Il pensiero occidentale è diabolico. In molti
sensi, verrebbe da dire, ma quello che qui interessa è
strettamente etimologico. Diabolico (da dia-ballein,
scindere) nel senso che impone una scansione manichea del mondo, scisso
in sfere contrapposte in cui allocare tutti gli oggetti. In particolare
due prodotti dell’irrimediabile dualismo del pensiero
occidentale condividono una storia di estromissione, colonizzazione e
sottomissione: il corpo e la donna. Corpo come simbolo, nei
più malvagi e miserevoli aspetti, della parte corruttibile e
caduca dell’esperienza umana. Donna come condensato di
significati, tutt’altro che innocenti, creati dal logos
nel momento in cui soffoca nell’equivalenza generale
l’ambivalenza simbolica che il pensiero primitivo attribuisce
al mondo. È Donna Haraway più di chiunque, nei
suoi lucidi lavori, a incorporare e riarticolare questa analisi. Alle
spalle delle sue teorizzazioni e azioni politiche
c’è la Silicon Valley, il cuore hi-tech della
California, dove il linguaggio familiare e quotidiano è
quello dell’alta tecnologia. Non sembri aliena, a noi che
abitiamo la periferia dell’impero, la dimestichezza con cui
Haraway tratta le tecnologie più raffinate,
traendo da esse il modello per mappare e arginare le forme attuali del
potere. Il suo eclettismo è suffragato da studi vari ma
coerenti che vanno dalla zoologia alla filosofia, fino al dottorato in
biologia, per i quali ringrazia la frenetica corsa verso lo spazio del
megalomane governo statunitense, il quale, per recuperare il gap
rispetto allo Sputnik sovietico,
sollecitò con entusiasmo la formazione scientifica dei
giovani americani. Questo genere di caustica (auto)ironia è
la cifra della riflessione di Donna Haraway, e il nucleo della sua
seria e sana eresia. Da qui muove la sua rilettura, con occhi cyborg,
della carta geo-politica, quindi socio-economica, del mondo,
l’individuazione di una nuova soggettività e di
nuove linee guida per fare scienza, in particolare scienza femminista.
I suoi discorsi mobilissimi e polisemici abbracciano molti temi e
seducono (letteralmente, portano a sé) diversi interlocutori
senza sfaldarsi o perdere in coerenza, e questo ci permette di
appropriarci del cyborg come indicazione rivoluzionaria non solo per le
studiose del genere, ma per l’intero genere umano. Dobbiamo
capire perchè il cyborg si impone come figurazione
privilegiata. D’accordo con l’analitica
foucaultiana, Haraway la trova però anacronistica rispetto
alla situazione attuale. Secondo lei, Foucault delinea “una
forma di potere nel momento della sua implosione” (Haraway,
p.88). La dominazione gerarchica della fase disciplinare del potere,
infatti, si è dissolta in una rete liquida percorsa da
flussi turbolenti. Il potere disciplinare descritto da Foucault agisce
sulla vita facendo presa sul corpo come macchina da addomesticare e
potenziare per sfruttarne le energie e come corpo-specie, visto come
supporto dei fenomeni biologici oggetto di interventi regolatori
(riproduzione, tassi di mortalità e natalità, e
così via…). Il patriarcato capitalista bianco,
cui ancora calzava la definizione disciplinare, è
però oggi mutato nel potere post-disciplinare
dell’informatica del dominio (Haraway, p.56), bio-potere in
chiave tecnologica. Questa, che agisce sui corpi attraverso le
tecnologie della comunicazione e le biotecnologie, struttura il
(nostro) mondo in cui è cruciale il possesso
dell’informazione, che i paesi
“sviluppati” vendono a quelli da cui estorcono
risorse in termini di beni materiali e di esseri umani. La produzione offshore,
il neo-colonialismo all’interno del primo mondo, ai danni dei
soggetti più vulnerabili, e verso il terzo mondo, la
versione aggiornata di quell’èlite del potere
già denunciata da Wright Mills negli anni Cinquanta del
Novecento, una collusione di poteri politici, economici e militari,
sono il quadro del potere moderno. La contraddizione su cui
s’impernia è lo sprone alla ricerca scientifica,
essenziale alla sua riproduzione, condotta però in maniera
selvaggia, nel totale disinteresse per tutti gli esseri viventi, umani
o animali che siano. Lo sviluppo dei saperi tecnologici riproduce, come
condizione accessoria, l’insicurezza, la povertà
simbolica e materiale, il dissanguamento dei più deboli,
ingerendo nelle loro relazioni sociali per impedire la costruzione di
reti di sussistenza e solidarietà. Donna Haraway
suggerisce di resistere a questo potere a partire da figure marginali,
