Universi alternativi, il west di Marco Ferreri
di Andrea Sanseverino |
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P er quella capacità, se non potenza, che ha la
narrazione cinematografica di offrire una visione unitaria di
situazioni molto eterogenee farcite di persone, oggetti e ambienti che
mal si concilierebbero attraverso altre esperienze narrative, ecco che
il cinema si presenta come un’ottima occasione per un
suggestivo gioco di anacronismi. Capita così che le storiche
uniformi blu degli yankee vincitori della guerra
civile e gli abiti tradizionali degli indiani d’America
s’aggirino tra i semafori e le boutique di Parigi, in uno dei
più grotteschi film italiani. Verso la metà degli
anni Settanta, in Non toccare la donna bianca,
Marco Ferreri offre infatti, alla sua maniera, originale e senza mezzi
termini, una rappresentazione della battaglia di Little Bighorn. Si
tratta dell’epica impresa dei nativi americani contro
l’esercito statunitense, condotta il 25 giugno 1876 dalle
forze unite dei Lakota e dei Cheyenne, questi ultimi una delle
tribù massacrate lungo il fiume Sand Creek in Colorado nel
1864. Le guerre indiane del resto furono definite da alcuni storici
“guerre civili”, anche se il popolo dei pellerossa
fu colpevole, come sentenziano nelle prime riprese i rappresentanti del
potere economico, di non riconoscere “i valori della
proprietà privata e i vantaggi che ne derivano”, e
di rifiutare “il sano egoismo di cui la Provvidenza ha
nutrito l’animo umano”. |
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