ROBERT HEINLEIN, L’UOMO CHE VENDETTE LA LUNA E IL SUO DOPPIO di Roberto Paura |
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Q uando Robert Heinlein
cominciò a scrivere fantascienza, diversi
scrittori del genere si erano già spinti molto in
là: ambientavano le
loro storie su altri mondi, da Marte in su, fino a immaginare vere e
proprie crociere stellari tra galassie sconosciute, come in Il
distruttore nero (Black Destroyer,
1939) di A.E. Van Vogt, del 1939, racconto che per molti critici
dà il
via all’età d’oro della fantascienza e
che nel 1950 costituirà il primo capitolo della fortunata antologia Crociera nell’infinito.
Ma la nuova idea di Harriman questa volta è ben più ambiziosa delle precedenti e non è nemmeno tanto nuova: ognuno, alla Harriman Corporation, conosce il pallino del capo, quello di mettere piede sulla Luna. Ma per arrivare a quell’ambizioso traguardo, a cui nessuno veramente crede fino in fondo, Harriman sa di dover sacrificare la visionarietà e l’ingenuità e affrontare la sfida con le sue armi, quelle del crudo e cinico capitalismo. È quindi quasi un paradosso quello narrato in L’uomo che vendette la Luna: da una parte l’obiettivo visionario e, appunto, fantascientifico; dall’altro la strada per arrivare a quella meta, una strada fatta di concretezza e realismo. Sulla base di questa dicotomia va letta la differenza tra le due storie e la differenza tra le diverse parti di ciascuna storia. Innanzitutto, mentre Requiem si fonda tutto sul sogno e sull’immaginazione – buona parte del racconto si basa sui ricordi del passato di Harriman, che ricostruiscono le origini del proposito fanciullesco di ‘toccare’ la Luna – il suo prequel, L’uomo che vendette la Luna, è fondato tutto sulla concretezza e non c’è quasi spazio per fantasie e utopie. Ma andando a osservare la struttura di ciascun racconto si nota che il dualismo immaginazione/concretezza costituisce l’essenza stessa di questa “doppia storia” di Heinlein. |
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