Un viaggiatore al Collége
de France: Claude Lévi-Strauss di Amato Lamberti | ||
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laude Lévi-Strauss fra la fine degli anni Sessanta
e gli inizi
degli anni Settanta, in Francia, o, per meglio dire, a Parigi, tra gli
intellettuali e gli studenti delle Università parigine era
già una
specie di mostro sacro, un autore di cui era obbligatorio conoscere la
vita, le opere principali e aver letto almeno i libri che lo avevano
reso famoso anche presso il grande pubblico, Tristi Tropici
e Il pensiero selvaggio: il primo, un racconto di
viaggio che si inseriva in una lunga tradizione francese, basti pensare
alle Lettere persiane
di Charles-Louis de Montesquieu, e che raccontava dei suoi viaggi di
etnologo in Brasile, presso comunità, come i Nambikwara; il
secondo,
uno sguardo eccentrico che dona l'occasione di una visita nel
sottosuolo inquietante del pensiero, dove il progetto
d'universalità
della filosofia occidentale appare come
“ideologia”, pratica
antropofagica di una coscienza singola o di una certa cultura.
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