Il primo ad aver sistematizzato questa rinnovata unione
è stato il rigido fenomenologo austro-tedesco Edmund
Husserl, e lo ha fatto proprio partendo dalla natura corporea
dell’essere umano. In breve egli sosteneva che continuare a
pensare anima e corpo nei desueti termini cartesiani di res
cogitans e res extensa non faceva altro
che imporre una separazione inaccettabile, per l’uomo e per
la natura stessa. Motivo per cui propose una nuova definizione di
corpo, non più soltanto considerato come Körper,
che poi significa corpo organico, bensì considerato come Leib,
ossia corpo vivente (questo è chiaro riflettendo anche sul
fatto che la radice del termine Leib, nella
ricchissima lingua tedesca, ha la medesima origine del termine Leben,
che invece vuol dire vita). Nel Leib
c’è quello che c’era nella res
cogitans ed in quella extensa,
c’è la natura corporea dell’uomo, dunque
il suo specifico organismo, e c’è la sua natura
psichica, dunque la sua soggettività. Husserl non ha fatto
altro che riunificare ciò che Cartesio aveva separato,
annullando un divorzio forse troppo affrettato. E questo accorgimento
porta con sé un’altra importante ammissione ossia
che se prima, con Cartesio, esistevano dei termini escludentisi quali
anima e corpo, uomo e natura, adesso non è più il
caso di parlare in questa maniera oppositiva. L’uomo
è uomo, è corpo vivente, cioè sintesi
di organismo e spirito. E questo vuol dire che l’uomo
così inteso partecipa di un mondo che esiste nella natura
relazionale della condivisione, dell’essere-con,
dirà lo stesso Husserl. E questo succede dalla parte
dell’uomo. Ma dalla parte della natura, invece, che
cosa succede? Anche la natura, sebbene con altre modalità,
si ribella alla fossilizzazione cartesiana e dichiara,
incontrovertibilmente, che essa non segue, né vuole seguire,
leggi e schemi certi e sempre uguali a se stessi. Anche la natura si
può divertire ad essere imprevedibile. Se è vero
che l’uomo è oramai libero dalle ristrettezze di
quattrocento anni di pensiero, ebbene anche la natura rivendica la sua
indipendenza dichiarando che, se vuole, sa essere caotica ed
indeterminata come nessun uomo saprebbe essere. E le teorie del caos,
la meravigliosa inspiegabilità di cui parlano quei frattali
che sono i fiocchi di neve, l’indeterminazione subatomica di
Werner Karl Heisenberg, la classica relatività di Albert
Einstein non fanno altro che rivendicare il diritto di
autodeterminazione di una natura che non è mai stata
così arrabbiata con l’uomo. E sì che la
rabbia è proprio uno degli elementi costitutivi
dell’essere umano. Dunque che la natura abbia un proprio
pensiero? Questa forse è una concessione troppo elevata
anche per Pindaro, tuttavia la natura è certamente
più umana di quanto la pensassero gli apologeti, consapevoli
ed inconsapevoli, del vecchio Cartesio.
Ecco che, tornando
adesso sui nostri passi, incontriamo nuovamente il piccolo topolino di
Thorndike, e la mano chiaramente divertita e segretamente crudele dello
sperimentatore in camice bianco. Allo stesso modo incontriamo
quell’uomo inebetito che vuole testardamente assomigliare al
roditore da laboratorio, non rendendosi conto che la natura (come
tuttavia dovrebbe essere valido per l’uomo stesso)
è quantomeno bizzarra. Quell’uomo credeva di poter
avere mordente sulla natura, tanto che la considerava come un sistema
riassumibile in poche leggi dal risultato sempre uguale, un risultato
tanto pervasivo da affascinare anche l’uomo stesso, nella
considerazione della propria umanità, della propria
soggettività. Ma così, ovviamente, non
è stato. Nessuno è riuscito ad avere gioco facile
con l’uomo, e lo stesso si può dire per la natura,
per il nostro ambiente. Come per il nostro contemporaneo e spaesato
topolino che non riesce più a destreggiarsi per una sola,
immediata ricompensa attraverso le macerie del suo labirinto, lo stesso
si può dire per quel che riguarda l’uomo,
impegnato ancora a cercare le singole e minime ricompense per se stesso
come singolo, come individuo separato dal resto, in un gioco oppositivo
costantemente mirato al ribasso. Sarebbe la medesima cosa dire che le
difficoltà incontrate a Kyoto (e soprattutto dopo Kyoto)
sono le stesse di cui stiamo parlando? Sarebbe la medesima cosa
evidenziare le difficoltà che il singolo (o la singola
nazione, certo) ha nel percepire il valore delle ricompense? Magari
potrebbe imparare dal topolino di Thorndike quest’uomo
spaesato, o magari potrebbe aspettare che la mano del suo aguzzino lo
aiuti a rialzarsi, a rimettere in piedi il suo mondo-labirinto. Ma
è stato anche detto, in questa sede, che è
proprio l’uomo ad essere aguzzino di se stesso, dunque questo
proprio non sarebbe possibile, a meno di affidarsi
all’imprevedibilità di quella natura arrabbiata
che fa da sfondo alla vita quotidiana di miliardi di individui. E
magari questa stessa natura potrebbe, chissà, decidere
inaspettatamente di essere d’accordo con
l’individualizzazione delle ricompense, e contribuire
anch’essa a questo gioco crudele rilanciando sempre di
più sulle risorse in campo, inventando nuove storie ed
edificando nuovi labirinti da offrire all’uomo. Ma forse
questa è veramente fantasia, è veramente
immaginazione. E sì che proprio l’immaginazione
testimonia della bizzarria dell’uomo, un essere tanto
bizzarro da non sentir dolore al crollo delle macerie sulla propria
testa.
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