IL CYBORG CHE SEMBRAVA ME, DONNA HARAWAY di Valeria Buoninfante |
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I l pensiero occidentale è diabolico. In molti sensi, verrebbe da dire, ma quello che qui interessa è strettamente etimologico. Diabolico (da dia-ballein, scindere) nel senso che impone una scansione manichea del mondo, scisso in sfere contrapposte in cui allocare tutti gli oggetti. In particolare due prodotti dell’irrimediabile dualismo del pensiero occidentale condividono una storia di estromissione, colonizzazione e sottomissione: il corpo e la donna. Corpo come simbolo, nei più malvagi e miserevoli aspetti, della parte corruttibile e caduca dell’esperienza umana. Donna come condensato di significati, tutt’altro che innocenti, creati dal logos nel momento in cui soffoca nell’equivalenza generale l’ambivalenza simbolica che il pensiero primitivo attribuisce al mondo. È Donna Haraway più di chiunque, nei suoi lucidi lavori, a incorporare e riarticolare questa analisi. Alle spalle delle sue teorizzazioni e azioni politiche c’è la Silicon Valley, il cuore hi-tech della California, dove il linguaggio familiare e quotidiano è quello dell’alta tecnologia. Non sembri aliena, a noi che abitiamo la periferia dell’impero, la dimestichezza con cui Haraway tratta le tecnologie più raffinate, traendo da esse il modello per mappare e arginare le forme attuali del potere. Il suo eclettismo è suffragato da studi vari ma coerenti che vanno dalla zoologia alla filosofia, fino al dottorato in biologia, per i quali ringrazia la frenetica corsa verso lo spazio del megalomane governo statunitense, il quale, per recuperare il gap rispetto allo Sputnik sovietico, sollecitò con entusiasmo la formazione scientifica dei giovani americani. | ||
Questo genere di caustica (auto)ironia è la cifra della riflessione di Donna Haraway, e il nucleo della sua seria e sana eresia. Da qui muove la sua rilettura, con occhi cyborg, della carta geo-politica, quindi socio-economica, del mondo, l’individuazione di una nuova soggettività e di nuove linee guida per fare scienza, in particolare scienza femminista. I suoi discorsi mobilissimi e polisemici abbracciano molti temi e seducono (letteralmente, portano a sé) diversi interlocutori senza sfaldarsi o perdere in coerenza, e questo ci permette di appropriarci del cyborg come indicazione rivoluzionaria non solo per le studiose del genere, ma per l’intero genere umano. |
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