Come ogni mito, e in
barba a qualunque istanza moderna di controllo sulla produzione
intellettuale, Tarzan non ha un solo autore. Anzi, ne ha molti:
disegnatori, sceneggiatori, registi, attori, web-designer. Tra questi
figura senz’altro Clinton Pettee, l’illustratore
popolare che realizzò per The All-Story
la prima copertina dedicata a Tarzan, in cui si vede il Figlio della
Giungla aggrapparsi alla schiena di un leone inferocito per pugnalarlo.
Il suo corpo è seminascosto dalla vegetazione, ma ne
intuiamo la quasi nudità, resa un po’ incongrua da
una sottile fascia che gli tiene fermi i capelli. L’immagine
desta ancor oggi una certa impressione di violenza ferina, e rivela il
carattere del rapporto che si determina fin dall’inizio tra
il personaggio e il suo pubblico: Tarzan è sospeso, fin
dagli esordi sulla scena dell’immaginario, sulla soglia
sottile e ambigua tra natura e cultura, corpo dell’uomo
ferale e tecnica metallurgica, sopravvivenza ed estetica. Per
la sua creazione, Burroughs si era ispirato – oltre che alle
sostanze onnipresenti del mito – alla letteratura
sull’Africa, in specie quella realizzata dagli esploratori
del secolo XIX. In un’intervista, egli paga un tributo di
riconoscenza soprattutto a Henry M. Stanley, il giornalista gallese che
nel 1870 esplorò il continente nero alla ricerca di David
Livingstone, e che con il suo memoriale In darkest Africa
lo influenzò molto attraverso le vivide descrizioni di
umanità e luoghi. Su di lui, oltre che su artisti come
Pettee o J. Allen St. John (che metterà in immagine tutta la
prima fase editoriale della creatura burroughsiana, anticipando le
successive estetiche del fumetto da Foster a Hogart), tuttavia, dovette
agire anche il corpo crescente degli atlanti illustrati e di tutte
quelle opere che tendevano, nel passaggio tra Ottocento e Novecento, a
rendere visibile il mondo tradizionalmente interdetto dell’altrove.
Un po’ come era accaduto a Salgari, altro celebre riciclatore
di atlanti e manuali di antropologia, i nuovi oggetti della
comunicazione implementavano lo spettro mediatico di riferimento e
rendevano possibile produrre scatti radicali nei processi
dell’immaginazione collettiva. Di questa dinamica generale,
Tarzan è uno degli effetti più significativi e
duraturi. Immaginare una mitica condizione di esistenza
pre-umana è l’obiettivo che si pongono Burroughs
ed i suoi epigoni, gli autori che all’interno di diversi
media e linguaggi hanno prodotto la lunga serialità
dell’epica tarzaniana.
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