Un numero speciale, una donna fuori dal comune e una dozzina di cartoline


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  [ISTANBUL]
di
Fiorenza Gamba


E ancora, tra il senso di appartenenza totale alla città e la contemporanea sensazione di estraneità, la stessa che permette di descriverla e di vederla così intensamente. Non è forse un caso che sia ancora un luogo della città a indicare questa fragilità, intesa non come debolezza, ma come categoria interpretativa della paradossale condizione postmoderna (Sloterdijk 2006). Il Bosforo, infatti, incarna questo fragile equilibrio resistendo al trascorrere del tempo, infatti “… il Bosforo – scrive Pamuk – in tutti questi anni non è mai cambiato: per me lo stretto è una fonte di speranza e di ottimismo senza fine, che tiene in piedi la vita della città e dà salute e ristoro agli uomini.” (p. 61).  In questo breve passaggio è svelato, in tutta la sua bellezza, il legame di Pamuk con la sua città. Si manifesta qui quella poetica della città che Pierre Sansot ci ha abituati a vedere. Ciò sottolinea un doppio e profondo legame: se da un lato la città è il prodotto dei suoi abitanti, delle loro azioni, dei loro sogni e delle loro disillusioni, dall’altro l’uomo è generato dalla città, è il suo prodotto, suo figlio (Sansot 1973). Tale legame di carne e di suolo, di immagini e ricordi, di desideri e azioni, di pensieri e sensazioni, conferma, se ancora fosse necessario, che la vita dell’uomo – l’essere che abita geograficamente (Berque 2000) – assume il proprio senso nelle strade e nei percorsi della città. Per Pamuk:

Contemplare i paesaggi della città vuol dire unire le proprie sensazioni alle immagini di Istanbul quando si passeggia per le strade o si gira con i battelli: vuol dire poter accordare il proprio stato d’animo ai panorami che la città offre. E tale operazione, se fatta con naturalezza e sincerità, conduce a unire, nella propria memoria, le immagini della città ai sentimenti più profondi e sinceri, al dolore, alla tristezza e di tanto in tanto alla felicità, alla gioia di vivere e all’ottimismo. Se impariamo a guardare una città in questo modo, e se ci viviamo così a lungo da trovare l’occasione di unire in un legame stabile  i panorami ai nostri sentimenti più veri e profondi, dopo un po’ – proprio come succede con alcune canzoni che ci riportano alla memoria determinati ricordi, amanti, delusioni – le strade, le immagini, i paesaggi della nostra città si trasformano, uno dopo l’altro, in realtà ci fanno ricordare alcuni nostri sentimenti e stati d’animo. (pp. 338-340).

Noi non possiamo far altro, affascinati dalla lettura e da Istanbul, che immergerci, seguendo l’autore, nella magia della città.

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— Benjamin W.,
Das passagen-Werk,
1982,
I passages di Parigi,
Torino, Einaudi, 2007.

— Berque A.,
Écoumène.
Introduction
à l’étude
des milieux humains
,
Paris, Belin, 2000.

— Kracauer S.,
Le voyage
et la danse
,
Paris, PUV, 1996.

— Halbwachs M.,
Les cadres sociaux
de la mémoire
,
1925, I quadri sociali
della memoria
,
Ipermedium, Napoli, 1996.

— Halbwachs M.,
La mémoire
collective
, 1949,
La memoria
collettiva
,
Unicopli, Milano, 2001.

— Pamuk O.,
İstanbul: Hatıralar ve Şehir,  2003, Istanbul. I ricordi
e la città
,
Torino, Einaudi, 2006.

— Sansot P.,
Poétique de la ville,
Paris, Klincksieck, 1973.

— Sloterdijk P. (2003),
Écumes, Sphères III,
Paris, Hachette, 2006.

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