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MANNAGGIA LA RIMA
CON WILLER

di Gennaro Fucile
Tira una brutta aria quando ci si scontra con il ranger Tex Willer, quando un vilain ci si imbatte, naturalmente. In quell’istante, inizia il conto alla rovescia per il malvivente e sulle sue malefatte si inizia a scrivere la parole fine. I clarinetti (le colt) in pochi secondi danno avvio a concerti fiammeggianti, nessuno è escluso dal coro, winchester, frecce, macigni, e tavoli; canyon e saloon si ritrovano in un lampo con i connotati cambiati e chi è nei paraggi subisce medesima sorte. Tex Willer è un tiratore infallibile, è micidiale nel corpo a corpo sia nel combattimento all’arma bianca sia a mani nude, è agile nello schivare colpi di ogni genere, ha riflessi fulminei, le pallottole lo sfiorano lo colpiscono di striscio e poco più, tuffi capriole e salti completano le attività ginniche che gli consentono di sopravvivere.
Tex Willer acciuffa gaglioffi di norma mascherati da rispettabili professionisti e nel farlo, incrocia sulla sua strada tutori dell’ordine al soldo del prepotente di turno. 
Tex Willer insegue senza tregua chiunque oltrepassi il confine della giustizia. Lo fa ricorrendo ad ogni mezzo e non arrestandosi di fronte a nessun ostacolo, non si ferma di fronte a rapide e deserti che lascerebbero morto stecchito chiunque altro; non arretra, ma continua ad avanzare su sentieri e praterie che pullulano di agguati, trappole, ogni genere di insidie; non si arresta quando si scontra con nugoli di avversari, soverchianti per numero e armamenti; non conosce frontiere e non si fa scrupolo di lasciare in un angolo le regole democratiche, le leggi che tutelano i diritti dei cittadini quando è necessario, ovvero sempre, in presenza  degli avanzi di galera che incappano nei suoi celebri interrogatori e i malcapitati, se potessero, preferirebbero andare sul ring con un peso massimo.
Tex Willer non fa sconti a nessuno, è inflessibile. Ne sanno qualcosa i cialtroni arruolati come killer di rincalzo, i delinquenti di mezza tacca, gli assassini professionisti, i disperati pronti a vendersi per un pugno di dollari, i militari esaltati, le frange del grande popolo dei nativi nordamericani, spesso capitanate da giovani guerrieri in cerca di un folle onore, le schegge impazzite della guerra di secessione, gli astuti e potenti speculatori che fiutano affari nella grande miniera chiamata West, i signori dell’oppio, dell’alcool e delle armi, contrabbandieri di etnie diverse, cinesi, messicani, yankee, tutti dediti al crimine. Guai a loro, Tex Willer non fa sconti. Il pericolo è il suo mestiere, la giustizia la sua missione. 
Tex Willer è coraggioso, azzarda piani d’azione ai limiti del ragionevole, ma è astuto, saggio e prudente, sa giocare con il potere, conosce le regole della diplomazia, della pace e della guerra.
Di tutto questo, però, i lettori abituali di Tex Willer ne sono già al corrente e a quanti, invece, appassionati delle sue storie non lo sono, basterà leggere anche solo metà di un albo per ottenere un profilo esauriente dell’eroe, del ranger chiamato anche Aquila della notte, lui, Tex Willer.
Meno celebrata, invece, è l’avventura che vede l’invenzione di Giovanni Luigi Bonelli e Aurelio Galleppini conquistarsi un’autonomia rispettabile all’interno di quel grande racconto immaginario che è costituito dall’epopea del West, quell’immaginario primordiale che acquista piena maturità con il cinema hollywodiano, con i grandi film western da Ombre rosse a Mezzogiorno di fuoco e con l’icona per eccellenza del genere: John Wayne. Un’epopea che in Europa è stata più disegnata che filmata, anche se fumetto e cinema western sono nati entrambi in Usa. Nel dopoguerra, in particolare, fioriscono eroi e anti-eroi della frontiera, uomini gagliardi, malinconici, grotteschi, surreali, gente come Pecos Bill, Cocco Bill, Ken Parker, Lucky Luke. Il fumetto di Bonelli, a sua volta, inizia nel lontano 30 settembre 1948 la sua lotta per l’indipendenza da quell’immaginario a stelle strisce che è stato immaginato di sana pianta, riscrivendo e sostituendosi alla storia. L’episodio è intitolato Il totem misterioso, e apre involontariamente uno squarcio nella natura intima del personaggio. Quel momento sarà l’inizio di un’avventura italiana, più fortunata di altre nel cercar fortuna andando all’Ammerica. Il cerchio lo inizierà a chiudere Sergio Leone, avvolgendo in una sana metafisica tutta la linea della frontiera, essere e tempo distesi sulla canna di un fucile. In seguito arriveranno i nuovi western made in Usa, rendendo fin troppo umani pionieri e pellerossa, arriveranno piccoli grandi uomini, quelli chiamati cavallo, soldati blu, e via di questo passo. Sarà poi il turno del texano dagli occhi di ghiaccio, Clint Eastwood, con le sue rappresentazioni della dura vita quotidiana nel Far West, anti eroica, ricca di miseria. Sull’asse Italia/Francia si intimerà di non toccare la donna bianca e via di seguito, fino alle relazioni omosessuali dei nostri tempi, portando alla luce i segreti di Brokeback Mountain, attrazioni fatali anticipate senza zavorra romantica in The Place of Dead Roads (Strade morte, Elliot, Roma, 2008) da William S. Burroughs, che, nel 1983, il western lo ha riscritto a modo suo:

“Il ragazzo avanza. Porta morbidi stivali gialli fino ai ginocchi. Un pesante revolver che Kim riconosce come la nuova Colt 45 doppia azione è alla sua cintura. Dall’altra parte in un astuccio di pelle un flauto d’argento…

Sono Carl Piper.
Sono Kim Carsons.
Voglio pomparti Kim”.
 

Tex Willer, però, si era mosso prima di tutti, aveva agito come solo lui sa fare, armato di passato, di violenza da cowboy e di visioni del domani, quando il multiculturalismo non aveva cittadinanza essendo tutti impegnati ora nella caccia all’oro, ora in quella al muso rosso, o ancora nella ricerca di percorsi ottimali per la ferrovia. Agli inizi della sua carriera, Tex Willer si scontrava non solo con la tradizione cinematografica e con gli altri eroi a fumetti, ma anche con i telefilm western, erano i tempi in cui anche in Italia andava in onda Bonanza, 430 episodi (ma la serie più lunga in assoluto è quella di Gunsmoke), il primo telefilm western a colori, saga della famiglia Cartwright di Virginia City, proprietaria di un ranch di circa 600.000 acri chiamato Ponderosa. A interpretare Ben, il capofamiglia, c’era Lorne Greene, che nel 1964 sfoderò anche un hit discografico, ben più celebre del tema dei Bonanza. Titolo: Ringo. Ne incise anche una versione francese, mentre della cover italiana se ne occupò Adriano Celentano:tex_m04

“Veloce estrassi la mia colt
lo avevo fatto altre volt
ma lui la colse proprio in pieno
rimase vuota la mia mano
di fronte a me era spianata
la sputacchiera indemoniata
ehh la sputafuoco indemoniata

(coro) Ringo – Ringo”.

Spaghetti western in musica, anzi carne in scatola western, perché il motivo venne ripreso in una serie di Carosello, per la pubblicità della carne Montana.

“…ed ora a noi due sporco fiore del fingo/eh sarebbe 'del fango' ma è per far rima con Gringo…
Lo invito alla carica lui parte in seconda/mi scanso e le corde facendo da fionda/ti fanno volare quel grosso salame/a testa all'ingiù in un bidon di catrame/così che ora sembra un nativo del Chingo/ ehm Congo, mannaggia la rima con Gringo”.