che promettono possibilità eversive proprio
perché situate ambiguamente sui confini. Prototipo di ogni
marginalità che porta in sé i germi della sua
rigenerazione è il cyborg. Questi contiene due
movimenti di opposizione alla logica dialettica occidentale: compone i
dualismi irriducibili – è crasi di cybernetic
e di organism – e ricusa il logos
univoco a favore di un proliferare di discorsi parziali, specifici e,
perciò, responsabili. Il suo percorso non è di
trasgressione, un meccanismo frivolo e già interno
all’ordine dominante, funzionale a rimarcare quei confini che
finge di violare. Cyborg è etero-dossia ed etero-glossia,
è il tentativo prezioso di narrare diversamente la storia
dell’uomo, tradendo il racconto dominante nel linguaggio e
nei contenuti. È il corpo costruito e colonizzato da poteri
che ne fanno oggetto di sfruttamento, che acquista la
capacità di insorgere contro il suo creatore usando lo
stesso linguaggio con cui è stato soggiogato. Ha una
complessa potenza evocativa. Innanzitutto, visto come essere umano
potenziato da supporti tecnologici (non è necessario
arrivare agli innesti bionici, anche un banale paio di lenti a contatto
rende l’idea), o come androide con apporti biologici che lo
appaiano all’uomo, costringe a ripensare il concetto di
organismo, di corpo biologico, e i confini tra Natura e Cultura. Sul
corpo cyborg non attecchisce il mito del corpo come sede della Natura,
avversa all’artificialità, perché
questo è un’entità ossimorica, un
organismo artificiale che sprizza continue contraddizioni.
È il topos dove le soglie si
toccano, si frangono le barriere, la terra in cui perdersi tra sgomento
ed orrore. Perché l’organismo cibernetico
è l’abietto che “turba
un’identità, un sistema, un ordine. Quel che non
rispetta i limiti, i posti, le regole. L’intermedio,
l’ambiguo, il misto” (Kristeva). In questo senso
è più che mai rappresentativo dei perturbanti
corpi femminili, o dei corpi omosessuali, speciosi perchè
riottosi e sovvertitori dell’ordine, forieri di linguaggi e
narrazioni altri. Il cyborg è anche un proclama
epistemologico, “un’argomentazione a favore di
saperi situati e radicati nel corpo, […] contraria ad
assunti di conoscenze non localizzabili e quindi
irresponsabili” (Haraway, p.114). Contro
l’evanescenza del potere il compito di una scienza rigenerata
e consapevole è rivendicare la propria
specificità, la propria provenienza, come primo gesto di
responsabilità. È una stoccata, ovviamente, alle
pretese universalistiche delle scienze totalitarie. Praticare saperi
situati significa essere critici (Haraway ammonisce soprattutto le
teoriche femministe, ma qui estendiamo la portata del suo discorso),
non ipocriti, ammettere di essere invischiati nella situazione di
potere che si vuol combattere. A partire da questa lucida ammissione si
può far giocare la propria contaminazione per diffondere
nuove rappresentazioni. Infatti “I saperi
situati richiedono che l’oggetto di conoscenza venga
raffigurato come attore e agente, non come schermo, terreno o risorsa,
e certo mai come schiavo del padrone che non ammette dialettica
attribuendo solo a se stesso il potere di agire e
l’autorità del sapere oggettivo”
(Haraway, p.124). Il corpo, nella figura del cyborg
è, per Haraway, “attore
materiale-semiotico” (Haraway, p.127) finalmente coinvolto
nella produzione dei significati che incarna. Consapevole di essere
rappresentazione, superficie di scrittura, può impossessarsi
di questo suo talento ed usarlo contro tutte le
insidie di etero-determinazione.
:: letture ::
- Agamben G., Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino, 1995.
- Foucault M., Surveiller et punir. Naissance de la prison, 1975, tr. it. Sorvegliare e punire.
Nascita della prigione, Einaudi, Torino, 1976.
- Foucault M., La volonté de savoir, tr. it. La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano, 1996.
- Galimberti U., Il corpo, Feltrinelli, Milano, 2005.
- Haraway D. J., A Cyborg Manifesto: Science, Technology, and Socialist-Femminism in the Late Twentieth Century in
Simians, Cyborgs and Women: The Reinvention of Nature, 1991, tr. it. Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e
biopolitiche del corpo, Feltrinelli, Milano, 1995.
- Kristeva J., Pouvoirs de l’horreur: essai sur l’abjection, 1980,
tr. it. Poteri dell’orrore: saggio sull’abiezione, Spirali Edizioni, Milano,
1981.
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