Prendiamo innanzitutto in considerazione L’uomo che vendette la Luna (1987,
pagg. 129-236). Il racconto inizia con l’affermazione che D.D. Harriman
rivolge al suo collega George Strong: “Eppure finirai col crederci
anche tu!”. Harriman si riferisce alla sua convinzione che l’uomo possa
giungere sulla Luna. Non solo per lo scettico Strong, ma anche per il
visionario Harriman, la possibilità è una semplice “credenza” priva di
vere basi scientifiche. Ecco quindi che il racconto si apre con il tema
dominante dell’immaginazione. Harriman cerca di convincere il collega e
poi i soci della sua compagnia discutendo innanzitutto del suo sogno;
ma si rende presto conto che quel sogno, come tale, non è spendibile
sulla base della semplice immaginazione. Non basta più un cannone per
spedire tre uomini sulla Luna, sono necessari i soldi. E poiché il
governo per questo progetto non li vuol spendere, Harriman decide di
fare da solo. La Luna diventa così il più grande affare della Storia:
per convincere i suoi soci, Harriman usa le sue armi migliori, quelle
del capitalismo. “Il prezzo della Luna è di 30 miliardi di dollari”,
conclude dopo un breve calcolo di fronte a uno stupefatto consiglio
d’amministrazione. Ora la Luna non è più solo una chimera per lunatici,
ma una realtà che si può toccare e soprattutto quantificare.
Nella storia comincia adesso a dominare il tema della concretezza:
Harriman si getta anima e corpo nelle complesse operazioni legali per
acquisire i diritti di sfruttamento del suolo lunare, per ottenere i
fondi necessari alla costruzione del razzo spaziale, per rendere
concreta l’impresa immaginata. Viene meno il fattore idealistico, si
introduce quello realistico. Quando tutto è ormai pronto e il razzo è
puntato verso la Luna, quando il sogno è a un passo dall’avverarsi,
subentra nuovamente il tema dell’immaginario. Harriman vagheggia della
sua possibilità di diventare il primo sindaco di Luna City (“… è così
che l’ho sempre chiamata nei miei sogni”, dice riferendosi alla futura
capitale del satellite), immagina il momento in cui metterà piede sulla
Luna “e al diavolo le preoccupazioni sui raggi cosmici”. Nulla può
fermarlo. Ma inevitabilmente deve fare i conti con la realtà: il razzo,
a differenza di quello di Verne che per Harriman (e naturalmente per
Heinlein) è l’implicito modello, non può ospitare tre viaggiatori.
Ne
partirà uno solo: e nonostante lo sforzo per perorare la propria causa,
nonostante egli sia il magnate che ha reso possibile l’avvenimento,
Harriman è messo da parte. Non sarà lui il primo uomo sulla Luna. Cerca
di consolarsi con la convinzione che sarà il secondo, nel viaggio
successivo, quando sarà instaurata la prima linea stabile Terra-Luna.
Eppure, non sarà così. I soci non lo faranno mai partire perché
Harriman è troppo importante: venendo meno lui l’intero baraccone che
ha sorretto l’impresa verrebbe meno. Al termine del racconto è dunque
la concretezza, il freddo realismo che ha la meglio sull’immaginazione
e la visionarietà. Il sogno si è avverato, ma non per Harriman. I mezzi
che egli cinicamente ha utilizzato, violando anche i suoi più fermi
principi pur di conseguire la propria meta, gli si sono ritorti contro.
La storia termina con Harriman che “abbassa gli occhi dal cielo”, dalla
sua irraggiungibile meta, e sbotta: “Ancora qui, ragazzi? Andiamo, c’è
del lavoro da fare!”. Dunque, il continuum tematico de L’uomo che vendette la Luna è: immaginazione – concretezza – immaginazione – concretezza. Prendiamo adesso in considerazione Requiem
(1987, pagg. 277-296). Qui il continuum è del tutto rovesciato.
Ritroviamo Harriman, invecchiato e ormai disilluso: non è mai riuscito
a realizzare il suo sogno e si accontenta di commuoversi davanti a un
vecchio modello di razzo Terra-Luna. Cerca di convincere il pilota del
razzo a fargli fare un giro sub-orbitale, ma è rassegnato quando si
scontra con le regole burocratiche che, dopo un breve check-up, gli
impongono di restare coi piedi per terra a causa della sua debolezza
fisica. Poco dopo subentra il tema dominante, quello
dell’immaginazione. Harriman convince il pilota e un suo collega a
cimentarsi nell’impresa di costruire in proprio, in una zona isolata,
un razzo lunare e partire insieme per raggiungere il satellite
ignorando tutte le leggi e le regole al riguardo. Per farlo, ricorre
nuovamente alla sua unica arma: il denaro. Ma questa volta ai dettagli
tecnici, agli affannosi piccoli espedienti su cui ci si dilungava nel
precedente racconto, Heinlein preferisce i sogni e i ricordi del
vecchio Harriman. |