L'uomo cartesiano, la natura bizzarra e il topolino di Thorndike |
di Livio Santoro | |
Il primo ad aver sistematizzato questa rinnovata unione
è stato il rigido fenomenologo austro-tedesco Edmund
Husserl, e lo ha fatto proprio partendo dalla natura corporea
dell’essere umano. In breve egli sosteneva che continuare a
pensare anima e corpo nei desueti termini cartesiani di res
cogitans e res extensa non faceva altro
che imporre una separazione inaccettabile, per l’uomo e per
la natura stessa. Motivo per cui propose una nuova definizione di
corpo, non più soltanto considerato come Körper,
che poi significa corpo organico, bensì considerato come Leib,
ossia corpo vivente (questo è chiaro riflettendo anche sul
fatto che la radice del termine Leib, nella
ricchissima lingua tedesca, ha la medesima origine del termine Leben,
che invece vuol dire vita). Nel Leib
c’è quello che c’era nella res
cogitans ed in quella extensa,
c’è la natura corporea dell’uomo, dunque
il suo specifico organismo, e c’è la sua natura
psichica, dunque la sua soggettività. Husserl non ha fatto
altro che riunificare ciò che Cartesio aveva separato,
annullando un divorzio forse troppo affrettato. E questo accorgimento
porta con sé un’altra importante ammissione ossia
che se prima, con Cartesio, esistevano dei termini escludentisi quali
anima e corpo, uomo e natura, adesso non è più il
caso di parlare in questa maniera oppositiva. L’uomo
è uomo, è corpo vivente, cioè sintesi
di organismo e spirito. E questo vuol dire che l’uomo
così inteso partecipa di un mondo che esiste nella natura
relazionale della condivisione, dell’essere-con,
dirà lo stesso Husserl. E questo succede dalla parte
dell’uomo. Ecco che, tornando adesso sui nostri passi, incontriamo nuovamente il piccolo topolino di Thorndike, e la mano chiaramente divertita e segretamente crudele dello sperimentatore in camice bianco. Allo stesso modo incontriamo quell’uomo inebetito che vuole testardamente assomigliare al roditore da laboratorio, non rendendosi conto che la natura (come tuttavia dovrebbe essere valido per l’uomo stesso) è quantomeno bizzarra. Quell’uomo credeva di poter avere mordente sulla natura, tanto che la considerava come un sistema riassumibile in poche leggi dal risultato sempre uguale, un risultato tanto pervasivo da affascinare anche l’uomo stesso, nella considerazione della propria umanità, della propria soggettività. Ma così, ovviamente, non è stato. Nessuno è riuscito ad avere gioco facile con l’uomo, e lo stesso si può dire per la natura, per il nostro ambiente. Come per il nostro contemporaneo e spaesato topolino che non riesce più a destreggiarsi per una sola, immediata ricompensa attraverso le macerie del suo labirinto, lo stesso si può dire per quel che riguarda l’uomo, impegnato ancora a cercare le singole e minime ricompense per se stesso come singolo, come individuo separato dal resto, in un gioco oppositivo costantemente mirato al ribasso. Sarebbe la medesima cosa dire che le difficoltà incontrate a Kyoto (e soprattutto dopo Kyoto) sono le stesse di cui stiamo parlando? Sarebbe la medesima cosa evidenziare le difficoltà che il singolo (o la singola nazione, certo) ha nel percepire il valore delle ricompense? Magari potrebbe imparare dal topolino di Thorndike quest’uomo spaesato, o magari potrebbe aspettare che la mano del suo aguzzino lo aiuti a rialzarsi, a rimettere in piedi il suo mondo-labirinto. Ma è stato anche detto, in questa sede, che è proprio l’uomo ad essere aguzzino di se stesso, dunque questo proprio non sarebbe possibile, a meno di affidarsi all’imprevedibilità di quella natura arrabbiata che fa da sfondo alla vita quotidiana di miliardi di individui. E magari questa stessa natura potrebbe, chissà, decidere inaspettatamente di essere d’accordo con l’individualizzazione delle ricompense, e contribuire anch’essa a questo gioco crudele rilanciando sempre di più sulle risorse in campo, inventando nuove storie ed edificando nuovi labirinti da offrire all’uomo. Ma forse questa è veramente fantasia, è veramente immaginazione. E sì che proprio l’immaginazione testimonia della bizzarria dell’uomo, un essere tanto bizzarro da non sentir dolore al crollo delle macerie sulla propria testa. | ||
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