Frontiera a pezzi, regole che saltano, grande è il disordine sotto il cielo del Far West e qui che affonda le radici la vittoria di Aquila della notte. Un’ascesa inarrestabile riuscita perché Tex Willer è un ibrido, un mutante, un baccellone è un ultracorpo, sembra un ranger, ma è un navajo e viceversa, ha una marcia in più, perché presto diventa capo del popolo dei Navajos e questo garantirà alla sua gente una relativa distanza dalle nefandezze della conquista del West e a lui un’autonomia dal mood western. È più astuto dei Blues Brothers, non si mette a suonare e cantare Rhythm & Blues in un locale dedicato alla musica country. Tex Willer canta accompagnandosi con un banjo, poi, se necessario, lo frantuma sul cranio di chi ha avuto la pessima idea di pestargli i piedi. In questo modo Tex Willer ha invaso il West e con lui i suoi pard: Kit Carson, Kit Willer, Tiger Jack. Il quartetto mantiene inalterata la proporzione vincente umano/alieno, ovvero bianco/pellerossa. Carson è un bianco a tutti gli effetti, il figlio di Tex, Kit, è un meticcio, lo è in senso stretto, geneticamente, essendo di madre navajo, e Tiger è un pellerossa al 100%. 
Si può resistere ad un organismo alien, l’omonima saga cinematografica è lì a testimoniarlo, è difficile, ma si può fare. Quasi impossibile, invece, resistere al meticciato, all’ibridazione culturale, alla rivoluzione dal basso, quella realizzata da Tex Willer e i suoi, che minò in anticipo sui tempi l’egemonia dell’immaginario wasp sul West. Quello che il ranger architetta non è una negazione del genere, ma la sua elevazione all’ennesima potenza. Il West immaginario/originario divideva il mondo in bianchi buoni e bianchi cattivi, mentre gli indiani sono cattivi tout court (salvo qualche civilizzato rimbambito dall’acqua di fuoco). Tex Willer non opera che una sola e universale distinzione manichea, da un lato rapporti sinceri, franchi, rispetto degli altri, ottemperanza delle regole, onestà, bontà d’animo, cameratismo e senso della comunità, dall’altro la puntuale negazione punto per punto di questi valori. Il meccanismo funziona, altri lo hanno già dimostrato. 
Il quartetto capitanato da Tex Willer agisce come la Compagnia dell’anello, di fronte a loro una missione assoluta, senza troppe sfumature, un obiettivo solo, chiaro, trasparente, immediatamente percepibile: sconfiggere il Male: Sauron. A sua volta, anche Tex Willer incontrerà l’Assoluto negativo, il suo più temibile avversario di tutti i tempi: Mefisto, che inizia a far scendere la sua cupa ombra sin dal terzo episodio e, in fondo, il Far West del ranger Tex Willer somiglia alla Terra di Mezzo, collocato com’è in un tempo altrettanto astorico, un territorio descritto nei minimi dettagli, ma privo di coordinate temporali attendibili. Anche il quartetto Willer non è scalfito dal tempo, anzi, attraversa indomito le stagioni, trovando asilo in ranch dove albergano ricordi di avventure passate, in fortini con guarnigioni capitanate da vecchi compagni d’avventure dei quattro o in villaggi di tribù amiche. 
moebius Inoltre, una lotta simbolica come quella contro il Male, la lotta simbolica per eccellenza, deve prevedere la discesa in campo di simboli, e nella saga tolkieniana ce ne sono di più che di fagioli in una scatola. Tex Willer, a sua volta, punta forte sul quattro, numero altamente significativo per i pitagorici, un vero culto, al punto che giuravano sul quattro perché ritenevano che dell’eterna natura ne contenesse la radice e la sorgente. Anche l’anima, in seguito, fu considerata quadruplice, in quanto comprendente l’intelletto, l’intelligenza, l’opinione e la percezione, e quattro sono anche le virtù cardinali (fortezza, temperanza, giustizia e prudenza, chi ricordano?), le stagioni, gli elementi (acqua, fuoco, terra, aria), le qualità che ne discendono (caldo, umido, secco e freddo), le età dell’uomo, gli umori, ovvero sangue, bile gialla, bile nera e flegma e i conseguenti temperamenti: sanguineus, cholericus, melancholicus, phlegmaticus
Quattro sono i gloriosi moschettieri di Alexandre Dumas (padre). Il loro “uno per tutti, tutti per uno”  è regolarmente ripetuto con ritmo crescente dal ranger Tex Willer e dai suoi pard prima di scendere in campo, di entrare in scena e agire. È per darsi la carica, un po’ come la danza dei maori, la haka eseguita in stile Ka Mate dagli All Blacks, almeno così riferiscono fonti incerte.
Quattro anche i punti cardinali, i vangeli e le forze che agiscono nell’universo: gravitazionale, elettromagnetica, nucleare debole, nucleare forte. Nel secondo Novecento è anche diventato il numero per antonomasia del fare musica, grazie al famoso quartetto di Liverpool, quasi un ritorno del culto pitagorico per  le categorie tetradiche. Senza dimenticare colleghi illustri, come i Fantastic Four della Marvel.
