Essi vivono, noi dormiamo: il cinema politico di John Carpenter | di Nicola Bassano | |
Ne sono prova le sequenze riuscitissime della baraccopoli, vero e proprio girone infernale dove gli esclusi passano il proprio tempo a riscaldarsi alla luce del televisore. In questi ultimi mesi si vocifera di un possibile remake del film (cosa già successa, con risultati peraltro scadenti, con The Fog – 1980), tanto che i diritti sarebbero già stati comprati dai produttori Marc Abraham e Eric Newman della Strike Entertainment. Sia 1997: Fuga da New York (Escape from New York – 1981) che Fuga da Los Angeles (Escape from L.A. – 1996) esprimono alla perfezione l’idea di fallimento e deriva della società capitalistica. Soprattutto in Fuga da Los Angeles, Carpenter prende una posizione netta e precisa sul problema del totalitarismo descrivendo una società annientata dall’abuso di potere, dove la diseguaglianza, la povertà e la violenza regnano sovrane. Il regista arriva a profetizzare la necessità di un azzeramento della società per ripartire con un nuovo spirito e ideali rigenerati. Il nichilismo di Carpenter si esprime in tutta la sua potenza nel finale in cui l’eroe protagonista Kurt “Jena – Snake” Russell si prende la responsabilità di “spegnere” la società moderna per tornare nostalgicamente al passato. L’intelligente ironia con cui il regista affronta le due pellicole non smorza assolutamente la forza del messaggio. La rivoluzione che Carpenter profetizza non è fatta dai guerriglieri da poster (come il clone del Che “Cuervo” Jones), né dall’idealismo borghese di “Utopia” la figlia del presidente. Snake è un eroe classico, chiamato dal regista a ristabilire la sua legge e il suo ordine. Il suo vero e unico nemico è il capitalismo e l’unico modo per distruggerlo è tornare al passato, salvando “l’Utopia” e restituendo significato alla parola speranza. L’eroe carpenteriano si caratterizza in quasi tutte le pellicole per una spregiudicata avversione al potere costituito. È mosso da ideali giusti e in virtù di questi agisce senza, tuttavia, lasciarsi comprare o corrompere; è un eroe tragicamente destinato a lottare per difendere i più deboli essendo egli stesso emarginato dalla classe dominante. Sia che debba combattere contro fantasmi posseduti (Ice Cube e Natasha Henstridge in Fantasmi su Marte – Ghosts of Mars, 2001), sia che debba affrontare vampiri sanguinari (James Woods in Vampires – 1997), sia che debba salvarsi la pelle dagli attacchi di una forma di vita aliena (Kurt Russell in La cosa – The Thing, 1982), l’eroe è consapevole del destino che lo attende, sia esso l’esilio o la morte. Irridere il potere diventa per il regista una necessità assoluta, che nasconde nella propria coerenza una forza politica straordinaria. L’unico vero scopo del potere è quello di costruire prigioni, di dividere i buoni dai cattivi, i ricchi dai poveri. Prigioni che assumono sembianze strane e terrificanti come una fitta nebbia abitata da fantasmi (The Fog), una macchina assassina, simbolo del modello di vita americano (Christine – 1983), un villaggio maledetto dal quale non si può uscire (In the Mouth of Madness – Il seme della follia, 1994). Insomma, il filo rosso che percorre tutto il cinema di Carpenter è un odio viscerale per il lato più selvaggio del capitalismo, quello che costringe i deboli a farsi da parte, abbassando gli occhi e restando in silenzio. Carpenter alza la voce contro la politica ghettizzante della società americana e lo fa irridendo i suoi simboli e le sue fragili certezze. | ||
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