Come sempre paffuto, ma meno impacciato di un Fantozzi
o Fracchia, l’attore genovese nella vicenda si presenta come
un professore di antropologia con il nome di Pinkerton, forse omaggio
al fondatore dell’omonima agenzia investigativa, la prima mai
creata, e passato alla storia per aver salvato da un complotto Lincoln,
al tempo candidato alle presidenziali. Il personaggio di Villaggio
ostenta con orgoglio le proprie credenziali mostrando le foto di due
vittime illustri della Cia, il “Che” e Lumumba, per
poi abbandonare la scena poco prima della battaglia, annunciando
un’inquietante sua prossima presenza in Cile. Non
manca, tra gli attori, lo stesso regista nei panni di un fotoreporter
al servizio dei potenti, esaltando il grande ruolo che la fotografia,
madre della settima arte, ebbe nella stessa storia statunitense a
partire dalla guerra di secessione. Quanto ai temi
caldi del film, uno di essi è senz’altro la
rappresentazione della violenza, qui perpetrata nei confronti di un
intero un popolo. Sotto un piano formale, ecco che a tal riguardo
spicca l’originalità di Ferreri e del
co-sceneggiatore Rafael Azcona (con la collaborazione di Darryl Cowl,
nel film anche attore): se Fernaldo di Giammatteo e Roberto Campari
avevano sottolineato che la violenza nel genere western non si
risolveva mai in un gesto irresponsabile, se non addirittura folle, del
singolo (tipica del gangster movie), oppure in un’azione
collettiva (come nei film di guerra; cfr. Campari, Di Giammatteo, vol.
II, pag. 189). Ferreri, giocando sul piano della
follia pianificata, ossimoro di tutte le guerre, sovverte la regola
presentando l’omicidio in tutte le salse. Il regista non
risparmia al pubblico neanche l’assassinio barbaro, fine a se
stesso, perpetrato contro donne e bambini per diletto dai soldati, e
reso attraverso una sequenza che rimanda alla carneficina del Sand
Creek, così come al genocidio di Auschwitz. Nel
finale la panoramica del quartiere ormai sventrato di Les Halles
restituisce alla memoria dello spettatore dei nostri giorni
un’immagine di Ground Zero, concedendo un ennesimo gioco
anacronistico, non certo voluto.
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