di Francesco Bartiromo
A chi non è capitato da ragazzini di trovare a casa
dei nonni, o di uno zio, almeno un albo di Tex, magari abbandonato su
uno scaffale polveroso, o nella cassapanca, o semplicemente sulla
scrivania dello studio?
Tex, infatti, per molti (almeno per
chi è stato adolescente nei decenni del periodo compreso tra
gli anni Cinquanta e Ottanta) ha spesso rappresentato il primo
approccio, non solo col mondo del fumetto, ma con la lettura in
generale, con il “Corriere dei piccoli” o
“Topolino”, ad esempio, una lettura quasi
immancabile nelle case degli italiani.
Per questo motivo
sentiamo di poter tranquillamente affermare che Tex è un
vero e proprio “testimone” generazionale, tale da
essere stato protagonista di un passaggio di consegne da una
generazione all’altra, dal padre al figlio, dal nonno al
nipote, al pari di altre letture popolari (come il libro Cuore
o Piccole donne, tanto per citarne alcune),
conservando intatto il suo fascino e la sua notorietà,
resistendo alle varie crisi editoriali succedutesi nell’arco
del tempo e costituendo tutt’ora una delle pubblicazioni
più floride del settore.
Tex dunque ha il pregio
d’esser riuscito a diffondere la cultura del fumetto nel
nostro paese, marciando in parallelo o aprendo la strada a molti
illustri colleghi d’oltreoceano.
Relegato
inizialmente alla sfera di prodotto sottoculturale (come
d’altra parte il fumetto in genere), è riuscito
nel tempo a non soffrire del mutamento dei consumi culturali divenendo
una pubblicazione periodica di livello superiore, passando rapidamente
dall’originario formato a “strisce” al
formato “albo”, mai utilizzato prima di allora per
la pubblicazione di un fumetto, nemmeno dagli americani della Marvel, e
affiancando alla collana principale, mensile, altri albi con
periodicità annuale di formato più grande, come
per ribadire la sua centralità nell’universo del
fumetto italiano e la sua attenzione alle aspettative del pubblico.
In
un periodo (nel secondo dopoguerra) in cui la cultura di massa nel
nostro paese cominciava a conquistare spazi sempre più ampi
all’interno del mercato editoriale e della cultura, agevolata
dall’arrivo dei prodotti “a stelle e
strisce”, specialmente nel cinema (considerato il fatto che
mentre il cinema nostrano era prevalentemente un genere
“d’autore”, nel genere “da
intrattenimento” gli americani erano i maestri indiscussi per
la centralità che la “commedia
sofisticata” condivideva ad Hollywood con gli altri generi),
Tex è stato forse il fumetto italiano di maggior successo,
una carta vincente anche sul piano internazionale, facendo in modo che
una produzione italiana potesse tranquillamente porsi alla pari con
quella straniera.
Insomma, se Hollywood faceva una strenua
concorrenza alla nostra produzione cinematografica soprattutto con la
tradizione del western, nel fumetto primeggiava l’Italia
proprio grazie a Tex, pur se questo doveva comunque fare i conti con
“supercolleghi” come Spiderman, Batman, Flash,
Nembo Kid (il primo nome di Superman in Italia), tutti, fra
l’altro, eroi mascherati, che hanno bisogno di occultare la
loro “altra identità”: Tex no,
è senza maschera, è trasparente, è
“uno solo”, mostra le sue emozioni, rafforzando i
processi di identificazione del lettore, e il realismo del suo
personaggio.
Tex fece da cerniera, insomma, fra l’immaginario
italiano anteguerra, quello di Saturno contro la Terra,
di Nick Fulmine, dei personaggi di Emilio Salgari,
con quello dell’Italia avviata verso la modernizzazione,
nutrita dall’immaginario americano.
E
riuscì perfettamente in questa opera di traghettamento e
mediazione, tanto da avere il merito di anticipare nel genere western,
pur attraverso il fumetto, il “revisionismo”
cinematografico del genere, prima del quale gli indiani erano visti
come goffe figure selvagge e primitive perennemente ostili verso gli
“eroici” pionieri della frontiera, dimostrando una
profonda attenzione ai cambiamenti della sensibilità sociale
nei confronti delle culture “altre”, della Storia
“ufficiale”, delle divisioni troppo
manichee.
Infatti Tex, ancor prima di qualsiasi
pellicola cinematografica, ci regala un punto di vista completamente
differente sulla figura del nativo americano, mostrandoci una
comunità indiana caratterizzata da una complessa cultura e
organizzazione comunitaria fatta di indiani leali, onesti e fieri
guerrieri molto raffinati nell’arte della guerra, nonostante
lo svantaggio insuperabile nel possesso delle tecnologie militari.
Tutti
i lettori sanno bene che lo stesso Tex Willer, oltre che membro del
corpo dei rangers, è anche il capo supremo della
tribù degli indiani navajos, titolo ereditato dal padre
della sua sposa, una donna navajo appunto che altri non era che proprio
la figlia del capo clan in questione. E proprio questo episodio ha
fatto si che presso la comunità indiana Tex venisse
conosciuto col nome di Aquila della notte.
Ricordiamo che
anche uno dei suoi più fedeli compagni di avventura, che si
affianca al mitico ranger Kit Karson, è proprio un indiano
navajo: Tiger Jack, fiero guerriero e fratello di sangue di Tex.
Probabilmente il primo caso in cui la figura di un nativo americano
ricopre un ruolo da protagonista in una storia western.
Ancora,
è riuscito a tenere il passo con l’uscita
progressiva dall’infanzia e dalla
ingenuità del medium fumetto, con l’arricchirsi e
il consolidarsi delle sceneggiature e delle trame delle vicende di cui
è protagonista, accompagnando così nella loro
crescita i suoi primi lettori, e presentandosi ai loro
“eredi” in forme sempre più raffinate e
credibili, in un “passaggio di consegne” che
è una delle dimostrazioni della sua forza come pilastro
dell’immaginario italiano.
Effettivamente
ciò che ha sempre contraddistinto Tex da molti altri eroi
del fumetto, decretando probabilmente il suo successo sui concorrenti
americani, è proprio la sua
“modernità”, che emerge sì
nella gestione del suo rapporto coi “pellerossa” ma
anche nella rappresentazione dei suoi avversari e dei suoi tanti
interlocutori, alleati o scettici: i militari, gli altri uomini di
legge, i burocrati…
La diversità dai
“supercolleghi” d’oltreoceano sta nel suo
essere un eroe realistico: non ha superpoteri, ma risulta ugualmente
invincibile.
Insomma una sorta di “super
eroe” di cui le doti principali sono proprio quelle
più “umane”: coraggio, onestà
e lealtà tutte concentrate nel volto di un uomo del west,
disincantato quanto basta nei confronti degli uomini, intrepido
cavaliere senza macchia quanto è necessario, che con
espressione fiera e malinconica proietta il suo sguardo verso
l’orizzonte sempre pronto ad affrontare la prossima sfida che
gli riserverà il destino.