In altre parole, la forza è con il ranger Tex Willer, quella di avere un’idea in grado di attrarre letture molteplici, abile nel tracciare percorsi e nel depistare, chiedendo al lettore di partecipare all’avventura in sintonia con il personaggio, non disorientandosi se irrompe l’imprevisto, quando c’è il colpo di scena. Le tracce ci sono, basta saperle seguire, seguendo l’esempio del ranger Tex Willer, ma qui sarebbe meglio dire Aquila della notte, che scova impronte praticamente impossibili e legge con disinvoltura i segnali di fumo, è un semiologo fine e altrettanto lo sono i suoi compagni, in particolare Tiger. Dispiega un sapere composto da fiuto, fortuna, esperienza, metodo, perspicacia, pazienza, scrupolosità. In questo modo, i quattro fanno fronte a mille pericoli, innumerevoli agguati, trappole, imboscate, uscendone sempre vivi. La morte con loro ha trovato dei pessimi clienti. Non è tutto, il quartetto deve la sua longevità anche ad un’altra intuizione geniale, quella di affidare l’originale di Galleppini a disegnatori diversi che re-interpretano con tratti originali volta per volta. Agiscono come musicisti che riprendono un tema e lo variano, o riarrangiano un motivo, oppure, rileggono uno spartito, si comportano come se dovessero suonare standard immarcescibili come Summertime, evergreen del calibro di Les feuilles mortes, o pagine celeberrimi come la beethoveniana Clair de Lune. In questo modo, Tex Willer risorge ripetutamente, ridisegnato reggae, rumba, punk, metal, barocco e rock&roll. Ancora meglio, Tex Willer è un tema da film, ma anomalo, richiede nuovi brani ogni volta per completare la colonna sonora, si può ricondurre a quel genere di film che vanno a formare nel tempo una saga o più semplicemente una serie, 007 ad esempio. Il tema di Bond ricompare ovunque, nei film dedicati all’agente segreto più famoso del mondo, ma ogni film ha il suo tema, Goldfinger (forse il più celebre) piuttosto che Diamonds Are Forever, entrambi affidati alla voce superlativa di Shirley Bassey, e ogni soundtrack ha una manciata di brani originali che volta per volta la completano. Una colonna sonora ibrida… il tema di Bond e il tema di Willer, uno cambia ripetutamente interprete (e anche regia), l’altro disegnatore (e anche sceneggiatore). 
Bond è il più lungo serial della storia del cinema, Willer tra i fumetti più longevi di sempre. Bond difende il mondo dal Male, si comporta come Tex Willer, che agisce come la Compagnia dell’anello, di fronte a loro una missione assoluta, senza troppe sfumature, un obiettivo solo, chiaro, trasparente, immediatamente percepibile: sconfiggere il Male. 
Tex Willer non dispone di tutti i marchingegni fantascientifici del suo collega britannico, ma possiede un know-how completo, potremmo dire, sull’arte della guerra, dispone e maneggia con disinvoltura qualsiasi tipo di arma disponibile ai suoi tempi. Non si può però trascurare una lodevole coincidenza, di cui è possibile prendere visione in Goldfinger, nell’armamentario di cui dispone la celebre Aston Martin DB5, tripudio di gadget su quattro ruote, messa a punto da Q, responsabile dell’ufficio ricerche del Servizio segreto britannico e anello di congiunzione, in senso darwiniano, tra i folli inventori della prima fantascienza e la Ricerca & Sviluppo industriale. Tra le diavolerie incorporate nella DB5, rimangono memorabili almeno il seggiolino del passeggero eiettabile, uno speciale scudo antiproiettile a protezione del lunotto posteriore, i paraurti corazzati, i pneumatici rinforzati e anti-sdrucciolo, i mozzi delle ruote telescopici a rostro, le mitragliatrici nei fanalini di posizione anteriori, la tripla targa ruotante, i tubi posteriori lancia-olio, il dispositivo per cortina fumogena e il radar e, dulcis in fundo, lo scomparto segreto per una Colt 45…
Potrebbe esserci un nesso tra i due, un altro legame non svelato del World Newton immaginato da Philip José Farmer, il villaggio inglese dello Yorkshire dove in seguito alle radiazioni sprigionate da un meteorite precipitatovi nel 1795, si diede inizio a un ciclo di relazioni aliene con il risultato finale di vedere imparentati Doc Savage, Tarzan, Sherlock Holmes, Sam Spade, Fu Manchu e anche James Bond.
Western, fantasy, science-fiction, spionaggio&azione: il ranger Tex Willer affronta manigoldi da quattro soldi, potenti organizzazioni criminali, eredi di civiltà precolombiane, alieni, sette, e il signore del Male, Mefisto. Cattivi senza frontiere fronteggiati da buoni senza frontiere. I generi sono opera degli uomini, gli eroi e i loro acerrimi avversari se ne infischiano, agiscono in cangianti scenari di cartapesta come il Lavalite World, altra spumeggiante invenzione farmeriana. Il metodo è il medesimo, Willer è un remix continuo, è seriale, come il dub riecheggia se stesso e ritmicamente si replica, rigenerandosi, modificando la composizione del cocktail (segno del legame con Bond?), con l’aggiunta di un pizzico di avventura, in più, aumentando la gradazione del mistero, diminuendo gli scontri cruenti, dosando azione e riflessione con precisione. 

Morale?

È uno spasso Tex Willer,
come leggere Schiller, 
non c’entra niente, 
forse come il resto, 
mannaggia,
ma è per la rima con Willer.