John Carpenter è, da
sempre, un regista anomalo, un corpo estraneo, in un panorama (quello
hollywoodiano) in continua mutazione; un filmaker anarchico, solitario,
“bombarolo”, culturalmente e storicamente lontano
dalla logica degli studios e proprio per questo motivo marginalizzato
da un mondo oramai allergico agli autori “scomodi”.
A un industria cinematografica sempre più abituata
all’utilizzo di registi provenienti dalla
pubblicità e dal video musicale (shooters), interessati solo
a girare, un personaggio come Carpenter non interessa affatto, con il
suo essere assolutamente contrario alle interferenze e al controllo dei
produttori. Eppure, dando una rapida occhiata alla sua nutrita
filmografia, non si può fare a meno di notare come questo
grande regista abbia segnato profondamente la storia del cinema
contemporaneo, diventando autore di culto soprattutto in Europa, dove
la critica – da sempre attratta dal cinema di genere
d’oltreoceano – ha saputo valutare con grande
lucidità tutto il valore delle sue produzioni. Un cinema, in
sostanza, lontano dai compromessi e costruito grazie a una profonda
cultura cinematografica formata, in primis, sui classici americani. Ed
è all’interno dei solidi canoni del cinema di
genere che Carpenter ha deciso di costruire la sua personalissima idea
di società. Figlio di un musicista – che aveva
collaborato con personaggi del calibro di Roy Orbison, Frank Sinatra e
Elvis Presley – Carpenter mostra sin da bambino un vivo
interesse per i fumetti (Tales from the Crypt, Weird
Science), la letteratura (Edgar Allan Poe, M. R. James,
Arthur Machen e soprattutto Howard. P. Lovecraft) e il cinema.
All’università studia tutti i classici, compresi
il neorealismo italiano e l’espressionismo tedesco,
dimostrando una certa propensione al cinema di genere e orientando il
suo interesse alle produzioni di serie B (Roger Corman, Norman Taurog,
Edward L. Cahn, Russ Meyer, Inoshiro Honda). I primi approcci con il
grande schermo vedono un Carpenter bambino di appena cinque anni,
assistere con la madre alla proiezione del film 3 D
– Destinazione Terra di Jack Arnold. Secondo le
stesse parole del regista quella fantastica esperienza
segnerà profondamente la sua infanzia indirizzandolo verso
la carriera di regista. Alle radici del suo immaginario ci sono i
grandi nomi del cinema americano: Howard Hawks, Sam Peckinpah, Don
Siegel ma anche influenze geograficamente e culturalmente lontane come
i nostri Mario Bava e Sergio Leone. Carpenter ama muoversi con budget
ridotti, libero da imposizioni, con collaboratori fidati (Debra Hill,
Dean Cundey, Gary B. Kibbe, Tommy Lee Wallace), affidandosi
più che alle disponibilità economiche alla
creatività e alla passione nel progetto. In queste
condizioni ideali il regista riesce a dare il meglio di sé.
La forza del suo cinema risiede nella grande capacità di
costruire inquadrature assolutamente moderne attraverso il vocabolario
stilistico del cinema classico.
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