E quella dell’istituzione universitaria
che da essa dipende. La funzione narrativa perde i suoi funtori, i
grandi eroi, i grandi pericoli, i grandi peripli ed i grandi fini. Essa
si disperde in una nebulosa di elementi linguistici narrativi, ma anche
denotativi, prescrittivi, ecc., ognuno dei quali veicola delle valenze
pragmatiche sui generis. Ognuno di noi vive ai crocevia di molti di
tali elementi. Noi non formiamo delle combinazioni linguistiche
necessariamente stabili, né le loro proprietà
sono necessariamente comunicabili”. Un movimento di
questo tipo per poter dispiegare tutta la propria
operatività necessita di ricorrere a ogni singola
informazione disponibile, operando alchemicamente una redistribuzione
del senso, democratizzando, ovvero ponendo in essere
l’uguaglianza, condizione preliminare dello scambio,
trasferendo su un unico piano saperi alti e bassi, tradizionali e
rivoluzionari. Deve, poi, soprattutto, aver minato alla base il vecchio
ordine della società dei produttori e instaurato una nuova
società, quella che ruota intorno alla figura del
consumatore. Un nuovo assetto che poggia sullo zoccolo duro dei consumi
alimentari, domanda anelastica, che meno risente anche delle crisi
cicliche del mercato. Ecco questo è il pubblico da sfamare e
il suo appetito è fame di narrazioni, minute, triturate,
istantanee, ma pur sempre capaci di raccontare. Un bisogno che le
industrie di marca mostrano di conoscere ogni volta che confezionano un
messaggio pubblicitario cucinato a dovere. A ben vedere, il discorso
sull’alimentazione negli ultimi trent’anni
(restiamo al caso italiano), segnato da questa progressiva mutazione,
muove di pari passo con le modificazioni strutturali della tarda
società industriale. Un’ascesa che parte dalla
riscoperta del cibo come cultura, approccio che ha guidato studiosi
come Piero Camporesi, nella sua magistrale rilettura, condotta con
gusto e intelligenza, della storia dei secoli scorsi in Italia e in
Europa alla luce delle relazioni intessute dagli uomini con gli
alimenti e spesso dalla loro assenza, in tempi dominati da una fame
“canina”. Un approccio che trovò
riscontro in La Gola, dotta rivista
interdisciplinare nata nell’ottobre del 1982, per riscoprire,
riabilitare, documentare e interpretare la cultura materiale. Esce fino
al 1986 e il 6 dicembre di quello stesso anno all'interno del
quotidiano Il Manifesto fa la sua comparsa un
supplemento di 8 pagine dedicato all'enogastronomia, dal nome
decisamente curioso: Gambero Rosso – il mensile dei
consumatori curiosi e golosi. Il resto è la storia
di un successo editoriale. Nel 1986 nasce anche
l’associazione Slow Food, fondata da Carlo Petrini e che oggi
conta ben 86.000 iscritti. La sua filosofia si articola a partire
“dalla riscoperta del piacere attraverso la cultura
materiale. Il piacere è quello alimentare, dotto, sensibile,
condiviso e responsabile”, come è subito messo in
chiaro sul sito dell’associazione. |
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