TARZAN DELLE SCIMMIE, O DELL’IMPOSSIBILE SELVAGGIO
di Sergio Brancato Correva l’ottobre del 1912 quando apparve a puntate, sulle pagine del pulp-magazine The All-Story, il primo romanzo del ciclo di Tarzan of the Apes, poi raccolto in volume nel 1914 (inaugurando una serie che avrebbe registrato 25 romanzi basati sulle gesta del lord selvaggio). In virtù dei meccanismi di sedimentazione tipici della prima serialità, il romanzo cominciò ad avere successo con gli episodi della prima metà dell’anno successivo, quando il plot e l’originalità della situazione narrativa, accompagnata da un corredo di immagini ancora ridotto ma già potentemente evocativo, colpì intimamente il pubblico di massa dei lettori. Quello che abbiamo sin qui citato costituisce un arco di date assai interessante dal punto di vista dei processi simbolici che concorreranno a determinare il profilo del Novecento. Ad esempio, il 1912 è l’anno in cui affonda il Titanic, ovvero il momento in cui si istituisce in tutta “evidenza” la cifra catastrofica – fondata sul conflitto tra tecnica, lusso e classi sociali – del secolo breve. Il 1914 è invece l’anno in cui si innesca la deflagrante crisi di crescenza del capitale costituita dalla Grande Guerra. In altri termini, il nuovo secolo si presenta ad una umanità culturalmente ancora collocata nell’orizzonte ideologico dell’Ottocento palesando uno straordinario quanto critico potenziale di innovazione. Tarzan fa parte di questo processo, ed il motivo per cui il personaggio di Edgar Rice Burroughs diventerà una delle icone più rappresentative del secolo XX risiede esattamente nella sua capacità di rappresentarne le dinamiche più profonde. Soprattutto, Tarzan funziona non solo e non tanto nelle produzioni letterarie di massa in cui nasce, quanto nei corollari figurativi e nelle mediatizzazioni attraverso cui viene tradotto su piani di visibilità collettiva sempre più spinti. È nelle immagini dell’industria culturale che la creatura di Burroughs si afferma radicalmente nei nuovi consumi, confermando in maniera paradigmatica la pregnante riemergenza del Mito nella costruzione della realtà sociale e nei suoi fondativi processi di comunicazione. Del resto, che Tarzan nasca dalla riattualizzazione consapevole del corpus mitologico viene ammesso dallo stesso autore, il quale riconosce di essersi ispirato – come il Kipling dei due libri della giungla – alle figure di Romolo e Remo, dunque a uno dei miti “fondativi” dell’Occidente in cui si rispecchia la stessa modernità industriale. Dal punto di vista morfologico, quindi, Tarzan è davvero un eroe del nostro tempo (o del tempo di piena affermazione delle culture industriali) poiché sintetizza nel proprio corpo e mette in scena nei propri racconti la natura dei conflitti in atto nell’orizzonte del Moderno. |
|
| versione per la stampa | | (1) [2] [3] [4] |