VIAGGIO PSICHEDELICO ALL’ALBA DELL’ERA NEOTERICA
di Adolfo Fattori |
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In realtà, i libri di Castaneda – almeno i primi tre, lo statuto di quelli successivi è ritenuto piuttosto fungibile, a cavallo fra attenzione documentaria e suggestione romanzesca – mostrano appieno l’incontro e il confronto (forse lo scontro?) fra due complesse tecnologie: gli apparati dell’antropologia culturale, come declinazione delle scienze sociali, i dispositivi del sapere sciamanico, come pilastro della cultura della tradizione arcaica. E se da una parte i protocolli dell’antropologia presumevano di far riferimento al metodo scientifico, così come definito dalla riflessione occidentale, e quindi di basarsi sull’osservazione “oggettiva” e la raccolta di dati15, da poter replicare per sottoporli alla verifica empirica, i dispositivi messi in opera da Don Juan in osservanza della tradizione sciamanica davano per scontata l’esattezza dei procedimenti dispiegati per ottenere i risultati desiderati, nei termini di una fissità e rigidità degli stessi perché così erano stati trasmessi dagli sciamani precedenti. Né faceva parte dell’orizzonte culturale yaqui – come delle altre culture arcaiche – il provare percorsi alternativi. Pena l’esporsi al rischio di effetti disastrosi, mortali. In Don Juan la tradizione è tutto. E la tradizione si basa sulla ripetizione, sulla replica di rituali fissati in un tempo anteriore, “mitico”, diremmo noi, e tramandati oralmente – e praticamente – da uno stregone all’altro. Il confronto che si sviluppa fra Don Juan e Carlos parte quindi da uno scontro fra due paradigmi conoscitivi per molti versi incompatibili, o meglio, incommensurabili fra loro. Sistemi simbolici costruiti – e, naturalmente, che definiscono – realtà differenti fra loro, forse in parte coesistenti, sicuramente non compatibili. Che hanno a che fare con le strutture conoscitive di base, con il sistema di significati con cui costruiamo socialmente la realtà. Tanto che ogni volta che Carlos cerca di stringere, di arrivare a quello che per lui è il punto focale, Don Juan si impunta, e risponde bruscamente, o con sarcasmo. La verità è quella, e non si scappa. La relazione fra i due non comincia con facilità: il brujo è diffidente, evasivo – o forse è solo poco fiducioso sulle possibilità del giovane gringo di capire? Castaneda si pone come intervistatore, chiede informazioni, che probabilmente, nei termini in cui formula le sue domande, Don Juan non può dargli. Le cose vanno a rilento… Alla fine, Don Juan rompe gli indugi: propone al giovane antropologo di diventare il suo novizio. E Castaneda viene iniziato progressivamente ai tre mediatori fra gli “uomini di conoscenza” e la realtà “non ordinaria”: tre vegetali: Mescalito (il peyote), l’erba del diavolo (la datura inoxia), Humito (il “piccolo fumo”, lo psylocibe). L’apprendista sperimenterà gli stati percettivi indotti dall’assunzione delle piante, ma non riuscirà mai a smuovere Don Juan dalle sue convinzioni e dalle sue certezze. Sarà piuttosto lui stesso, man mano che procede il suo lavoro, ad entrare nel mondo dello stregone yaqui, almeno a leggere i suoi ultimi libri… The Times They Are A-Changin’ La storia di Castaneda ha un indubbio fascino, basato sullo stile con cui scrive, sulle esperienze che racconta. E diventa il traguardo di una tradizione dell’Occidente strettamente connessa allo sviluppo della Modernità16 e ad alcune delle sue personalità più eccentriche, da Thomas De Quincey17 a Charles Baudelaire18, a Théophile Gautier19, (che spaventato ma ispirato dalla droga scrive addirittura un affascinante racconto20) a Walter Benjamin21, a Aldous Huxley22, fino, naturalmente, a Timothy Leary e Ralph Metzner, e alle loro riflessioni sul tema, riportate nel 1963 in L’esperienza psichedelica, in cui, partendo dalla lettura del Libro tibetano dei morti23, argomentavano come questa potesse essere praticata attraverso lo yoga, la privazione sensoriale, l’assunzione di sostanze come la psylocibina o la mescalina (nel linguaggio di Don Juan Humito e Mescalito24). E se nel caso di De Quincey – autore fra l’altro del saggio L’assassinio come una delle belle arti, la cui volontà di stupire è palese – e Baudelaire, che sperimentano le seduzioni delle droghe nell’Ottocento, in una atmosfera decadente e dandy, diverso è il caso degli ultimi tre, che inseriscono le loro esperienze in una logica di ricerca e registrazione delle alterazioni della percezione attraverso le sostanze assunte. Lungo questo filo due elementi sono notevoli: uno è la saldatura che avviene, in Leary, fra alcuni cardini delle culture tradizionali orientali – lo yoga, il libro dei morti – e di quella amerindia – peyote e psylocibe; l’altro è il passaggio di grado, in termini di ricerca, dalla registrazione degli effetti delle sostanze allucinogene o psicotrope su di sé, come fanno Benjamin e gli altri intellettuali novecenteschi, alla riflessione su come queste sostanze – e gli stati percettivi che producono – siano elementi cruciali di una cultura, quella dei nativi americani. Questi due fattori, mettendo l’accento il primo sulle affinità fra le tradizioni di due culture lontane fisicamente fra loro, ma accomunate dalla dimensione sapienziale, e il secondo sulla loro natura culturale, collettiva, esplicitano uno dei fulcri di quella che verrà definita poi come la controcultura di quegli anni – di cui A scuola dallo stregone, alla sua uscita nel 1968, diventerà magari non uno dei manifesti, ma uno degli indici, dei simboli. Se infatti, invece di concentrarci sugli aspetti connessi in particolare all’uso delle sostanze che per lo sciamano yaqui fanno da mediatori fra realtà ordinaria e realtà “speciale”, poniamo l’attenzione sulla dimensione più ampia della tradizione di cui Don Juan è custode, allora dobbiamo riconoscere che probabilmente una consistente parte del successo del libro è proprio dovuta alla promozione di una cultura “altra”, alternativa a quella dominante. Che va spontaneamente incontro alle istanze di “diversità”, di opposizione, di autonomia e ai desideri di identificazione degli strati giovanili di quegli anni, che, in continuità con il periodo “beat” delle minigonne e delle camicie a fiori trovano altri – ben più radicali motivi – di aggregazione. La protesta contro la guerra nel Vietnam, prima di tutto. |
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15. Nell’appendice
al suo primo libro, Castaneda riporta lo schema che ha potuto ricavare dalla riflessione su quello che Don Juan gli aveva spiegato. 16. Cfr. Luigi Caramiello, La droga della modernità, UTET, Torino, 2003. 17. T. De Quincey, Confessioni di un mangiatore d’oppio, Rizzoli, Milano, 2000. |
18. C. Baudelaire,
I paradisi artificiali, Dall’Oglio, Milano, 1974. 19. T. Gautier, Il club dei mangiatori di hascisc, Serra e Riva, Milano, 1979. |
20. T. Gautier,
“L’amante morta”, in ibidem. 21. W. Benjamin, Sull’hascisch, Einaudi, Torino, 1975. 22. A. Huxley, Le porte della percezione: Paradiso e Inferno, Mondadori, Milano, 2005. |
23. Il libro tibetano dei morti,
UTET, Torino, 2004.
24. T. Leary, R. Metzner, L’esperienza psichedelica, Sugar, Milano, 1969. |
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