Un numero speciale, una donna fuori dal comune e una dozzina di cartoline


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  [BARCELLONA]
di
Livio Santoro


Ecco che questi stessi spazi diventano allora il riferimento di chi cammina, si pongono ad interloquire con il passante, lo accolgono e lo rendono animale interrogativo. A questo, forse, serve il modernismo.
Gaudì, il padre del modernismo catalano ha fatto di questa storia la sua vocazione, fin quando non era più abbastanza restare fedele al dettame della legge urbanistica centralizzante e nazionalista di un popolo che sarà successivamente soggiogato dal franchismo, fin quando non decise che forse, per rendere veramente immortale un riferimento, questo non potesse che darsi all’infinito, e così salire verso le volute celesti, in una repentina ascesa di colombe bianche attorniate da quel grido tanto familiare quanto inconsapevole: “Sanctus, Sanctus, Sanctus”. Per poi salire ancora più in alto, dov’è “Hosanna Excelsis”.
Sono queste le parole che il passante legge con lo sguardo puntato verso l’azzurro, sulle torri più alte della costruzione più alta. Ancora la Sagrada Familia. Quasi come se Gaudì avesse preconizzato lo sviluppo della città catalana, come se avesse cominciato coll’immaginare un rimedio, ancor prima che la malattia si facesse morbo. Perché, per quanto si potesse immaginare, ancora non era venuto Francisco Franco, ancora non si era sviluppata quella rigidità orizzontale e uniforme cui il modernismo vuole opporsi ed in cui vuole inserirsi nel rendersi parte interstiziale. Per certi versi fu missione quella di Gaudì, una missione incompiuta e coronata da una morte che trae spirito dal simbolo più cristiano che si possa immaginare.
Era il sette giugno del 1926 quando un tram impertinente investì un ometto vestito come uno straccione. A quell’ometto, ricoverato in una pensione per invalidi miserevoli, ci vollero tre giorni per spirare. Era Gaudì, e nessuno, sulle prime, lo riconobbe. Il simbolo della sua morte è il simbolo della cristianità, ma rovesciato come in un gioco bizzarro quanto lo sono state le sue costruzioni. Ad uno ci vollero tre giorni per risorgere, ad un altro ce ne vollero sempre tre, ma questa volta per morire. Entrambi apparvero come straccioni. Forse che l’opera di Gaudì sta anche in questo, forse che quello che la cristianità ha rubato ad un lavoro ad essa solo liminare si rivolta contro la cristianità stessa, fingendo le stesse modalità, gli stessi tempi, ma un destino assiale? Questo non lo si può sostenere, forse. Ma resta il fatto che, per quanto la basilica tenda all’infinito, per quanto un popolo cattolico voglia riportare sulla propria strada un percorso che non è fatto per questo, le cose si dimostrano per quello che vogliono essere, e questo già prima di diventare come non dovrebbero.


 
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