Dall’epica all’estetica il passo è
breve, e conduce dall’illustrazione popolare
all’emergere della più efficace forma narrativa
d’inizio secolo. Nel cinema, Tarzan arriva piuttosto presto,
favorito dalla straordinaria risposta del pubblico ai suoi romanzi e
alla sua iconografia, che – come detto – riprende,
attualizza e traduce in chiave drammaturgica i moderni repertori
dell’illustrazione scientifica. Nel 1918, il caratterista
Elmo Lincoln fornisce il proprio massiccio corpo da uomo-forte (simile
a quelli degli uomini-forti del cinema muto italiano, i Maciste
proletari interpretati dallo scaricatore di porto Bartolomeo Pagano) al
Figlio della Giungla. Acconciato in modo da assomigliare alle
illustrazioni di Clinton Pettee e J. Allen St. John, che in qualche
misura avevano fornito un solido parametro visivo al ritorno
dell’uomo naturale, Lincoln sarà protagonista di
due lungometraggi e di un serial cinematografico, The
Adventures of Tarzan, del 1921. Questi film seguono a grandi
linee il plot delle prime avventure dell’Uomo Scimmia, ma
svaniscono presto dalla memoria collettiva, sostituite – in
virtù dell’evoluzione del cinema verso una
superiore spettacolarità e con la conquista del sonoro nel
1927 – da più forti e durature strutture
divistiche, a partire da quella legata all’aura olimpionica
di Johnny Weissmuller. Prima di affrontare la fase nevralgica
che lega Tarzan all’industria culturale ormai definitivamente
compiuta degli anni Trenta, occorre tuttavia affrontare uno snodo
intermedio, quello legato alla nascita del fumetto naturalistico. Fin
dalla sua definizione di campo, avvenuta per gli storici di settore nel
1895 o ’96, il medium disegnato si era legato a un solo
genere, quello “comico”, che l’aveva
caratterizzato fino a “nominarlo”. I comics,
quindi, saranno a lungo il codice ibrido tra scrittura e immagine
caricaturale o buffa, destinati a raccontare divertenti storielle
rivolte (ma solo in apparenza) a un pubblico di fanciulli. A partire
dal 1929, tuttavia, nel medium-fumetto fanno irruzione altri generi, la
fantascienza di Buck Rogers e l’avventura
(tesa verso il fantastico) di Tarzan. Ispirato
all’ormai acquisita mitologia moderna di Burroughs e
disegnato da Hal Foster, la rimediazione a fumetti di Tarzan evidenzia
un nuovo assetto del sistema dei media, sempre più
proiettato verso una moltiplicazione delle tecnologie e delle culture
della comunicazione. L’assunzione di un codice figurativo
naturalistico amplia il campo narrativo e l’estensione del
pubblico dei comics, ormai aperto alle dinamiche
dell’intermedialità e alla definizione di nuovi
immaginari, più adeguati ai caratteri epocali del Novecento. Tarzan
non esibisce soltanto una rinnovata tensione erotica nei riguardi di un
corpo che si riconfigura e attrezza per adeguarsi a una nuova
condizione esistenziale dei media, ma integra all’interno
delle pratiche dell’immaginario un’idea di
“indeterminatezza” legata ai limiti stessi del
corpo biologico; limiti che, attraverso il ritorno ai codici figurativi
delle culture totemiche, fanno emergere il tema assai più
attuale del benjaminiano sex-appeal dell’inorganico.
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