rintracciarvi non solo le ossessioni di Ballard: i mass media
– e prima di tutto il cinema – i personaggi/icona
del XX secolo, il rapporto uomo/ambiente, giusto per citarne alcune, ma
anche le radici profonde dei suoi romanzi e dei suoi racconti,
alimentate dallo sguardo laterale che lo ha sempre accompagnato. Perché
questo incantevole “osservatore disincantato”
– per parafrasare Walter Benjamin –
dell’immaginario e del potere, se in I miracoli
della vita ci racconta appunto della sua, e quindi del suo
nomadismo geografico e interiore, disseminando così gli indizi
per dedurre le ispirazioni profonde della sua narrativa, con Fine
millennio ce ne fornisce per così dire le prove,
riprendendo in forma saggistica gli stessi temi ispiratori dei suoi
racconti e romanzi. Un esempio su tutti è la recensione del
1991 dedicata per il “Guardian” ad una biografia
“non autorizzata” di Nancy Reagan ad opera di Kitty
Kelley (Ballard, 1999, pagg. 57-60), in cui Ballard affonda il bisturi,
col pretesto della recensione, nella storia di questa coppia di
mediocri – almeno come attori – personaggi, e della
loro sostanziale assenza di scrupoli e di onestà, arrivando
quasi a parafrasare un altro grande disincantato della sua epoca, Jean
Baudrillard, quando scrive, ad esempio: “Ma nel caso dei
Reagan il reale è stato sempre una merce improbabile:
talmente costruita e artificiosa era l’immagine del
presidente, così imprecise e illusorie le sue nozioni del
mondo quando confondeva la realtà con i ricordi frammentati
dei film della sua giovinezza, che in fondo importa poco se in questa
biografia i fatti siano veri o no” (ibidem).
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